Il rapporto con Dio è sentito in maniera acuta da molti matematici e fisici, che l’hanno risolto nei modi più disparati. Galileo Galilei, fondatore della scienza moderna, lo viveva in assoluta armonia: è famosa la sua frase secondo cui “la matematica è l’alfabeto nel quale Dio ha scritto l’universo”. Blaise Pascal, fervente cattolico della corrente giansenista, lo interpretava nei termini di una scommessa: non potendo sapere razionalmente se Dio esiste, possiamo scommetterci su. La conclusione era che comunque conviene regolarci come se Dio (il Dio cattolico, naturalmente) esistesse, e quindi vivere secondo i dettami evangelici. Se poi Dio non ci fosse, avremmo solo rinunciato ai piaceri superflui ma, se invece la sua esistenza fosse dimostrata, avremmo conquistato la beatitudine eterna. Un ragionamento degno del suo autore, considerato il fondatore del calcolo delle probabilità. Si racconta che Pierre-Simon de Laplace avrebbe dichiarato a Napoleone che Dio era un’ipotesi di cui non aveva avuto bisogno nell’elaborazione del suo modello astronomico. Invece Eulero, sempre secondo l’aneddotica, avrebbe detto all’imperatrice Caterina di Russia che la perfezione della sua famosa formula eiπ+1=0 mostrava la presenza di Dio. Lo stesso Kurt Gödel, il più grande logico dell’età moderna (e forse di tutti i tempi), ha pubblicato un libricino con la sua dimostrazione dell’esistenza di Dio. Albert Einstein, da parte sua, partendo da un atteggiamento vagamente teista, affermava di non credere che Dio giocasse a dadi con l’universo: una frase evocativa con cui esprimeva la sua perplessità di fronte ai paradossi della meccanica quantistica. Rispetto all’entusiasmo di Galileo e all’indifferenza di Laplace, altri matematici hanno avuto con Dio un rapporto più conflittuale. L’esempio principe è dato dall’inglese Godfrey Hardy. Ateo convinto, Hardy si rifiutava categoricamente di entrare in chiesa, anche per funerali o celebrazioni eccezionali, e si imbarcava in lunghe disquisizioni religiose con il geniale matematico indiano (e induista) Srinivasa Ramanujan che lui stesso aveva scoperto e lanciato. A differenza di molti atei, però, Hardy non si limitava a ignorare Dio ma lo considerava una specie di nemico personale. Una rivalità che riversava anche nel suo sport preferito: una volta ha immaginato di giocare una partita di cricket contro Dio, di cui ha scritto anche il tabellino finale (ovviamente a vincere era stato lui). Nella prima metà degli anni Quaranta, Hardy ha anche formulato una lista semiseria dei propositi per l’anno nuovo:
- Dimostrare la congettura di Riemann.
- Giocare una grande partita di cricket in un incontro decisivo.
- Dimostrare l’inesistenza di Dio.
- Essere il primo a salire in cima all’Everest.
- Essere eletto primo presidente dell’Unione Sovietica, della Gran Bretagna e della Germania.
- Assassinare Mussolini.
Dalla lista emerge, oltre alla passione per il cricket, anche il suo interesse da democratico convinto per la politica internazionale. Ma al primo posto c’era un problema matematico. Anzi, il problema matematico: ancora oggi, secondo la maggior parte dei ricercatori, il problema più arduo e importante è proprio la congettura di Riemann. Tanto che lo stesso Hardy, in un’altra occasione, l’aveva usata come una sorta di assicurazione sulla vita: alla vigilia di un viaggio per mare (una sua fobia) aveva inviato a un collega una lettera in cui sosteneva di averla risolta. L’idea era che Dio non avrebbe permesso il naufragio della nave, perché altrimenti al suo nemico Hardy sarebbe rimasta per l’eternità una gloria eccelsa (e immeritata). Come Pascal, anche lui scommetteva su Dio! Molti hanno notato che, paradossalmente, Hardy aveva la parola God nel nome (Godfrey). Forse, chissà, una circostanza che psicologicamente aveva determinato o accresciuto il suo rancore. Così alcuni storici della scienza, con un calembour, gli hanno dato il soprannome God-free (libero da Dio).