Il 15 febbraio 2013 un asteroide di circa 21 metri di diametro è entrato in atmosfera ed è esploso a circa 30 chilometri sopra Chelyabinsk, in Siberia. I frammenti che hanno raggiunto il suolo non hanno causato danni diretti, ma non si può dire la stessa cosa per l’onda d’urto generata, che ha provocato panico e migliaia di feriti, per lo più persone colpite dalle schegge dei vetri esplosi alle finestre. “Quello di Chelyabinsk – scrive l’astrofisico Amedeo Balbi nel libro Su un altro pianeta (Rizzoli)–è il caso più recente e meglio documentato di impatto di un asteroide che abbia avuto conseguenze importanti su cose e persone. Ma abbiamo prove indirette di eventi simili avvenuti in passato”. Risale al 1908, per esempio, il celebre evento di Tunguska. Era il 30 giugno – giorno poi scelto per celebrare l’Asteroid Day – quando un grande bagliore illuminò il cielo della Siberia. A seguire, avvenne una gigantesca esplosione che si ritiene sia stata provocata da un piccolo asteroide. Secondo l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), l’evento fu provocato a circa 8 chilometri dal suolo “dall’impatto con l’atmosfera di un oggetto roccioso di una cinquantina di metri di diametro”. Evento capace di sviluppare un’energia di circa 12,5 Mton, quasi 800 volte superiore a quella della bomba atomica di Hiroshima, radendo al suolo oltre 2.000 chilometri quadrati di taiga siberiana. Un impatto come quello di Tunguska – comunica l’Inaf nell’ambito del progetto Sorvegliati Spaziali (sorvegliatispaziali. inaf.it) – sarebbe in grado di cancellare dalla faccia della Terra una metropoli come New York. I sorvegliati speciali in questione sono asteroidi e comete, “oggetti – spiega Balbi – che vagano nel sistema solare, entrambi frammenti inutilizzati del materiale di costruzione dei pianeti, rimasti a orbitare nel vuoto dello spazio”. Rocciosi i primi (che si concentrano per lo più nella fascia tra le orbite di Marte e Giove) composte di ghiacci le seconde, che di solito stazionano nei recessi più bui e remoti del Sistema solare, ben oltre l’orbita di Nettuno. Asteroidi e comete sono sorvegliati speciali perché possono entrare in collisione con il nostro pianeta. Con quali conseguenze? “In linea di massima – continua Balbi – gli oggetti di diametro inferiore ai 20 metri si frantumano o addirittura vaporizzano nell’atmosfera e di solito non causano grossi problemi. Oggetti del diametro maggiore di un centinaio di metri causerebbero invece danni enormi su scala locale, soprattutto se colpissero un’area popolata”. Devastante, poi, indipendentemente dal punto di caduta, sarebbe l’impatto con corpi celesti dal diametro superiore al chilometro. Come quello che, circa 65 milioni di anni fa, ha provocato o quantomeno contribuito alla scomparsa dei dinosauri e alla grande estinzione del Cretaceo-Paleocene. Asteroidi e comete sono sorvegliati speciali perché non è questione di se ma di quando avverrà il prossimo impatto: per questo “diversi occhi” tengono sotto continua osservazione il cielo. Si tratta di una rete di osservatori e di telescopi sparsi sulla terra. L’obiettivo? Identificare con largo anticipo potenziali minacce. Quando asteroidi e comete passano a una distanza inferiore a 45 milioni di chilometri dall’orbita terrestre (grosso modo un terzo della distanza tra la Terra e il Sole) vengono classificati come Neo, Near Earth Object, e vanno attentamente monitorati. Al momento ne sono stati identificati poco più di 27.000, di cui meno del 10% sono considerati potenzialmente pericolosi in un’eventuale collisione con la Terra. Un Neo è classificato come tale, come Potentially Hazardous Object (Pho), se si avvicina a meno di 7,5 milioni di km dalla Terra e supera i 140 metri di diametro. La Nasa è il riferimento principale a livello mondiale per il monitoraggio dei cieli – per identificare oggetti vicini alla Terra, calcolarne le orbite, i potenziali impatti e mitigare gli eventuali pericoli – attraverso l’attività del Center of Neo Studies (Cneos), che come una sentinella scansiona il catalogo degli asteroidi noti e calcola la possibilità di impatto con il nostro pianeta nei prossimi 100 anni, e del Planetary Defense Coordination Office, che gestisce le missioni di difesa planetaria (come la missione Dart). Ma l’Italia non se ne sta a guardare: o meglio, lo osserva eccome il cielo, per monitorare attentamente le orbite di asteroidi e comete nel Sistema Solare e valutarne la minaccia se si avvicinano alla Terra, con osservatori terrestri e missioni nello spazio (come LiciaCube). Hanno sede infatti proprio in Italia, a Frascati, presso l’European Space Research Institute (Esrin), il centro di coordinamento sui Near Earth Object (Neo) dell’Agenzia spaziale europea e l’ufficio di difesa planetaria: il Planetary defence office. Ma anche il telescopio Cassini, a Loiano, nella campagna bolognese, è impegnato in osservazioni ottiche per determinare meglio le orbite dei sorvegliati speciali