Dis(livella)

 

 

“A morte ’o ssaje che d’è?… È una livella”, scriveva nel 1953 Totò in una delle sue poesie più belle. Per chi fosse a digiuno del dialetto napoletano, il testo dice più o meno questo: “Sai che cos’è la morte?… È una livella”.
La livella è quello strumento che utilizzano i muratori per verificare che i muri siano dritti e riportarli in perfetto piano qualora non lo fossero. Il senso della poesia è noto a tutti: di fronte alla morte siamo tutti uguali.
Ma se è vero in linea teorica, qualche dubbio ci viene leggendo il report che l’Istat ha rilasciato nelle scorse settimane circa le diseguaglianze nella mortalità.
Per condurre l’analisi, che ha riguardato la popolazione con 30 anni e più, è stato preso in considerazione il titolo di studio, caratteristica frequentemente impiegata come proxy della condizione socio-economica poiché fortemente correlata con altre misure di posizione sociale, quali la condizione occupazionale e la classe sociale. L’analisi registra numeri maggiori di decessi per i meno istruiti per la maggior parte delle cause di morte. Tuttavia, l’intensità cambia al variare della causa. Le maggiori differenze per titolo di studio si osservano, nelle donne così come negli uomini, nella mortalità per cirrosi, fibrosi ed epatite cronica, per tumori maligni dello stomaco e diabete. Si tratta per lo più di condizioni morbose la cui esposizione ai fattori di rischio è strettamente legata allo stile di vita (alimentazione, abuso di alcol) e ai comportamenti individuali (propensione alla cura, prevenzione, diagnosi precoce).
Parametri, a loro volta, influenzati nella maggioranza dei casi dal livello d’istruzione. Il titolo di studio è funzione anche della posizione sociale della famiglia di origine, dell’adozione di determinati stili di vita e delle opportunità di accesso alle cure. Siamo diseguali nella vita ma anche nella morte, insomma. Anzi, siamo diseguali al traguardo proprio perché partiamo con un certo distacco già ai nastri di partenza.

Vincenzo Mulè
Direttore responsabile

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