Era il 1610 quando Galileo Galilei, puntando il suo cannocchiale al cielo, osservò per la prima volta Europa, Ganimede e Callisto. Sono le tre lune ghiacciate di Giove, meta del viaggio ambizioso della missione Jupiter Icy Moons Explorer (Juice) dell’Esa, decollata lo scorso 14 aprile dallo spazio porto di Kourou, nella Guyana francese, alla ricerca di segni di abitabilità nei satelliti galileiani del gigante gassoso del nostro Sistema solare. Sotto la spessa crosta di ghiaccio della loro superficie potrebbero esserci grandi quantità di acqua liquida, quindi condizioni favorevoli alla vita. “L’acqua è un elemento fondamentale per lo sviluppo della vita, per lo meno come la conosciamo qui sulla Terra”, puntualizza Elena Pettinelli, geofisica dell’università Roma Tre che, con il suo Laboratorio di fisica della Terra e dei pianeti, è impegnata in questa missione dell’Agenzia spaziale europea: “Con il radar Rime, acronimo di Radar for Icy Moons Exploration, andremo alla ricerca di oceani sotterranei in queste tre lune che orbitano attorno a Giove e ne studieremo la stratigrafia, a caccia di indizi che possano confermare la vita extraterrestre”.
In effetti, la presenza di acqua allo stato liquido in superficie o negli strati sottostanti è considerata un requisito fondamentale per la definizione di abitabilità: in altre parole, riteniamo che dove ci sia acqua possa esserci vita. Ma c’è acqua sugli altri pianeti?
C’è acqua nel sottosuolo di Marte, c’è ghiaccio sulla Luna e addirittura su Mercurio, dove non immagineremmo che possa esserci vista la vicinanza al Sole. L’acqua nel sistema solare è molto più comune di quanto pensassimo 20 anni fa e i satelliti che ruotano intorno a Giove, Saturno e Urano sono probabilmente molto ricchi d’acqua. In percentuale molto più della Terra. Del resto, se la Terra avesse le dimensioni di un pallone da basket, tutta l’acqua occuperebbe il volume di una pallina da ping pong. La massa dell’acqua terrestre è pari allo 0,02% della massa totale del nostro pianeta.
Allora, non siamo soli nell’universo?
L’astronomo e divulgatore Carl Sagan ha detto: “L’universo è un posto veramente grande; se ci fossimo solo noi sarebbe davvero uno spreco di spazio”. Detto questo, l’acqua è una delle basi della vita ma quando parliamo di abitabilità planetaria non dobbiamo pensare solo all’acqua. Dobbiamo pensare anche ad altre condizioni fondamentali per generare la vita: molecole che servono ai batteri per nutrirsi, energia per attivare le attività cellulari, un ambiente stabile. Il punto è che dove non ci sono un campo magnetico e un’atmosfera densa si è in balia delle particelle cariche emesse dal Sole e delle radiazioni cosmiche che sterilizzano la superficie. Ecco perché andiamo a cercare la presenza e le tracce di acqua nel sottosuolo.
Come?
Nel caso della missione Juice, con il radar Rime potremo sondare fino a nove chilometri al di sotto della superficie delle lune ghiacciate. Rime è un radar sottosuperficiale: emette onde radio e raccoglie dati grazie ai loro echi, alle riflessioni cioè di tali onde da parte dei materiali e delle strutture geologiche presenti nel sottosuolo. E proprio tali riflessioni ci consentiranno di vedere al di sotto della superficie, dove l’occhio umano non arriva, e di comprendere, come a suo tempo fu per Marte, le caratteristiche del sottosuolo identificando anche l’eventuale presenza di acqua allo stato liquido.
Nel caso di Marte, si riferisce alla sonda Mars Express che dal 2005 gli gira intorno?
Sì, e al radar italiano Marsis con cui abbiamo scoperto acqua liquida salata sotto la calotta polare sud del Pianeta.
