Nella primavera del 1950, dai marciapiedi di New York misteriosamente cominciarono a sparire molti dei bidoni per la raccolta della spazzatura. Negli stessi mesi in tutto il mondo si moltiplicavano gli avvistamenti di “dischi volanti”, sospettati di essere manovrati da alieni impiccioni e pericolosi. Una vignetta di Alan Dunn sul The New Yorker Magazine del 20 maggio rappresentava degli extraterrestri che, di ritorno sul loro pianeta, scaricavano dall’astronave i bidoni trafugati. Conversando di tutto questo con i colleghi Edward Teller, Herbert York ed Emil Konopinski durante un pranzo di lavoro in estate a Los Alamos, Enrico Fermi sbottò in Where is everybody? (Where are they?, secondo altri). In sostanza: “Ma dove sono?”. Il concetto è semplice: se su qualche pianeta dei 200 e passa miliardi di stelle della nostra galassia esistessero civiltà evolute, molte sarebbero più vecchie della nostra anche di milioni di anni. Avrebbero quindi avuto i mezzi e il tempo per esplorare gli immensi spazi interstellari, per curiosità o necessità, sino a raggiungere altri pianeti, tra cui il nostro. Però, di questi viaggiatori extraterrestri non c’è alcuna traccia, attuale o remota. Quindi, where is everybody?
QUESTIONI DI LOGICA E STORIA
In un articolo del 1985 E.M. Jones ha ricostruito, per quanto possibile a distanza di tanti anni e senza testimonianze scritte, quella conversazione segnata dalla tagliente battuta del fisico italiano e passata alla storia come “Il paradosso di Fermi”. Ma, come ha sottolineato R.H. Gray in un articolo del 2015, la battuta non è tecnicamente un paradosso e del resto l’espressione “paradosso di Fermi” compare per la prima volta in un articolo di D.G. Stephenson del 1977. Il termine “paradosso” (da para, oltre, e doxa, opinione, credenza) andrebbe riservato a un’affermazione assurda in base al senso comune e all’esperienza, che diventa vera ammettendo la validità delle premesse che la sostengono. Così è, per esempio, per il più celebre dei paradossi, quello di Achille e la tartaruga sostenuto da Zenone nel V secolo a.C. È assurdo affermare che Achille piè veloce non riesca a raggiugere la lenta tartaruga, a cui ha generosamente concesso un po’ di vantaggio nella gara di corsa, ma non è più assurdo se si ritiene logicamente che lo spazio sia divisibile all’infinito. Tutte le soluzioni proposte per superare il paradosso presentano qualche debolezza logica, lasciandoci nell’inquietante dubbio che Zenone avesse ragione e il movimento in natura sia un inganno dei sensi. Al contrario, la battuta di Fermi riguarda due fatti di per sé plausibili o certi (l’esistenza degli extraterrestri e l’assenza di prove al riguardo) in apparente aperta contraddizione, sanabile però con una spiegazione ad hoc senza generare assurdità logiche o sperimentali. Definire paradossi casi di questo genere è improprio, ma usuale anche nella scienza. Per esempio, si indica come “paradosso del Sole debole” il fatto che nei primi miliardi di vita il Sole fosse meno “luminoso” di adesso (per ragioni astrofisiche, la radiazione elettromagnetica stellare aumenta nel tempo); eppure il clima terrestre si manteneva, tranne periodi relativamente brevi di glaciazione, ben più caldo di oggi. L’apparente contraddizione si spiega con un modello dell’atmosfera terrestre primordiale che generava un più elevato effetto serra. Per questo, invece che “paradosso di Fermi” (Fermi’s paradox) alcuni preferiscono l’espressione “questione di Fermi” (Fermi’s question). Inoltre, il paradosso non andrebbe attribuito al solo Fermi, che tra l’altro non si è mai occupato di ufo ed extraterrestri, limitandosi a sottolineare l’assenza di prove della loro esistenza e le difficoltà tecniche