Si sta concludendo un’estate difficile per l’Emilia Romagna, impegnata a ripartire dopo il disastro. Come dimenticare l’alluvione, le città sommerse, i campi allagati e gli animali morti negli allevamenti? E poi, la corsa alla vaccinazione antitetanica, i detriti portati dai fiumi nell’Adriatico, le disdette dei turisti, la paura dei bagni in mare e del pesce pescato lungo la costa? Una lezione dolorosissima che ha dimostrato ancora una volta come la salute dell’uomo, degli animali e dell’ecosistema siano intimamente connesse fra loro. Una salute unica, come espresso dal concetto one health sempre più sostenuto dalla comunità scientifica internazionale. Si stanno moltiplicando gli studi che provano come il cambiamento climatico, il consumo di suolo, la perdita di biodiversità, la crescita demografica e la globalizzazione stiano favorendo l’insorgenza e la diffusione di nuove malattie. I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità evidenziano come il 75% delle malattie emergenti dell’uomo, riconosciute negli ultimi decenni, abbia avuto origine dal serbatoio animale. Minacce come ebola, Aids, influenza aviaria e perfino Covid-19 sono conseguenza dell’impatto delle attività umane sugli ecosistemi naturali. C’è dunque la consapevolezza che, per affrontare questa sfida, serva “un nuovo approccio integrato e olistico che consideri le interconnessioni che esistono tra uomo e natura”, spiega Marcella Trombetta, preside della facoltà dipartimentale di Scienze e tecnologie per lo sviluppo sostenibile e one health dell’università Campus bio-medico di Roma. Quello che serve è un nuovo modo di pensare che deve riguardare tutti, “dal singolo cittadino fino alle istituzioni. Anche per questo è stato da poco istituito l’Intergruppo parlamentare one health”, affiancato da un comitato tecnico-scientifico di cui Trombetta fa parte, “che ha proprio l’obiettivo di introdurre un modello di governance che superi l’attuale frammentazione delle iniziative a tutela della salute ambientale, umana e animale”, racconta la studiosa. Lo stesso ministro della Salute Orazio Schillaci ha più volte ricordato che questo rappresenta un obiettivo prioritario del suo dicastero e un approccio valorizzato non solo nel Piano nazionale della prevenzione 2020-2025, ma anche nella Missione 6 del Pnrr. Nell’ottica di questo cambiamento, gli scienziati avranno un ruolo di primo piano: “La prima cosa che dobbiamo fare – afferma Paolo Ravazzani, bioingegnere e direttore dell’Istituto di elettronica e ingegneria dell’informazione e delle telecomunicazioni del Cnr – è ragionare in modo multidisciplinare: in medicina siamo già abituati a farlo. Pensiamo ad esempio alla bioingegneria che unisce competenze biologiche, mediche e ingegneristiche. Ora – aggiunge Ravazzani – si tratta di estendere questo concetto al mondo animale, vegetale e all’intero eco- sistema. Tecnologie innovative come biorobot, nanoparticelle, satelliti e tecniche di sequenzia- mento genetico sono solo alcuni degli strumenti che possono essere messi al servizio della salute circolare”. Per fare un
esempio pratico del loro utilizzo, basta pensare al cibo che portiamo in tavola: magari un bel pollo arrosto con patate. Cominciamo allora dal contorno. Per coltivare i tuberi in modo più sano e sostenibile, secondo i nuovi canoni dell’agricoltura di precisione, si possono impiegare tecniche di analisi delle immagini satellitari che permettano di valutare l’umidità del suolo e la salute delle piante. Passando al pennuto, l’impiego di nanotecnologie per il rilascio mirato di farmaci potrebbe potenziare l’efficacia degli antibiotici usati nell’allevamento riducendone le dosi. Per evitare poi che nuovi virus facciano il salto di specie verso l’uomo, ecco che ci possono venire in aiuto “le tecniche di sequenziamento genetico per individuare rapidamente nuovi patogeni”, aggiunge l’esperto del Cnr. Infine, una volta che pollo e patate sono pronti, poterli tracciare dal produttore al consumatore significa garantirne la provenienza (certificando chi alleva e coltiva in maniera sostenibile) e il rapido ritiro dal mercato in caso di insalubrità del prodotto. Per farlo “servono etichettature wireless che interagiscano con l’alimento senza alterarlo in alcun modo e sistemi di intelligenza artificiale che consentano di gestire in tempo reale i big data riguardanti tonnellate di prodotti commercializzati in tutto il mondo”, spiega Ravazzani. Molte di queste tecnologie per la one health “sono già disponibili, ma la vera sfida – conclude l’esperto – sarà quella di renderle sempre più sostenibili e accessibili”.