Il 18 marzo 1965, l’astronauta sovietico Aleksej Leonov fu il primo uomo a compiere un’attività extraveicolare passeggiando per una decina di minuti nello spazio. Leonov era partito un’ora e 34 minuti prima dal cosmodromo Baikonur, in Kazakhstan, a bordo della navicella Voschod 2, assieme al comandante di missione Pavel Beljaev. Dopo aver raggiunto l’orbita prevista, a un’altitudine di 497 km dalla Terra, Aleksej aprì il portello della camera di pressurizzazione e fluttuò nello spazio per 12 minuti e 9 secondi, collegato alla capsula con un cavo di 5,35 metri.
Aleksej Leonov nello spazio
Buon pittore, durante la passeggiata portò con sé una matita e un blocco di carta per annotare e disegnare ciò che vedeva senza però riuscire a utilizzarli perché, per la differenza di pressione esistente tra la cabina e lo spazio, la tuta si gonfiò impedendogli di muoversi liberamente. Le dita faticavano a muoversi nei guanti, le gambe si tendevano come le corde di un violino. Ma il problema più grande sorse quanto tentò di rientrare nella camera di pressurizzazione: la tuta si era gonfiata a tal punto da impedirgli di varcare la porta della navicella. Con mani tremanti, aprì leggermente la valvola di scarico della sua tuta fino a sentire il tessuto stringersi attorno al suo corpo. Una manovra rischiosa; il cuore gli martellava nel petto, ma finalmente riuscì a piegare le braccia e a spingere le gambe nel portello. Con uno sforzo disperato, si trascinò dentro e chiuse il portello dietro di sé. L’adrenalina gli bruciava ancora nelle vene, ma ce l’aveva fatta.
Era stato il primo uomo a camminare nello spazio. E aveva appena scoperto quanto potesse essere pericoloso.
Il rientro sulla Terra fu altrettanto avventuroso e rischioso: la capsula andò fuori rotta, atterrando a 386 km dal punto previsto e i due astronauti rimasero due giorni a temperature sotto lo zero prima di essere recuperati.
Dopo il suo storico volo del 1965, Aleksej Leonov continuò a essere una figura centrale nel programma spaziale sovietico. Non abiurò mai il comunismo, né prese mai posizioni apertamente critiche contro l’Unione Sovietica anche se ne riconobbe gli errori, in particolare per quanto riguardava il programma lunare, abortito per problemi tecnologici e politici e per la mancanza di una visione chiara per il futuro dell’esplorazione russa. Rimase comunque sempre profondamente legato al programma spaziale sovietico e si dimostrò sempre fedele alla sua patria, anche dopo la caduta dell’URSS, concentrandosi sulla storia dell’esplorazione spaziale, sulla ricerca scientifica e sul futuro dell’umanità nello spazio.
Aleksej Leonov nell’aprile del 1974 con una spilletta della missione Apollo-Soyuz, in preparazione per l’anno successivo
Leonov era un grande sostenitore della cooperazione tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Lo dimostrò nella missione Apollo-Soyuz del 1975, dove costruì un rapporto di amicizia con gli astronauti americani, in particolare con Thomas Stafford. I due rimasero amici per tutta la vita, e Leonov partecipò a diverse iniziative congiunte con la NASA anche dopo la Guerra Fredda.
Aleksej Leonov durante la missione Apollo-Soyuz
Aleksej fu anche testimonial per la Omega, che lo scelse per il suo modello di orologio Speedmaster Skywalker X-33, anche se il modello che Leonov indossò durante la sua storica del 1965 era uno Strela, un cronografo sovietico utilizzato dai cosmonauti dell’epoca. Solo successivamente gli astronauti russi iniziarono a usare gli Omega Speedmaster, come fecero gli americani.
Assieme al musicista e astrofisico Brian May e all’astronomo Garik Israelian, fondò nel 2011 lo Starmus International Festival, un raduno internazionale a cui partecipano premi Nobel, artisti, musicisti, scienziati, astronomi, astronauti. Leonov morì l’11 ottobre 2019.
Una risposta
L’Unione Sovietica ha un Grande popolo, ha formato artisti, filosofi, scienziati, matematici. Non costituisce per noi Italiani un problema di sicurezza. Ci hanno portati contro la nostra volontà a dichiararle guerra con Draghi banchierte al governo non eletto dagli italiani. Non certo nel mio nome si continua nell’ostilità autolesionista del popolo italiano contro il popolo dell’Unione Sovietica..