L’attribuzione alla lettera x del significato “qualcosa di incognito” è così radicata da essere usata abitualmente nel nostro linguaggio anche in altri contesti: X files, project X, fattore X sono solo alcuni esempi di espressioni che sentiamo abitualmente e il cui significato è chiaro e condiviso da tutti. La relazione con l’incognito di questa lettera è così forte da arrivare addirittura alle sfumature di “qualcosa di segreto”. Da dove nasce questa associazione di significato? Ovviamente dalla matematica: a scuola ci hanno ripetuto più e più volte che in algebra le lettere sono le incognite. A onor del vero, ci hanno poi detto che possono essere dei parametri e che in alcuni contesti sono delle variabili, ma sotto sotto il messaggio è rimasto: se stiamo facendo matematica, una lettera non è altro che il travestimento di un numero. Nella maggior parte dei casi, un numero a noi sconosciuto. Allora ci deve essere stato qualcuno che, a un certo punto, ha deciso di usare le lettere con questo significato e che, per qualche ragione, ha scelto la x come lettera prediletta. Il pensiero va alla rivoluzione del linguaggio matematico quando a partire dal XV secolo in Europa si iniziò attivamente a sperimentare simboli e strutture nuove per migliorare la comprensione e lo sviluppo della disciplina. Gli algebristi italiani del Rinascimento introdussero l’uso delle lettere per indicare le incognite nella risoluzione delle equazioni. Tuttavia, il primo personaggio a definire un vero e proprio criterio convenzionale per l’uso delle lettere fu il francese François Viète nella seconda metà del 1500. La sua idea fu quella di usare le vocali per rappresentare le quantità incognite e le consonanti per le quantità note: un sistema che, nella sua semplicità, riesce a distinguere il ruolo di incognita e introduce ufficialmente l’alfabeto tra gli strumenti matematici. Qualche tempo dopo, nel 1637, René Descartes perfezionò questo simbolismo assegnando alle prime lettere dell’alfabeto la funzione di descrivere quantità note, mentre alle ultime la funzione di incognite. La categorizzazione di Descartes è la stessa che usiamo ancora oggi e che ci dovrebbe risultare più familiare: a, b e c indicano i parametri, mentre x, y e z le incognite. Ma allora, se le ultime lettere hanno tutte lo stesso ruolo, perché la x è più speciale delle altre tanto da aver valicato i confini della matematica ed essere entrata nel linguaggio comune? In realtà, la x ha avuto fin dall’inizio della storia delle equazioni un ruolo privilegiato rispetto alle altre lettere e una prima ragione risale agli studi arabi del IX secolo d.C., quando il termine che significa “la cosa”, l’antico appellativo dell’incognita, si esprimeva attraverso una parola che alle orecchie degli studiosi europei, soprattutto spagnoli, ricordava molto il suono x. La seconda ragione, quella che ha definitivamente consacrato x come incognita prediletta, è riconducibile ancora una volta a Descartes, o meglio al tipografo che ha avuto l’ingrato compito di realizzare le prime copie a stampa della sua Géométrie. Nel 1637 stampare un manoscritto significava affidarsi a un esperto nell’uso del torchio a caratteri mobili, un sistema ingegneristico innovativo che però presentava un limite strutturale: il tipografo era vincolato al numero finito di caratteri mobili di cui disponeva per comporre ogni pagina da stampare. Quando il tipografo dovette occuparsi del manoscritto di Descartes si trovò a dover far fronte al problema della carenza di caratteri, in quanto le lettere x, y e z usate nelle formule e nelle parti matematiche dell’opera servivano anche nelle parti di testo. Per questa ragione, il tipografo chiese all’autore di sostituire tutte le y e le z usate come incognite con la x, dato che quest’ultima era presente in molti meno vocaboli rispetto alle altre e, di conseguenza, era meno importante nelle parti descrittive. La portata dell’innovazione fu tale da essere subito accolta da tutto il pubblico scientifico dell’epoca. Finalmente era possibile esprimere concetti algebrici in forma compatta e immediatamente comprensibile. Era stato definito un canone di utilizzo che coniugava la semplicità tecnica, la leggibilità e la tradizione poiché rispettava il suono già noto e familiare a molti matematici. Il passo verso la cultura popolare fu poi breve: normalizzato l’uso della x all’interno della matematica, il significato di “incognito” si è legato saldamente a questa lettera. Quindi, la prossima volta che sentiremo parlare di mister X o fattore X, nelle nostre orecchie riecheggerà un antico suono arabo e soprattutto dedicheremo un attimo a ripensare a quel povero tipografo francese a corto di caratteri mobili.