intercettati. Come si legge sul sito del progetto “Sorvegliati Spaziali, conoscere lo Spazio per proteggere il Pianeta” – coordinato da Daria Guidetti dell’Istituto di radioastronomia dell’Inaf di Bologna – la ricerca su asteroidi e comete più “prossime” alla Terra è nata nel secondo dopoguerra quando, nel 1947, l’Unione astronomica internazionale istituì il Minor Planet Center che tuttora, finanziato dalla Nasa, costituisce l’archivio pubblico dei dati delle orbite dei Neo scoperti da ricercatori e ricercatrici di tutto il mondo. Ciò detto, il rischio concreto che nell’arco di pochi secoli l’umanità faccia la fine dei dinosauri è molto basso. “Anche se non è del tutto trascurabile”, continua Balbi. Ma cosa potremmo fare se un oggetto di dimensioni considerevoli fosse in rotta di collisione con la Terra? “Le possibili contromisure dipenderebbero da quanto tempo abbiamo per prepararci e dal tipo di oggetto”. Se piccolo, le conseguenze di un impatto sarebbero circoscritte all’area colpita: se abitata, si dovrebbe far evacuare la popolazione. In caso di dimensioni più significative e di tempo a sufficienza, la strategia migliore per evitare l’Armageddon sarebbe quella appena testata dall’Agenzia Spaziale degli Stati Uniti: urtare l’oggetto “minaccioso” con una sonda spaziale, quando è ancora molto lontano dalla Terra, per deviarne la traiettoria. In pratica, attuando la cosiddetta tecnica dell’impattatore cinetico. “Se lo si facesse con anni di anticipo, anche una piccola deflessione del percorso sarebbe sufficiente per ridurre o evitare la probabilità di impatto”. Affinché anche una piccola “spintarella” possa essere efficace, il tempo di preavviso è centrale per poter agire con successo. Parole di Amy Mainzer, scienziata planetaria dell’università dell’Arizona. “Per questo la chiave è trovare questi oggetti ben prima di qualsiasi potenziale impatto”.
PROVA DI DIFESA PLANETARIA
Dart sta per Double Asteroid Redirection Test ed è, o meglio era, la sonda della Nasa che a 11 milioni di chilometri di distanza dalla Terra ha colpito il piccolo asteroide Dimorphos, di circa 160 metri di diametro, satellite del più grande Didymos (780 metri di diametro). L’impatto è avvenuto a una velocità relativa di 6,3 km/s nella notte tra il 26 e il 27 settembre, all’una e 14 (ora italiana), dopo un viaggio nello spazio di 10 mesi a oltre 22mila km/h, iniziato dalla base spaziale di Vanderberg, il 24 novembre 2021. Ed è stato un successo. Tutto è andato secondo i piani. Anzi meglio. L’impatto cinetico del veicolo spaziale con il suo asteroide bersaglio ne ha alterato con successo l’orbita, confermando l’efficacia di questa tecnica quale strategia di difesa planetaria per passare, potenzialmente, da uno scenario di impatto a uno di flyby, cioè di sorvolo ravvicinato. In altre parole, di scampato pericolo. Puntualizzazione numero uno: Dimorphos non era in rotta di collisione con la Terra. È stato il nostro laboratorio a sceglierlo per sperimentare la possibilità di deviazione degli asteroidi per difenderci da future potenziali minacce di collisione. Puntualizzazione numero due: se un oggetto grande come Dimorphos colpisse la Terra, potrebbe creare un cratere d’impatto di 1,3 km di diametro e cancellare una città di milioni di abitanti. “Tutti noi – ha affermato Bill Nelson della Nasa commentando il successo della missione – abbiamo la responsabilità di proteggere il nostro pianeta. Dopotutto, è l’unico che abbiamo. Siamo pronti a gestire qualsiasi cosa ci arrivi addosso dall’universo”.
OCCHI ITALIANI SULL’IMPATTO
LiciaCube è il cubesat dell’Agenzia spaziale italiana: il piccolo satellite dalle dimensioni – grosso modo – di una scatola di scarpe (30x20x10cm), che ha viaggiato a bordo della sonda Dart per staccarsene 10 giorni prima che impattasse sull’asteroide. Passato in modalità di navigazione autonoma, LiciaCube ha sorvolato la scena dell’impatto della sonda contro Dimorphos e con le sue telecamere a bordo, Leia (LiciaCube Explorer Imaging for Asteroid) e Luke (LiciaCcube Unit Key Explorer), ne è stato testimone diretto. Ha acquisito e inviato a Terra immagini ad alta risoluzione del cratere e dei detriti generati dalla collisione, per consentire una valutazione completa degli effetti dell’impatto. LiciaCube è il primo satellite made in Italy che ha affrontato un viaggio nello spazio profondo. Realizzato negli stabilimenti di Argotec a Torino, ha un know how tutto italiano, frutto della collaborazione tra università, imprese e centri di ricerca. Come ha annunciato il team scientifico, coordinato dall’Istituto nazionale di astrofisica, il lavoro di LiciaCube non finisce qui: “Abbiamo uno strumento prezioso e funzionante e ora stiamo decidendo verso quali corpi celesti orientarlo”. Oltre che da LiciaCube, l’impatto di Dart sulla superficie di Dimorphos è stato osservato anche dai telescopi a terra e dai telescopi spaziali Webb e Hubble.
Una risposta
Mi piacerebbe conoscere e approfondire quexti argomenti.