Come è umano!

 

Quest’anno i miei genitori hanno festeggiato i 50 anni di matrimonio. Al tradizionale, e doveroso, regalo noi figli abbiamo voluto aggiungere un pensiero scritto. Dopo un paio di incontri andati a vuoto, un po’ per gioco e un po’ per carenza di ispirazione, abbiamo fatto ricorso a Chat GPT, la piattaforma di Intelligenza artificiale che proprio questo mese festeggia un anno dal lancio nel mondo. Naturalmente, il messaggio che ne è uscito non ci ha aiutato a evitare frasi banali e retoriche ma ci ha fornito lo spunto per un bel biglietto d’auguri. Nel rielaborare il testo, riflettevo se fosse proprio questo il futuro dei lavori “intellettuali” (non che scrivere un biglietto di auguri possa rientrare in questa categoria, ma ci siamo capiti). Del resto, la cura del testo è un’attività propriamente umana, come ben sa chi corregge le bozze di queste pagine.

Nelle stesse settimane, la rubrica “Express” del quotidiano Il Manifesto rilanciava un curioso annuncio di lavoro: “Sei interessato ad aiutare a formare modelli di intelligenza artificiale per renderli scrittori migliori?” chiedeva una delle società Usa più attive del settore specificando le competenze richieste (scrittori, poeti, narratori e tutti coloro che hanno esperienza in editing e scrittura), il compenso (tra i 25 e i 50 euro all’ora con orari flessibili) e anche della provenienza dei candidati (Stati Uniti, India e Giappone). Non a caso i tre Paesi che, con modalità differenti, stanno guidando la rivoluzione tecnologica. Alla quale assistiamo interessati ma spesso passivi.

Al primo anno di Chat GPT, e a come l’Intelligenza artificiale sia diventata ormai parte integrante della nostra quotidianità, abbiamo dedicato la storia di copertina di questo mese. Che la partita con le nuove tecnologie sia ancora da giocare lo dimostra anche la sequenza di notizie e reazioni che si sono susseguite negli ultimi dodici mesi. Prima il timore che gli studenti potessero ingannare i prof grazie alla tecnologia; poi la paura che Chat GPT potesse svilire il lavoro intellettuale legato alla scrittura; infine, l’alert lanciato dagli stessi fondatori secondo i quali il potenziale pericolo collegato all’Intelligenza artificiale può essere paragonato a quello di una pandemia o di una guerra nucleare. Insomma, di strada da fare ne abbiamo ancora molta.

Fino ad ora ogni innovazione, più o meno tecnologica, che sembrava poter migliorare la qualità della vita del lavoratore ha fallito. Mai però per colpe proprie. La responsabilità è riconducibile all’uso – distorto – che l’uomo ne ha fatto. Da giornalista ho vissuto tutte le rivoluzioni tecnologiche che potevano minacciare la professione: prima l’avvento dei computer (e di Internet) al posto della macchina per scrivere; poi quello dei social media e ora l’Intelligenza artificiale. Non sono un fanatico della tecnologia e ormai da tempo sto pensando a come oppormi al potere dei social network ma credo che proprio l’avvento dell’Intelligenza artificiale possa aiutare il giornalismo. Facendo tornare i giornalisti a fare il lavoro “umano”. Come è umano!

Vincenzo Mulè
Direttore responsabile

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