dei viaggi interstellari. Più o meno negli stessi termini si era espresso negli anni ‘30 il fisico russo Konstantin Tsiolkovsky esperto di missilistica e volo spaziale ed esponente del movimento filosofico e scientifico dei “cosmisti”, che sosteneva, in una visione monistica del mondo, l’inevitabile futura espansione della nostra civiltà oltre i confini del sistema solare per un possibile incontro con civiltà intelligenti diffuse in tutto l’universo, che però non si erano ancora a noi manifestate. Il pensiero di Tsiolkovsky, sacrificato dal materialismo ideologico e dall’isolamento linguistico della Russia di allora, si è diffuse solo più tardi, quando l’espressione “paradosso di Fermi” si era già radicata nella letteratura scientifica. Seppur diffusa in forma aneddotica, la battuta ha goduto della fama scientifica di Fermi (1901- 1954), premio Nobel per la Fisica nel 1938 per aver scisso il nucleo dell’atomo con neutroni lenti, studiato il decadimento beta e realizzato nel 1942 a Chicago la prima pila atomica. L’attribuzione a Fermi del paradosso è quindi solo formale, un po’ come in geometria il “teorema di Pitagora” indica una proprietà del triangolo rettangolo nota ai Babilonesi già da molti secoli.
SOLUZIONI DISCUTIBILI
Seppur formalmente non negazionista, il paradosso di Fermi è di fatto una “provocazione” per i sostenitori dell’esistenza di civiltà aliene e, soprattutto, per gli attivisti del Seti (Search for ExtraTerrestrial Intelligence) che da oltre 60 anni stanno cercando senza successo di captare nello spazio radiosegnali con caratteristiche di intenzionalità. Per neutralizzarlo, nel corso degli anni sono state avanzate molte soluzioni. Le 75 più significative sono state raccolte e commentate dal fisico e divulgatore inglese Stephen Webb nel libro If the universe is teeming with aliens… where is everybody? del 2018 (Se l’universo brulica di alieni… dove sono tutti quanti?, Sironi Editore, 2020). Nella prima edizione del libro, del 2002, le soluzioni erano solo 50. Webb le divide in tre categorie: gli extraterrestri sono già qui o lo sono stati in passato (10 soluzioni); gli extraterrestri esistono ma per qualche motivo non ne abbiamo prove (40); gli extraterrestri non esistono (25). Le soluzioni della prima categoria sostanzialmente negano il paradosso di Fermi, attribuendolo alla nostra incapacità o indisponibilità a riconoscere fatti evidenti: gli extraterrestri ci stanno spiando (in presenza o a distanza con dispositivi automatici), forse per preparare una futura invasione del nostro pianeta. Oppure, hanno abitato e poi abbandonato la Terra in tempi remoti lasciandoci opere grandiose come le rovine di Göbelki Tepe, le piramidi, le linee di Nazca e altro ancora. Addirittura, secondo alcuni, avrebbero generato la specie umana, inferiore però alla loro per capacità cognitive e intellettuali. Si tratta in ogni caso di soluzioni in larga misura esoteriche, più affini alla fantascienza che alla scienza. La seconda categoria raccoglie le soluzioni che spiegano il “grande silenzio” della galassia senza negare l’esistenza degli extraterrestri. Sono le più interessanti perché basate su plausibili argomenti tecnici o sociologici. Al primo posto sta l’impossibilità fisica, anche per civiltà avanzatissime, di imprimere alle astronavi velocità superiori anche di solo qualche percento rispetto alla velocità della luce e quindi di percorrere in migliaia o milioni di anni le enormi distanze interstellari. I loro messaggi o le loro sonde potrebbero però essere in viaggio e raggiungerci in futuro. Inoltre, gli extraterrestri potrebbero impiegare tecnologie di comunicazione ancora a noi sconosciute. Alcune soluzioni di stampo sociologico