Negli Usa, nel Regno Unito e in Canada il movimento per una cultura meno eurocentrica coinvolge anche gli ambiti scientifici. E suscita l’interesse dei Paesi africani
Anche la comunità matematica potrebbe non essere immune da razzismo, sessismo e altre forme di discriminazione. È quanto emerge dalle statistiche del Survey of Earned Doctorates, il censimento annuale condotto dalla Us National Science Foundation tra coloro che ottengono un dottorato di ricerca presso istituzioni accademiche statunitensi accreditate. Secondo i dati del 2021, tra i 1.915 dottorati in matematica e statistica, solo 28 (quindi l’1,5%) sono stati ottenuti da persone di colore o da afroamericani, mentre non ci sono rappresentanti degli indiani d’America o dei nativi dell’Alaska. E le donne che hanno conseguito un dottorato sono state solo 557 (il 28%), una percentuale in calo rispetto a quella del 2010 (29,4%).
La storia della matematica, nel suo complesso, è una storia fatta da uomini bianchi. Lo sanno bene anche nel Regno Unito che però è una delle aree più attive nell’ambito della cosiddetta “decolonizzazione” della cultura e della lotta ai pregiudizi e alle discriminazioni. Così, qualche mese fa, la Quality Assurance Agency, l’organismo indipendente incaricato di indirizzare le università britanniche su qualità e contenuto dei corsi, ha suggerito agli atenei di “presentare una visione multiculturale e decolonizzata anche della matematica” nell’ambito di uno sforzo complessivo per superare la prospettiva eurocentrica degli studi. Secondo l’Agenzia, le materie da decolonizzare (tra cui ci sarebbero, appunto, anche matematica e informatica) attingono a “conoscenze tradizionali derivanti dalla scienza dell’illuminismo coloniale”, introdotte per favorire “l’espansione oltreoceano degli imperi britannico ed europeo”.
“Teoremi o tecniche hanno nomi associati a uomini bianchi e la maggior parte delle volte sono nomi di matematici francesi o tedeschi del diciannovesimo secolo come Georg Cantor, Henri Poincaré e Carl Gauss” spiega John Parker, a capo del dipartimento di scienze matematiche presso la Durham University, nel Regno Unito. In questa università,
gli studenti hanno in programma di preparare per i membri della facoltà un manuale sulla decolonizzazione che “si concentrerà su tre cose: cosa viene insegnato agli studenti, come viene insegnato e chi insegna”, spiega il nigeriano Emmanuel Ogundimu, responsabile del progetto e condirettore dell’unità di biostatistica di Durham.
Oltreoceano, Mathematicians of the African Diaspora è il sito web curato da Scott Williams, che è un matematico della SUNY Buffalo State University selezionato dal Science Spectrum Magazine and Career Communications Group nel 2004 tra i 50 più importanti ricercatori scientifici di colore degli Stati Uniti. Nel sito è possibile scoprire le storie dei matematici afroamericani come, per esempio, quelle di Chike Obi, James Ezeilo e Adegoke Olubummo che hanno aperto la strada alla moderna ricerca matematica in Nigeria.
L’American Mathematical Society ha di recente segnalato il grande impatto che il sito ha avuto su studenti di matematica e matematici afroamericani. Negli Stati Uniti e in Canada, le istituzioni stanno facendo importanti passi avanti nei confronti degli indiani d’America. Edward Doolittle, matematico della First Nations University of Canada di Regina (capitale della provincia del Saskatchewan) sta offrendo una didattica di matematica “indigena” accanto a quella tradizionale. Doolittle è originario del popolo dei Mohawk della Riserva delle Sei Nazioni dell’Ontario e promuove quella che chiama “matematica indigenizzante”, che inserisce esempi culturali indigeni in corsi che solitamente sono presenti nel curriculum dei matematici.
Durante uno dei suoi corsi di statistica, Doolittle ha presentato una versione semplificata del tradizionale gioco precolombiano del Peach Stone Game (che si basa sulle scommesse e si pratica nella sua comunità), analizzandolo in termini di distribuzione di probabilità binomiale. “Incoraggio molti colleghi a impegnarsi a trovare esempi interessanti provenienti dal loro territorio. È necessario – aggiunge Doolittle – un processo ponderato e pianificato attentamente per operare in modo genuino ed etico”.
Guardando infine al continente africano, sulle connessioni umane e il contesto culturale locale punta anche il progetto dell’Istituto africano di scienze matematiche (Iasm), una rete di cinque centri che vogliono porsi a un
livello di eccellenza in Camerun, Ghana, Senegal, Sudafrica e Ruanda. I docenti di questi centri vengono assunti dai Paesi africani che partecipano al progetto attraverso partnership con università locali ma possono anche
provenire dall’estero con corsi della durata massima di due mesi. L’istituto vuole incoraggiare gli studenti di tutto il continente, e in particolare le donne, a imparare dai migliori docenti per poi impegnarsi nel miglioramento delle loro comunità. Nei cinque centri studiano e vivono insieme ragazzi provenienti da 15 Paesi africani.
Particolarmente significativa è la storia di Angela Tabiri, matematica africana dell’Iasm di Accra, in Ghana. Tabiri, il cui campo di ricerca è l’algebra quantistica, dopo aver conseguito nel 2013 un master all’Iasm e nel 2019 un dottorato in matematica presso l’università di Glasgow, ha deciso di fare ritorno in Africa. Nonostante le difficoltà oggettive degli universitari africani, prima tra tutte lo stipendio molto basso rispetto ai Paesi stranieri, Tabiri è riuscita a costruire un percorso di ricerca presso l’Iasm, dove attualmente lavora come ricercatrice associata. “Quando gli studenti vedono una donna del loro stesso colore, che si è formata all’Iasm, ha conseguito un dottorato ed è tornata a lavorare lì, ne traggono grande incoraggiamento” racconta la ricercatrice, diventata una figura di ispirazione per gli studenti ma soprattutto per le studentesse, che rappresentano un terzo del totale degli oltre 2.400 iscritti all’Iasm.