Tappa imprescindibile in un percorso napoletano che si rispetti è la fortezza normanna che domina l’isoletta di Megaride, nota come Castel dell’Ovo. C’è chi sostiene che l’appellativo “dell’Ovo” sia dovuto alla forma ovaleggiante della sua pianta. Nemmeno per sogno! Lo si deve, invece, all’“uovo cosmico” che, da qualche parte nel maniero, protegge le sorti di Napoli e dei suoi abitanti, dal ben remoto I secolo a. C., quando nientepopodimenoche Virgilio lo nascose nelle segrete dell’edificio, allora Castrum Lucullanum. Il suo compito era mantenere in piedi l’intera fortezza, mentre la sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli. Peccato che di uova, dentro le stanze del maniero, non si trovi traccia. Un momento di possibile pericolo il povero uovo, qualora sia mai esistito, lo visse senz’altro nel 1370, quando il terribile maremoto che portò morte e devastazione dal litorale all’entroterra provocò danni incalcolabili e, in particolare, il crollo dell’arco sul quale il suddetto uovo teoricamente era poggiato. E le uova, si sa, sono fragiline. I cadaveri erano ammassati a centinaia sulle spiagge e i superstiti si preoccupavano, naturalmente, dell’incolumità dell’uovo. La regina Giovanna I corse immediatamente al Castello per le necessarie verifiche, restandovi per ore, lasciando il popolo assiepato all’ingresso e con il fiato sospeso. Quando uscì, nel silenzio sepolcrale che si fece all’istante, Giovanna, dopo un momento di suspense, assicurò che l’uovo era in salvo, così come il futuro della città. Cosa avreste fatto voi, al posto suo? Ancor prima del sangue di San Gennaro, l’uovo del castello era l’amuleto imprescindibile della città campana. Dal punto di vista simbolico, rappresenta un’immagine sacra della vita, capace di garantire la rinascita perenne del mondo mortale, il ripetersi dell’atto creativo, la resurrezione: in poche parole, la Vita con la U maiuscola. Dal punto di vista matematico, la cosa è un po’ più complessa: per un topologo, per esempio, un uovo è del tutto indistinguibile da una sfera (e anche da un cubo, o da un dodecaedro); inoltre, un uovo di struzzo è topologicamente equivalente a uno di quaglia, così come a un qualunque uovo di taglia intermedia. Il topologo infatti è il matematico che studia oggetti fatti di plastilina, considerandoli indistinguibili se si possono ottenere uno dall’altro modellando la forma senza tagliare né incollare. Se, però, dimentichiamo la topologia e consideriamo gli oggetti nel rispetto delle loro proprietà metriche, allora tutto cambia: l’uovo e la sfera sono oggetti distinti, e l’uovo di struzzo è metricamente diverso da quello di gallina. Quello che però accomuna uova di forme diverse è che tutte sono ottenute facendo ruotare una curva piana attorno al suo asse: se vogliamo ottenere una sfera faremo ruotare una circonferenza, se ci serve un ellissoide useremo un’ellisse, se invece vogliamo proprio un uovo… be’, la cosa si fa un po’ più complicata. Andate in frigo e prendetene uno qualunque: noterete che, se le sezioni effettuate con piani perpendicolari all’asse sono tutte circonferenze di diverse grandezze (il che ci conferma che si tratta di una superficie di rotazione), quelle ottenute tagliando con piani che contengono l’asse non sono né circonferenze né ellissi ma curve un po’ strane in cui c’è una parte più panciuta e una meno. Ovviamente un matematico non può cucinarsi un uovo alla coque ignorando l’equazione della curva che lo genera per rotazione: da qui le ovali, illustrate a fianco, di Cassini, Cartesio e Keplero, nonché l’uovo di Granville, quello di Hügelschäffer e quello di Moss, per finire addirittura con il doppio uovo. Quel che è certo è che si tratta di un oggetto assolutamente classico, in matematica come nell’arte. Lo troviamo, per esempio, sia nella celeberrima Pala Montefeltro, detta appunto Madonna dell’uovo, di Piero della Francesca, sia nella modernissima riproduzione che Salvador Dalí, grande amante dei classici, ne fece nella Madonna di Port Lligat (1950).