Continuano su Prisma le riflessioni del fisico e giornalista free lance Piergiorgio Pescali sul conflitto tra Ucraina e Russia in merito a potenziali attacchi a centrali nucleari e relative conseguenze. Piergiorgio aveva con noi già affrontato, nei primi giorni del conflitto, la difficile gestione della centrale nucleare di Chernobyl e poi i rischi legati a Zaporizhzhia. Oggi invece il problema è a Kursk
Nel mezzo della crisi energetica causata dalla guerra, con i continui bombardamenti di centrali elettriche, dighe, devastazioni e saccheggi di impianti solari ed eolici, il nucleare ha dimostrato di essere la fonte energetica non fossile più stabile e sicura, che fornisce, nonostante il fermo di Zaporizhzhia, il 50% dell’energia prodotta in Ucraina.
Ora, però, ci troviamo davanti ad una situazione assai differente: la centrale nucleare di Kursk evidenzia un potenziale pericolo più reale. Kursk è una delle ultime tre centrali al mondo che ha reattori di tipo RBMK, lo stesso modello che ha causato l’incidente di Chernobyl. Gli altri due siti, tutti russi, che mantengono questi reattori sono quelli di Leningrad e Smolensk.
Kursk ha quattro RBMK: due di questi, l’Unità 1 e 2, sono oggi in fase di decommissione e le barre di combustibile sono già state rimosse dall’Unità 1. Gli ultimi due, l’Unità 3 e 4, smetteranno di funzionare rispettivamente nel 2029 e nel 2031. Sebbene la sicurezza degli RMBK sia stata adattata agli standard europei, il principale problema posto da essi è l’esposizione a eventi bellici. A differenza dei reattori in uso nelle centrali nucleari, gli RMBK sono stati progettati per un uso ibrido: militare e civile. Al fine di consentire la frequente estrazione di plutonio-239 i reattori mancano di una protezione adeguata; non hanno alcun contenimento rimanendo così vulnerabili anche a colpi di artiglieria.
Ecco perché, di fronte all’attacco del drone abbattuto il 22 agosto, la AEIA si è prontamente mobilitata accettando la richiesta del direttore generale di Rosatom, Alexey Likhachev, di visitare la centrale di Kursk.
Ma il sito ospita la futura generazione di reattori VVER, i VVER-TOI, che la Rosatom e che questa vorrebbe commercializzare all’estero. Due reattori di questo tipo sono in costruzione a poca distanza dal sito originario ed uno di essi è già stato ultimato, è già stato riempito di barre di combustibile e sarà pronto a entrare in attività entro la fine del 2024. Sebbene i VVER abbiano sufficiente protezione da poter sostenere senza problemi un attacco missilistico convenzionale, la presenza di truppe ucraine a poca distanza dal più sofisticato reattore nucleare russo, rappresenta un duro colpo morale e psicologico per il Cremlino e per la Rosatom stessa.
A Kiev basta questo: innalzare le proprie bandiere a pochi chilometri dalla centrale di Kursk. Del resto, l’Ucraina non ha né energie né risorse per occupare un sito così pericoloso e così tragicamente riconducibile ad un fatto di storia che si preferirebbe dimenticare. I tecnici, gli ingeneri, i chimici e i fisici che potrebbero avere sufficienti conoscenze per far funzionare e controllare un reattore RBMK sono per lo più occupati a Chernobyl e nessuno vuole ripetere l’esperienza del 1986.