Enrico Pedemonte: Populismo e potere avvelenano la scienza

Perché nell’attuale mondo iper-tecnologico ci imbattiamo quotidianamente in posizioni antiscientifiche? Perché ancora molti non si fidano della scienza? Enrico Pedemonte, genovese (e genoano), è fisico, giornalista e divulgatore scientifico prima al Secolo XIX, poi a Repubblica e a L’Espresso (di cui è stato per diversi anni corrispondente da New York). Nel suo recente saggio Paura della scienza (Treccani, 2022), tratta la sfiducia nel sapere come un problema complesso e legato al potere, senza liquidarlo come “semplice ignoranza” come talvolta si è tentati di fare.

Da dove nasce la sfiducia nella scienza?
Nasce dall’uso che il potere ne ha fatto nel corso dell’ultimo secolo. Ogni volta che la ricerca scientifica indicava i danni di un comparto industriale, questo inventava una scienza alternativa, con la complicità a volte di scienziati, per mettere in dubbio i risultati scomodi. È accaduto, ad esempio, con l’industria del tabacco che per decenni ha cercato di dimostrare che le sigarette non erano dannose. È accaduto con l’amianto, con i clorofluorocarburi (Cfc) che causano il buco dell’ozono e soprattutto con il riscaldamento globale. Dal 1999 a oggi, l’industria petrolifera ha investito oltre due miliardi di dollari in comunicazione sostenendo che i climatologi sono contro il capitalismo, il progresso e la libertà. In questo modo ha spostato la maggioranza dei conservatori su posizioni negazioniste.

Nasce da lì la diffidenza di molte persone verso i vaccini?
Nasce anche da lì. La sfiducia nella scienza ha molte cause. È una delle forme in cui si manifesta la sfiducia nel potere, nelle élites, nei tecnici, negli esperti. Una sfiducia che sta crescendo e alimenta i movimenti populisti, causata anche da una scienza sempre più privatizzata. Trent’anni fa, i due terzi degli investimenti in ricerca erano di fonte pubblica. Oggi questa proporzione si è rovesciata ed è sempre più difficile sostenere che la scienza sia un bene pubblico.

Può farci un esempio?
Negli anni Settanta le ricerche basate sull’analisi di grandi masse di dati, che utilizzavano tecniche di Intelligenza artificiale, venivano effettuate nel 90 per cento dei casi all’interno di istituti pubblici di ricerca. Nel 2010 eravamo al 60 per cento. Nell’ultimo decennio questa percentuale è crollata quasi a zero. Solo i big della tecnologia hanno a disposizione la capacità di calcolo e i dati per effettuare queste ricerche. La privatizzazione della ricerca e dei suoi obiettivi ha raggiunto un livello intollerabile.

Che cosa pensa succederà con l’Intelligenza artificiale?
I progressi rapidissimi del settore suscitano da una parte la speranza che alcuni dei problemi che assillano il mondo di oggi, persino il global warming, possano essere affrontati in modo più efficiente. Dall’altra, le grida di allarme che provengono dall’interno dello stesso mondo tecnologico – penso a personaggi come Eric Schmidt, che ha guidato Google per quasi vent’anni, e Sam Altman, Ceo di OpenAi – stanno spingendo i governi a legiferare per regolamentare il settore. Sarebbe ora! Per quasi trent’anni questo settore è potuto crescere in un ambiente totalmente sregolato. E oggi le cinque società che dominano il settore sono potenti come Stati.

Possiamo ancora fidarci della scienza?
Il metodo scientifico è lo strumento più potente inventato dall’uomo per indagare la natura. Ma l’uso che il potere fa della scienza non è sempre a vantaggio del bene pubblico. Gli anni che stiamo vivendo ricordano quelli della prima industrializzazione, quando lo sviluppo dell’industria andò avanti per troppo tempo senza regole e ci vollero decenni per creare la consapevolezza pubblica, la cultura collettiva e le istituzioni per costruirne di nuove. Oggi la consapevolezza non c’è e le persone sembrano belle contente di regalare la propria privacy alle grandi piattaforme in cambio dei servizi che ricevono gratis. Ma qualcosa fortunatamente sta cambiando. La consapevolezza dei rischi della tecnologia sulla nostra vita e sulla democrazia sta crescendo. Sarà una battaglia difficile, ma il momento è arrivato, non possiamo più sottrarci.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dimensione massima del file: 50MB Formati consentiti: jpg, gif, png Drop file here