I pianeti del nostro sistema solare, in ordine di distanza crescente dal Sole, sono Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Otto pianeti e non nove: dal 2006, infatti, Plutone non è più un pianeta ma è stato declassato a pianeta nano con una decisione dell’Unione astronomica internazionale.
I primi cinque sono pianeti brillanti e facilmente visibili anche a occhio nudo; per questo la loro scoperta non è stata particolarmente ardua. Pure Urano è visibile senza l’utilizzo di un telescopio anche se, in questo caso, siamo prossimi al limite ed è necessario un cielo perfettamente buio, privo di inquinamento luminoso e senza Luna. È stato scoperto dall’astronomo William Herschel nel 1781; in realtà, esistono documenti che riportano osservazioni precedenti nelle quali il pianeta non era stato riconosciuto come tale ma scambiato per una stella. D’altra parte, lo stesso Herschel, inizialmente, riteneva di aver osservato una cometa. La scoperta di Nettuno è piuttosto singolare e fu considerata un vero trionfo per la meccanica celeste, il settore della meccanica classica che studia il moto dei corpi celesti. Grazie alle leggi fondamentali della meccanica e al calcolo infinitesimale sviluppato da Newton e da Leibniz, è possibile conoscere il moto di un pianeta considerando solo l’attrazione che su di esso esercita il Sole (“problema dei due corpi”). I pianeti, però, non orbitano attorno al Sole come corpi isolati e quindi non possono essere ignorati gli effetti gravitazionali degli altri pianeti. Ogni altro pianeta, infatti, in base alla sua vicinanza e alla sua massa, perturba l’orbita del pianeta che stiamo considerando: ancora una volta, seguendo queste perturbazioni, è possibile determinare la massa e l’orbita del corpo perturbante.
Quando nel 1821 furono calcolati con buona precisione i dati orbitali di Urano, apparve evidente che il pianeta non si comportava esattamente come previsto e che le perturbazioni dei pianeti allora conosciuti non giustificavano le discrepanze tra osservazioni e teoria. Così, l’astronomo Alexis Bouvard suggerì che le anomalie dell’orbita di Urano fossero imputabili alle perturbazioni gravitazionali di un pianeta più lontano. Al problema si dedicarono, indipendentemente, il matematico John Couch Adams nel 1843 e il matematico e astronomo Urbain Le Verrier. Siamo attorno al 1845.
Entrambi, con calcoli eccezionalmente complessi, riuscirono a determinare l’orbita e la zona di cielo dove puntare un telescopio per poter individuare un ipotetico nuovo pianeta oltre l’orbita di Urano. Mentre la soluzione trovata da Adams fu sostanzialmente ignorata (pochi astronomi erano a conoscenza del suo lavoro), quella di Le Verrier fu presa in seria considerazione dall’astronomo Johann Gottfried Galle e dal suo assistente Heinrich Louis d’Arrest che, dall’Osservatorio di Berlino, nel 1846, individuarono Nettuno ad appena un grado dalla previsione di Le Verrier. Meritevole di essere raccontata è anche la storia della scoperta del pianeta nano Plutone. Alla fine del XIX secolo gli astronomi, insospettiti dal fatto che Urano e Nettuno parevano muoversi in modo diverso dal previsto, come se fossero perturbati dall’attrazione gravitazionale di un altro oggetto, ipotizzarono l’esistenza di un nono pianeta. Considerando che la tecnica delle perturbazioni aveva già ottenuto un grande successo con la scoperta di Nettuno, l’astronomo Percival Lowell cercò un nuovo pianeta agli inizi del secolo scorso dall’osservatorio di Flagstaff, in Arizona. Non ebbe successo. Dopo la sua morte nel 1916, la ricerca continuò fino a quando l’astronomo Clyde Tombaugh nel 1930, confrontando immagini della stessa zona in tempi diversi, scoprì Plutone non lontano dalla posizione prevista da Lowell anni prima. In seguito apparve evidente che la piccola dimensione di Plutone, e dunque la sua ridotta forza di gravità, non potevano spiegare le anomalie orbitali di Urano e Nettuno, che poi si rivelarono in realtà inesistenti.
