Che cosa accadrebbe se 11 dei più importanti snodi del traffico marino al mondo venissero bloccati per una qualsiasi causa, che potrebbe essere una mega-nave incagliata o l’attacco di un gruppo di pirati? Non stiamo parlando di una simulazione da videogioco a tema storico, ma dell’oggetto di ricerca di un importante studio dell’americana Duke University, che ha cercato di fare il punto sulle fragilità di uno dei mezzi di trasporto – quello navale – di più lunga storia nelle vicende dell’umanità. In tempi di internet, di metaversi e di aerei supersonici, sembra difficile immaginare che le economie globali possano dipendere dalle rotte marine, dalla loro lunghezza, da mitici passaggi tra i ghiacci o tra i continenti come all’epoca di Colombo o di Magellano. Eppure, quando nel 2021 il Canale di Suez fu ostruito, l’opinione pubblica mondiale riscoprì l’importanza vitale del commercio marittimo per la nostra quotidianità. Più di recente, le gravi interruzioni nelle catene di approvvigionamento intorno al pianeta, dovute alle difficoltà di grandi scali portuali, hanno confermato che gli stretti, la loro percorribilità, la loro navigabilità e la ricerca di nuove rotte non sono ricordi marginali di un passato di pirati e galeoni ma il rilevante presente del nostro commercio. Lo studio della Duke University, pubblicato su Communications in Transportation Research e finanziato dal programma Minerva del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, si basa sull’analisi dei dati Gis (Geographic Information System) delle rotte marittime globali e sull’analisi dei dati del commercio internazionale del 2019 per simulare scenari di chiusura nel Canale di Panama, nello Stretto di Gibilterra, nel Canale della Manica, negli stretti danesi, nello Stretto del Bosforo, nel Canale di Suez, nello stretto del Bab el Mandeb (posto tra lo Yemen e l’Africa orientale), nello stretto di Hormuz, nello stretto di Malacca tra la Malesia e l’Indonesia, nel Mar Cinese Meridionale e nel Mar Cinese Orientale. Le simulazioni hanno permesso di stimare non solo i tipi e il valore degli scambi che sarebbero venuti meno in ragione dell’ostruzione di ciascun punto di strozzatura, ma anche il modo in cui l’ostruzione stessa potrebbe portare al reindirizzamento dei flussi commerciali a livello globale. “Quando il commercio internazionale attraverso uno di questi punti di strozzatura viene ostacolato, il traffico delle navi in transito viene bloccato e le spedizioni successive vengono reindirizzate lungo rotte più lunghe per evitare il blocco. Questo blocco comporta un aumento dei tempi e dei costi di spedizione”, ha affermato Lincoln F. Pratson, autore dello studio e professore alla Duke University. “A loro volta, i porti che non possono spedire nuove merci a causa delle strozzature iniziano ad accumulare arretrati con enormi difficoltà logistiche. Avere un’idea per quanto possibile precisa di cosa aspettarsi in caso di blocco prolungato delle spedizioni presso uno di questi 11 punti di strozzatura – ha aggiunto Pratson – può aiutare i governi, le imprese e i gestori dei porti a sviluppare strategie per ridurre i potenziali ritardi e le perdite economiche”. Le navi mercantili movimentano circa l’80% di tutto il commercio internazionale in volume e circa il 70% in valore (dati della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo). Gran parte di questo commercio passa attraverso uno o più punti di ipotetica strozzatura. È nota, ad esempio, la dipendenza di quasi tutti i Paesi mondiali dalle esportazioni di greggio dagli Stati del Golfo Persico trasportato da petroliere che devono transitare nello Stretto di Hormuz per raggiungere l’oceano aperto. Le petroliere che poi navigano verso l’Asia orientale generalmente passano attraverso lo stretto di Malacca, mentre quelle che navigano verso l’Europa e le Americhe tendono a utilizzare lo stretto di Bab el Mandeb e il canale di Suez. Il flusso ininterrotto di queste esportazioni, che passa attraverso i punti strategici già elencati, è stato e continua ad essere minacciato da conflitti regionali, dalla pirateria e anche da incidenti marittimi. Il libero passaggio presso questi punti caldi è fondamentale anche per la sicurezza alimentare globale. Si stima che il 55% di tutto il mais, grano, riso e soia commercializzato a livello internazionale passi attraverso almeno uno di questi punti. Le prime tre di queste colture rappresentano circa il 60% dell’apporto energetico globale alimentare, mentre la soia è uno degli alimenti più importanti al mondo per quanto riguarda le proteine. Come ha dimostrato la guerra in Ucraina, l’interruzione delle spedizioni di grano, in questo caso attraverso lo stretto del Bosforo, può minacciare l’approvvigionamento globale di cereali e portare a picchi nei prezzi, con ricadute assai gravi per le esigenze nutritive in diversi Paesi del globo. Pratson stima che il valore del commercio che passa attraverso un certo numero di questi punti di strozzatura, come lo Stretto di Malacca e il Mar Cinese Meridionale, rivaleggi con i Pil delle maggiori economie mondiali: “Precedenti studi hanno stimato la quantità di merci spostate attraverso il solo Mar Cinese Meridionale a un valore che oscilla tra i 3,4 e i 5,3 trilioni di dollari. La nostra analisi suggerisce che, se combinata con il Mar Cinese Orientale, la quantità di scambi che passa attraverso le due regioni è di almeno 7,4 trilioni di dollari”. Senza considerare che gran parte dei punti a rischio, come lo Stretto del Bosforo, lo Stretto di Hormuz, il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale, forniscono l’unico accesso al commercio marittimo per un gran numero di Paesi. Se questi punti di strozzatura si bloccano o se il traffico che li attraversa viene ridotto per un periodo prolungato, come è accaduto nello stretto del Bosforo durante la guerra in Ucraina, l’interruzione può limitare gravemente la capacità delle regioni colpite di importare o esportare merci, minare le loro economie e i mercati mondiali che dipendono da quelle stesse regioni. Questo può causare volatilità nelle forniture e nei prezzi e stimolare una corsa da parte di nazioni e imprese rivali presenti su entrambi i lati del punto di strozzatura, per assicurarsi fonti o mercati alternativi per i beni critici bloccati. Altri punti di strozzatura, come i canali di Suez e Panama, forniscono scorciatoie tra i bacini oceanici che riducono significativamente i costi e i tempi di spedizione. “Gli scenari di chiusura suggeriscono che, se i punti di strozzatura utilizzati per spostare merci tra gli Oceani atlantico e indiano dovessero bloccarsi per un lungo periodo di tempo, potrebbero indirizzarsi verso il Canale di Panama più navi di quante ne possano passare al giorno, finendo per causare una seconda fonte di congestione nelle spedizioni, ritardi dei carichi, e ulteriori reindirizzamenti” ha chiarito Pratson, che conclude: “Considerando che i costi operativi delle navi portacontainer si aggirano intorno ai 2 milioni di dollari al giorno, si può avere un’idea di come la chiusura di un punto di strozzatura potrebbe influire sul commercio marittimo a livello globale e su quanto sia fondamentale avere un’idea di cosa potrebbe effettivamente succedere in caso di uno di questi blocchi e approntare le dovute contromisure”.