L’UE e la partita dei veicoli inquinanti

Italia-Germania di solito finisce a nostro favore se parliamo di calcio. Negli equilibri politici Ue, invece, è tutta un’altra storia e il dossier automotive ne è soltanto l’ultima, plastica dimostrazione. Il Consiglio europeo ha dato il via libera al regolamento che vieta la produzione e la vendita nell’Unione di veicoli inquinanti a partire dal 2035. Il bando riguarderà solo i mezzi immatricolati dopo quella data, che non potranno più essere alimentati da benzina o diesel. L’accordo è arrivato dopo dure polemiche e una partita tattica che ha visto Berlino furba protagonista e Roma vittima del proprio scarso peso nei consessi Ue che contano. I tedeschi, infatti, hanno approfittato per settimane del no di Italia, Polonia e Bulgaria al regolamento che bandiva in toto i motori termici e ha creato così una minoranza di blocco. Nel frattempo, ha negoziato la deroga al divieto per i carburanti sintetici, gli e-fuels, e ha poi cambiato posizione, lasciando gli altri tre Paesi con un palmo di naso. Il governo Meloni a sua volta puntava ad avere una deroga simile per i biocarburanti, ma dall’Europa è arrivata una secca risposta negativa. Ora Roma cerca di aggrapparsi a una possibile riapertura della trattativa per nascondere l’impronta dello schiaffo. L’obiettivo è dimostrare per i biocarburanti la neutralità in termini di emissioni sull’intero ciclo di vita. Nel frattempo, comunque, l’esecutivo italiano ha ammorbidito i toni e ha convertito la posizione contraria in una astensione sulla votazione finale del regolamento. Una svolta diplomatica funzionale al mantenimento del dialogo in vista del “tagliando” che le norme sui motori termici comunque subiranno nel 2026 e che potrebbe vedere i biofuels rientrare in partita. Nel merito, non è infatti assodato – come sostiene Bruxelles – che gli e-fuels abbiano un impatto ambientale minore rispetto ai biocarburanti. La loro produzione parte dall’elettricità che tuttavia deve essere rinnovabile per rendere il ciclo ambientalmente neutro: pur- troppo, però, sarà impossibile saturare con le fonti pulite la produzione da qui al 2035 e scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno (elettrolisi) dando luogo al celebre idrogeno “verde”. Poi questo si combina con il carbonio e si creano molecole formate solo da atomi di idrogeno e carbonio; in tal modo scaturiscono i carburanti sintetici. Purtroppo, in stragrande parte, l’idrogeno prodotto attualmente è “grigio” e non “verde” perché estratto da fonti fossili, che generano emissioni di biossido di carbonio. Anche il carbonio stesso non si trova in giacimenti facilmente raggiungibili: per lo più, lo abbiamo nell’aria sotto forma di CO2 o comunque da scarti industriali e il processo di cattura è difficile e costoso. Dunque gli e-fuels vengono prodotti in modo davvero green solo utilizzando elettricità da fonti rinnovabili e idrogeno verde, ma gli impatti economici al momento sono altissimi. E non si vedono innovazioni tecnologiche che lascino presagire un deciso abbattimento delle spese da qui al 2035. Tra i colossi globali che lavorano a questo comparto ci sono i marchi più celebri delle energie fossili e i player delle rinnovabili, tra cui Eni, ExxonMobil, Engie, Enel Green Power, Repsol, Siemens Energy, Iveco, Gulf o Mazda. Ma le previsioni degli esperti dicono che un litro di benzina sintetica non costerà meno di 3-5 o persino 10 euro. La Germania si è impuntata perché ha una tradizione quasi centenaria nello studio dei processi di produzione degli e-fuels. Insomma, i carburanti sintetici sono figli al momento di un procedimento che in molti giudicano energivoro e poco sostenibile, per cui è stata criticata la loro ammissione nel novero delle tecnologie carbon neutral. Un’indulgenza che Bruxelles non ha invece avuto finora verso i biocarburanti, considerati causa di una maggiore impronta in termini di uso del suolo, con un impatto indiretto anche sull’agricoltura. L’Italia è all’avanguardia nel comparto, con una produzione da 2,12 milioni di tonnellate, praticamente un decimo dell’intero volume europeo. All’inizio ha puntato soprattutto sui semi oleosi, poi ha aumentato il ricorso ai sottoprodotti di origine animale e vegetale, agli scarti, agli olii esausti come materie prime alternative. Per i soggetti protagonisti della filiera nostrana si tratta di processi e colture non in competizione con l’agroalimentare, mentre si calcola che le emissioni di CO2 siano abbattute dal biodiesel dell’85% rispetto al diesel tradizionale. Bisogna allora puntare su una soluzione già disponibile su vasta scala e difendere anche dopo il 2035 – chiedono gli imprenditori – gli investimenti fatti e i risultati raggiunti sul versante della decarbonizzazione. Una forte pressione viene in particolare da Coldiretti, sigla molto vicina al partito della premier Giorgia Meloni. Tocca allora al governo convincere l’Europa che anche i biofuels sono climaticamente neutri. Magari approfittando dell’ammissione della Commissione Ue che si è detta “non in grado di fornire ora una precisa indicazione di quali e quanti carburanti potrebbero essere considerati validi dopo il 2035”. Insomma, la Germania per adesso vince uno a zero ma, come da tradizione, l’Italia potrebbe rifarsi ai tempi supplementari.

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