suppongono che gli extraterrestri non siano interessati a comunicare con noi terrestri, forse perché non ci ritengono all’altezza o perché, come facciamo noi, sono orientati più alla ricezione che all’invio di messaggi nello spazio, operazione certamente più impegnativa e costosa. La terza categoria raccoglie le soluzioni più radicali, volte a dimostrare che gli extraterrestri semplicemente non esistono perché la vita è un unicum terrestre. Si ritiene infatti che i parametri fisico-chimici e cosmologici dell’universo siano tali da rendere l’insorgenza della vita un evento talmente improbabile da essersi prodotto una sola volta su un solo pianeta, la nostra Terra. È un’ipotesi antropica che sarebbe smentita se si trovassero altrove forme di vita elementari che attestino che l’origine abiogenetica della vita non è un privilegio locale e irripetibile. Questa scoperta non smentirebbe il paradosso di Fermi, che implica l’esistenza di extraterrestri evoluti almeno al nostro livello intellettuale e tecnologico ma lo indebolirebbe molto perché è ragionevole ammettere che organismi elementari possano darwinianamente evolversi, come è avvenuto sul nostro pianeta in circa quattro miliardi di anni, in esseri complessi, coscienti e in grado di imparare dall’esperienza.
UN PARADOSSO DESTINATO A DURARE
È evidente che, al di là di tutti gli sforzi logici e sperimentali, il paradosso di Fermi non può essere facilmente eluso e continua a esercitare una forte attrazione scientifica, producendo di continuo articoli e libri con nuovi argomenti in molteplici direzioni di ricerca. Alcuni fatti potrebbero in futuro cambiare le carte in tavola, come la scoperta di forme elementari di vita su Marte o altri corpi celesti, l’avvistamento di biofirme o tecnofirme su qualcuno dei molti esopianeti “terrestri” oggi noti, l’approntamento di nuove tecnologie di messaggistica spaziale, come i laser ottici, le comunicazioni quantistiche e le lenti gravitazionali. È comunque facilmente prevedibile che per molto ancora, come Enrico Fermi, saremo costretti a chiederci where is everybody?
L’ipotesi dello zoo
Una delle più stravaganti soluzioni del paradosso di Fermi è la cosiddetta “ipotesi dello zoo” (zoo hypothesis), esposta da J.A. Ball nel 1973. Sostiene, in sintesi, che una civiltà aliena superintelligente e supertecnologica ci sta tenendo sotto osservazione da molto tempo, in incognito e senza interferire. Lo scopo sarebbe quello di studiare i comportamenti e l’evoluzione della civiltà umana, considerata a un livello inferiore al loro. Un po’ come facciamo noi con gli animali osservati liberi nelle riserve. Potrebbero però anche stare preparando la colonizzazione del nostro pianeta o, addirittura, potrebbero già nascondersi tra di noi (“Gli alieni sulla Terra siamo noi ungheresi” è la battuta attribuita al fisico Leo Szilard). Una versione dell’ipotesi dello zoo è stata espressa da R. Bracewell nel 1975, secondo cui un ristretto numero di progredite civiltà galattiche “vigilerebbe” con sonde robotizzate su altre civiltà, tra cui la nostra, non ancora al loro livello di evoluzione scientifica e sociologica. Nel 1987 M. Fogg ha presentato una versione, detta “ipotesi dell’interdizione”, secondo cui le civiltà aliene più evolute avrebbero colonizzato la galassia da molto tempo spartendosi il dominio dei vari sistemi stellari sino all’odierno stato stazionario. La nostra civiltà, come altre inferiore alla loro forse solo perché di più recente formazione, sarebbe inconsapevolmente oggetto di studio per scopi non definiti ma certo sospetti. Tutte le ipotesi dello zoo hanno il difetto di essere praticamente indimostrabili, trovando così facile accoglienza nella letteratura di fantasia.