Le prime pubblicazioni relative alla presenza di acqua sotto la superficie di Marte risalgono al 2018. Nel frattempo si è però aperto un acceso dibattito su questa scoperta. A che punto siamo?
C’è stata in effetti una grossa diatriba su questa scoperta. Una serie di articoli pubblicati da colleghi americani su Geophysical Research Letters ha proposto spiegazioni alternative agli echi radar raccolti da Marsis: non sarebbero la firma dell’acqua allo stato liquido, ma di altre sostanze (ghiacci salini, argille, ecc.). Noi abbiamo ribattuto e confutato punto per punto queste possibili alternative eseguendo degli esperimenti nel nostro laboratorio a Roma Tre e pubblicando i risultati sulle riviste scientifiche del settore. Poi, anche i risultati di un team della Cambridge University hanno confermato la nostra scoperta: sulla superficie del ghiaccio hanno osservato le stesse forme morfologiche che si riscontrano al di sopra dei laghi subglaciali artici ed antartici.
In altre parole, acqua liquida nascosta sotto il ghiaccio. Liquida, nonostante le temperature, a causa delle concentrazioni molto elevate di sali perclorati?
Esattamente. Il sale abbassa la temperatura di congelamento dell’acqua.
Assistiamo a un grande fermento nel campo dell’esplorazione spaziale: alla volta di Giove partirà anche la missione Nasa Europa Clipper. Con Artemis si vuole tornare sulla Luna e c’è l’ambizione di raggiungere anche Marte con un equipaggio umano. Che cosa conosciamo del Pianeta Rosso?
Di Marte conosciamo molte cose, ma tante altre dobbiamo ancora comprenderle meglio. Oggi è un pianeta estremo, freddo e inospitale, ma sappiamo che ha avuto un passato diverso: nel primo mezzo miliardo di anni aveva probabilmente un’atmosfera ragionevolmente densa, tale da permettere l’esistenza di acqua liquida in superficie: laghi, mari, fiumi ed altre strutture geologiche che ora non ci sono più ma hanno lasciato tracce in superficie. Stiamo ancora cercando di capire che cosa sia successo: forse la scomparsa progressiva dell’atmosfera è imputabile alla mancanza di campo magnetico interno che, come il campo magnetico terrestre, protegge dal vento solare. Per cui piano piano le particelle cariche del Sole hanno eroso l’atmosfera marziana riducendola a un centesimo della pressione dell’atmosfera terrestre, rendendola così incompatibile con la presenza di acqua in superficie.
In generale lo spazio è un luogo inospitale per noi umani e viaggiare nello spazio rappresenta una grossa sfida, umana e tecnologica. Che cosa ci spinge a farlo?
Innanzitutto, la voglia di conoscenza. Conoscere altri luoghi che potrebbero aver ospitato tentativi di sviluppo di diverse forme di vita. In fondo, “c’è o c’è stata vita al di fuori della Terra?” è per noi una domanda fondamentale. Inoltre non si sottovaluti il fatto che i pianeti sono interessanti e ottimi insegnanti che ci possono far capi re anche alcuni aspetti del nostro pianeta. Venere, per esempio, è caratterizzata da una condizione estrema di effetto serra: in superficie ci sono 460° e l’atmosfera è molto densa – è fatta di CO2 – di quelle molecole che sulla Terra stiamo monitorando per comprendere la gravità dei cambiamenti climatici. E infine esplorare i pianeti attraverso le tecniche geofisiche è una sfida affascinante.
La sua attività di ricerca la proietta nello spazio, anche se rimane con i piedi ben saldi a terra nel suo laboratorio romano. Che cosa l’ha spinta a occuparsi di geofisica planetaria?
Come gran parte delle persone nate tra gli anni Sessanta e Settanta sono stata affascinata dalle missioni lunari: da bambina ero rapita dalla cronaca dell’esplorazione del nostro satellite naturale. È nata allora la mia passione per la planetologia. Poi il caso ha fatto il resto.