Il pianeta che “esce fuori” dalla matematica
Ora la storia sembra ripetersi. Nel 2016, gli astronomi Konstantin Batygin e Michael Brown del California Institute of Technology (Caltech) hanno ipotizzato l’esistenza di un nuovo pianeta ai confini del sistema solare, il nono pianeta nascosto. La loro ricerca, che dura ormai da qualche anno, è stata pubblicata su importanti riviste scientifiche e richiama alla memoria quella che condusse alla scoperta di Nettuno. Il nuovo ipotetico pianeta, battezzato “Planet Nine”, emergerebbe dai risultati di modelli matematici e sofisticate simulazioni al computer. I modelli sono stati sviluppati per spiegare le proprietà delle orbite di alcuni corpi transnettuniani che sono stati osservati nella fascia di Kuiper, una regione, oltre l’orbita di Nettuno, dove si trovano numerosi oggetti; il primo è stato scoperto nel 1992 ma l’individuazione degli altri è piuttosto difficile dato che sono appena visibili e si muovono molto lentamente. Probabilmente la fascia di Kuiper è il residuo del processo di formazione ed evoluzione del sistema solare esterno. Tra gli oggetti celesti che vi si trovano ci sono Sedna, un grande oggetto scoperto nel 2003, ed Eris, scoperto nel 2005, con una massa più grande di Plutone. Nel 2014, alcuni astronomi hanno individuato un oggetto, denominato 2012VP113, che ha un’orbita simile a quella di Sedna. Un’analisi approfondita delle loro caratteristiche orbitali li aveva portati a ipotizzare che le loro orbite risentissero della gravità esercitata da un lontano corpo celeste. A questo problema si dedicano Brown e Batygin che hanno approfondito ulteriormente lo studio delle orbite di Sedna, di 2012VP113 e di altri quattro oggetti più distanti dal Sole e che maggiormente dovrebbero risentire della gravità di questo lontano oggetto. I due ricercatori hanno effettuato una serie di complesse simulazioni del sistema solare aggiungendo come “ingrediente” in più un nuovo pianeta e facendo variare massa e orbita per verificare quali erano le caratteristiche in grado di riprodurre meglio le orbite degli oggetti considerati. Dopo lunghe elaborazioni è emerso che lo scenario migliore prevede l’esistenza di un pianeta con una massa di circa 5 volte quella terrestre. L’ipotetico “Planet Nine”, con un’orbita molto eccentrica, spiegherebbe le caratteristiche dell’orbita di Sedna e 2012VP113 e i percorsi seguiti da altri oggetti nell’area più estrema della fascia di Kuiper. “Planet Nine” è solo ipotetico perché finora ha risposto soltanto all’appello dei modelli teorici, ma non è mai stato osservato da alcun telescopio (una campagna osservativa per cercarlo è stata condotta con il telescopio Subaru, con uno specchio da 8,2 metri di diametro e situato alle Hawaii, senza però un esito favorevole). Se davvero esiste, sarà difficile vederlo: la sua orbita attorno al Sole si troverebbe a circa 400 unità astronomiche, vale a dire a una distanza pari a circa 13 volte quella di Nettuno. Questo secondo le stime di Batygin e Brown. Solo osservandolo sarà possibile confermare la sua esistenza. I due astronomi sono comunque ottimisti e prevedono che entro il prossimo decennio si avrà la prima immagine del nuovo pianeta.
C’è chi dice no…
Tuttavia c’è chi nella comunità scientifica ha espresso forti dubbi sull’esistenza di “Planet Nine” e ha presentato un modello alternativo in grado di spiegare tutte le anomalie orbitali osservate senza la necessità di ipotizzare l’esistenza di un nuovo pianeta. Antranik Sefilian (University of Cambridge) e Jihad Touma (American University di Beirut) hanno avanzato l’ipotesi che le perturbazioni siano dovute a un disco di piccoli oggetti, oltre l’orbita di Nettuno, la cui massa totale sia circa una decina di volte quella terrestre. Eliminando “Planet Nine” dal modello e inserendo al suo posto numerosi piccoli oggetti collocati su un’ampia regione, si ottiene un’attrazione gravitazionale totale che può spiegare altrettanto bene le caratteristiche delle orbite eccentriche di alcuni oggetti transnettuniani.
Per sapere se “Planet Nine” davvero esiste, sarà forse necessario aspettare la prossima generazione di telescopi dal suolo, oggi in fase di costruzione. Dal 2024 gli astronomi potranno utilizzare l’European-Extremely Large Telescope, con uno specchio primario di 39 metri, che si sta realizzando in Cile. Oppure utilizzare dallo spazio il James Webb Space Telescope (con uno specchio primario di 6,5 metri, considerato l’erede del glorioso telescopio spaziale Hubble) il cui lancio è previsto nel 2021.