Nel 2010 Simon Mundy giornalista e reporter del Financial Times, decide di intraprendere un viaggio di oltre 2 anni che tocchi tutti i continenti per veder con i propri occhi le realtà “di frontiera”. In un mondo travolto dal cambiamento climatico, Sfida al futuro. Viaggio attraverso un mondo in lotta con la crisi climatica (HarperCollins, 2022) è il frutto di quel viaggio, che è diventato una raccolta di storie e di testimonianze dai quattro angoli del pianeta.
L’idea del viaggio ha una genesi precisa…
Mentre lavoravo come corrispondente dall’estero in India, ho avuto l’opportunità di visitare una regione del subcontinente pesantemente colpita dalla siccità, dove i cambiamenti climatici estremi a cui i contadini avevano dovuto far fronte mi hanno aperto gli occhi sulla drammatica urgenza della crisi climatica. Contemporaneamente, come giornalista economico, osservavo con crescente attenzione il complesso universo che gravitava attorno al cambiamento climatico tra aziende e intere nazioni che cercavano nuove vie di adattamento sfruttando le opportunità offerte dal climate changing e dalla conseguente transizione energetica. Ho subito realizzato che questo non è un argomento tra gli altri ma la più grande storia del XXI secolo.
Quale consapevolezza avevano del problema del cambiamento climatico le persone che hai incontrato?
Pur essendo di differente estrazione socio-culturale, economica e vivendo in contesti assolutamente lontani, tutti erano profondamente, quasi avidamente, interessati all’argomento. Nel Nord-Est dell’Etiopia, ad esempio, ho trascorso molto tempo tra comunità di pastori che stavano combattendo contro una siccità mai vista in passato e contemporaneamente con invasioni di locuste che stavano devastando i pochi raccolti. Hanno avuto una percezione immediata della drammaticità del cambiamento climatico, a differenza di molti abitanti dei Paesi più avanzati. Lo stesso vale per i migranti climatici che ho incontrato in Bangladesh, costretti a vivere negli slums delle periferie di città dopo aver dovuto abbandonare le loro abitazioni rurali non potendo più coltivare il riso. Così i coltivatori di caffè del Nicaragua colpiti da devastanti uragani o gli abitanti dei villaggi delle Isole Salomone le cui case sono state sommerse dal crescente livello dei mari.
Come vivevano questa condizione?
Insieme alla consapevolezza della gravità della minaccia, tutti avevano anche la chiara coscienza di non aver contribuito che in minima parte a scatenare questa tragedia ambientale, causata invece prevalentemente dalle economie avanzate.
Ci sono incontri che ti hanno colpito maggiormente?
In Mongolia ho trascorso diverse settimane attraversando le remote regioni del Nord-Ovest del Paese, seguendo i pastori nomadi che vivono ancora come facevano i loro antenati al tempo di Gengis Khan. Condividere con loro quest’esperienza, immerso tra gli spettacolari paesaggi invernali mongoli, è stato un privilegio, ancor più perché il loro stile di vita è pesantemente minacciato: lo scioglimento sempre più veloce dei ghiacci artici ha alterato le temperature e le correnti umide in tutto l’emisfero settentrionale, generando in Mongolia inverni rigidissimi che arrivano ad uccidere migliaia di capi di bestiame.
Quali difficoltà impreviste hai incontrato?
Difficile fare una classifica. Il viaggiare ininterrottamente per un arco di tempo tanto esteso, in così tanti Paesi, è stata una grande sfida che ha richiesto un adattamento continuo a nuove culture e situazioni. Talvolta le condizioni meteo sono state molto ostili, come nel caso del freddo estremo in Mongolia o dell’insopportabile caldo in Etiopia, come raccontavo. Non posso non citare quando mi sono dovuto arrampicare a piedi nudi in una miniera sotterranea clandestina di cobalto in Congo… un’esperienza spaventosa. Allo stesso tempo, però, sono state tutte esperienze estremamente appaganti, che mi hanno dato la possibilità di acquisire nuove conoscenze.
Sono 50 anni che raccontiamo la crisi climatica con le stesse parole, eppure poco sembra cambiare. Questo tuo libro pensi che possa cambiare la narrazione sul tema?
Sono stati scritti molti libri brillanti sull’argomento ed esistono molte altre forme di comunicazione che funzionano e che hanno aiutato a generare le risposte che abbiamo cominciato a vedere. Ma credo che raccontare coinvolgenti storie di singoli individui possa servire a raggiungere il pubblico in modo differente.
Da questo viaggio che ruolo emerge per la ricerca?
Ho potuto toccare con mano anche storie di straordinaria speranza. Ho sperimentato l’incredibile intraprendenza e determinazione dell’uomo nell’affrontare questa lotta: imprenditori e menti geniali stanno sviluppando nuove tecnologie che avranno un impatto determinante sulla futura economia globale. Assistiamo ad uno sforzo economico e di energie focalizzato sulla risoluzione di problemi legati alle conseguenze del cambiamento climatico mai visto prima: dalle aziende israeliane che producono carne di manzo sintetica ed eco-sostenibile in bio-reattori ai magnati cinesi che stanno mettendo in commercio a ritmi impressionanti macchine che sfruttano fonti rinnovabili come elettrico e eolico, agli scienziati statunitensi che fanno a gara nello sviluppo di nuove tecnologie per la fusione nucleare. Questo è un vero motivo di speranza.
Dopo questo viaggio, che cosa ti senti di dire sul nostro futuro?
Nulla è ancora scritto in modo definitivo e molteplici potranno essere gli scenari futuri. La situazione di emergenza però è già drammatica ora e peggiorerà ancora, anche per le enormi quantità di anidride carbonica che stiamo continuando a immettere in atmosfera. In questo senso, è già troppo tardi per evitare il disastro. Ma per fortuna non c’è solo questo. Stiamo vivendo un momento cruciale nella storia dell’uomo: si sta chiudendo per sempre l’ultrasecolare età dei combustibili fossili e stiamo entrando in una nuova era a basse emissioni di anidride carbonica. Il cammino è solo all’inizio, niente ancora è scritto, c’è moltissimo da fare ma non c’è un limite al progresso davanti a noi.