“Dimmi e lo dimentico, mostrami e lo ricordo, coinvolgimi e lo imparo”. È una delle frasi più celebri di Benjamin Franklin, scienziato, politico, giornalista, ma soprattutto uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America. Un motto molto citato da chi si occupa d’istruzione. È lo stesso con cui ha iniziato la nostra conversazione Fabio Viola, uno dei game designer più noti in Italia per aver concepito, ideato e prodotto videogiochi al servizio della didattica. “Fare didattica attraverso i videogiochi significa immergere lo studente nei concetti, far sì che li maneggi e li analizzi attraverso un’esperienza diretta. Andare oltre il semplice trasferimento di informazione significa promuovere un’assunzione di decisioni anche complesse”. L’aspetto ludico insomma, secondo Viola, sarebbe in grado di favorire un’esperienza immersiva dello studente che attraverso le proprie mosse, le proprie azioni, le proprie decisioni, sperimenterebbe il significato dei concetti insegnati in modo innovativo. “In questo scenario è importante sottolineare che il videogioco restituisce dei riscontri alle nostre azioni che favoriscono l’apprendimento”. Comprensione del contesto, analisi degli strumenti a propria disposizione, scelta della strategia, azione, riscontri. Sono questi gli step classici dell’esperienza vissuta in un videogioco. Un processo che le giovani generazioni hanno ormai interiorizzato e che però risulta molto lontano dall’esperienza vissuta in classe. “Per i giovani la normalità non è quella che avviene nella didattica uno a tanti, ma quella che avviene in un videogame. A questo loro sono abituati. Il game based learning (Gbl), ovvero l’uso di giochi digitali con obiettivi educativi, abbatte la differenza tra paradigmi diversi o addirittura antitetici”. È la cosiddetta gamification, un termine che dal 2010 è entrato nell’uso comune per indicare l’utilizzo di strumenti improntati al game-design in contesti non ludici come quelli lavorativi, commerciali o appunto legati dell’istruzione. Secondo una ricerca dell’Università di Denver, con i videogame si acquisisce in media 11% in più di conoscenza concreta e il 14% in più di abilità basate sulle conoscenze appena apprese e si riesce a conservare circa il 10% in più di informazioni nel lungo periodo. Un celebre esempio è quello di Minecraft, un gioco che coinvolge l’utente nel maneggiare blocchi pixellati per modellare la realtà con cui interagisce, plasmando l’ambiente circostante per affrontare diverse situazioni. Proprio questo suo aspetto creativo ha fatto sì che sia sempre più utilizzato nelle scuole come mezzo di apprendimento di discipline come geometria, fisica, chimica o anche coding. Il mondo dei giochi digitali applicati all’istruzione è variegato ed è spesso indicato con il termine seriuos games, perché si tratta di giochi che vengono usati anche per sensibilizzare gli studenti su tematiche sociali, quali il rispetto delle diversità oppure la lotta al bullismo. Per quel che riguarda lo studio dell’educazione civica, per esempio, è molto utilizzato anche SimCity, un videogioco di strategia in cui il giocatore-studente deve costruire, gestire e amministrare una città virtuale con i suoi tanti problemi. A proposito di educazione civica è noto il caso di This World is Mine, videogioco di strategia polacco inserito dal Ministero dell’Istruzione di Varsavia nei programmi didattici, alla stregua di un libro di testo. Tornando sulle materie scientifiche sono internazionalmente conosciuti titoli come Tami’s Tower (geometria e ingegneria), Prodigy (gioco di avventura nel mondo della matematica) e Gravity Simulator (gioco di simulazione e strategia basato sulle regole della fisica astronomica). “La maggior parte di questi videogiochi non sono competitivi ma cooperativi, insistono sulla creatività e sullo sviluppo di soft skill particolari. In più, non hanno un funzionamento standardizzato ma personalizzato in base alle caratteristiche degli utenti”, precisa Fabio Viola, fondatore del sito tuomuseo.it che offre diversi titoli nel campo della storia, dell’arte, della geografia e dell’innovazione. È il caso di Father and Son, prodotto con e per il Museo archeologico di Napoli e basato sulle avventure di un padre e di un figlio alla scoperta del presente e del passato della città partenopea. In Italia, anche il Piano Nazionale Scuola Digitale ne suggerisce l’uso all’interno del processo d’istruzione. “Ma nel nostro Paese dobbiamo ancora superare stereotipi, pregiudizi e atteggiamenti snobistici”, avverte Fabio Viola, secondo il quale “rispetto a molte altre esperienze internazionali pecchiamo di mancanza d’integrazione”. All’estero, le istituzioni scolastiche, i docenti e i game designer lavorano a stretto contatto nella progettazione di prodotti che possano incanalare l’esperienza didattica nella logica del game. Ed è così che intere unità formative sono ripensate nell’ottica dell’interazione, cooperazione e laboratorialità. “Da noi – conclude Fabio Viola – non mancano le esperienze positive, ma sono poco organiche e a macchia di leopardo rispetto a quanto avviene per esempio in Corea del Sud, Giappone e anche nell’est Europa”. Non solo libri, lavagne, gessetti e slide proiettate: forse è arrivato anche da noi il momento di fare entrare in classe i videogame.