Quel divario che si apre tra i banchi di scuola

Provate a chiedere a un bambino di eseguire il test ideato nell’ormai lontano 1983 dal sociologo australiano David Wade Chambers. Va premesso che il test intitolato Draw a scientist, ossia Disegna uno scienziato, ha un senso particolare per i bambini di lingua inglese dove il termine scientist non specifica il genere del soggetto. Applicato ai bambini italiani il test, per conservare la sua indispensabile ambiguità, dovrebbe chiedere di disegnare “una persona che si occupa di scienza”. Perché lo scopo del test è quello di scoprire quale immagine i bambini abbiano di chi si occupa di scienza e come questa immagine vada cambiando con l’età. In età prescolare, quasi tutti disegneranno una figurina con il camice bianco e i tratti caratteristici del genere a cui appartengono ma, già a partire dal secondo anno della scuola elementare, sia i bambini sia le bambine tenderanno a scegliere un soggetto maschile per il loro disegno. È quindi il contatto con il sistema scolastico a convincere le bambine che la scienza non è un ambito a cui le donne possano aspirare e a farle addirittura dubitare, come hanno scritto L. Bian, S.-J. Leslie e A. Cimpian in un articolo pubblicato nel 2017 sulla rivista Science, della possibilità di possedere un’intelligenza elevata. Per ipotizzare delle soluzioni alla carenza femminile nelle Stem è necessario indagare le cause del fenomeno. In primo luogo, occorre evidenziare come non vi sia alcun fattore biologico alla base di questo divario, che infatti differisce da Paese a Paese. L’unica variabile che distingue i maschi dalla femmine sin dall’infanzia è l’educazione ai ruoli di genere, attraverso l’interiorizzazione di stereotipi socialmente condivisi per cui, sin da piccoli, si percepiscono alcuni ambiti come tipicamente femminili o maschili, senza alcuna ragione strutturale o genetica. Le cause sono molteplici e interconnesse, proprio come lo sono le modalità con cui gli adulti veicolano certi stereotipi nei bambini, ma su alcune si può e si deve intervenire nel breve periodo. Innanzitutto bisogna tenere presente, come ha dimostrato M. Ashcraft nel 2002, che una didattica delle scienze e della matematica basata prevalentemente sulla competitività e sull’ansiogena verifica con risposte multiple svantaggia la tipologia di apprendimento femminile. Bisognerebbe riformulare una didattica che tenga conto della componente femminile all’interno della classe e che si orienti prevalentemente su abilità di problem solving collettivo, sfruttando capacità come l’ascolto e il dialogo, oggi trascurate. Sono spesso gli stessi insegnanti a veicolare, fin dall’infanzia, stereotipi di genere negli allievi: quando è un ragazzo ad avere successo nelle Stem, si tende a lodare il suo talento o addirittura la sua genialità, mentre nelle ragazze è valutato soprattutto l’impegno. In questo modo, anche se inconsciamente, si reitera la convinzione che le donne si devono impegnare molto più degli uomini per ottenere quello che a loro è riconosciuto di diritto e, parallelamente, che i buoni risultati in campo scientifico sono prerogativa di chi possiede un talento innato e non il frutto di sforzi e studi costanti. Lo stereotipo è veicolato anche attraverso le rappresentazioni mediatiche della scienza e dello scienziato dipinto spesso come un uomo di mezza età, trasandato nel vestire e con scarso interesse nei confronti di chi gli sta vicino e dell’ambiente che lo circonda. Tutte caratteristiche impensabili in un personaggio femminile: se sullo schermo vi fosse una ricercatrice che trascura se stessa e i suoi affetti per dedicarsi anima e corpo al lavoro scientifico, verrebbe percepita come un personaggio negativo. Negativa non è stata invece Dana Scully, co-protagonista di X-Files, una serie fantascientifica degli anni Novanta. Nell’articolo The Scully Effect: I want to believe in Stem (L’effetto Scully: voglio credere nelle Stem), apparso nel 2018, viene teorizzata l’esistenza di un effetto positivo del personaggio. Sembra che l’aver seguito da giovanissime questa serie televisiva abbia indotto molte ragazze a intraprendere percorsi scientifici sulle orme dell’agente dell’Fbi che analizza con intelligenza e scetticismo i fenomeni paranormali applicando ad essi i criteri Stem. Pure i giocattoli tradizionali del resto tendono a veicolare gli stessi stereotipi, anche se una bella sorpresa arriva dalla Mattel; dopo che nel 1992 Teen talk Barbie, la Barbie parlante che diceva “la matematica è difficile”, aveva già suscitato numerose polemiche, dallo scorso anno la bambola ha cambiato registro. Sono state proposte diverse Barbie inspiring women, bambole che hanno le sembianze dell’astronauta Samantha Cristoforetti o della matematica Kathrine Goble, esperta calcolatrice di traiettorie e finestre di lancio presso la Nasa negli anni Cinquanta, e che possono fornire alle bambine nuovi modelli reali di successo a cui ispirarsi per scegliere il proprio futuro, libere da stereotipi e limitazioni.

 

DIMENTICATE ANCHE DALLE PIAZZE di Silvia Marinelli

Girovagando per le vie, le piazze, i parchi della vostra città, vi siete mai fermati a leggerne i nomi? Avete fatto caso al numero di uomini e di donne cui sono dedicati? Maria Pia Ercolini, docente di geografia a Roma, ha cominciato a porsi queste domande anni fa, durante un’uscita didattica per le vie della capitale, dopo l’osservazione di una studentessa che aveva notato con grande rammarico la quasi totale assenza di donne ricordate sulle targhe. Da quel momento, ha deciso di impegnarsi per promuovere intitolazioni pubbliche alle donne che sono state importanti per lo sviluppo della civiltà: far scoprire figure femminili nascoste fra le pieghe della storia avrebbe certamente favorito l’autostima nelle ragazze e, nei ragazzi, il rispetto per il valore delle donne. Così, con le sue classi, cominciò a fare ricerche e indagini per trovare donne di valore, sparite nell’anonimato: artiste, letterate, musiciste, scienziate e politiche. Le ricerche non si sono concentrate solo sui nomi delle vie (le nuove strade non nascono ogni giorno) ma sull’intera toponomastica, ovvero sui nomi di

tutti i luoghi pubblici, compresi parchi, giardini, rotonde e biblioteche. La ricerca si è poi ampliata a livello nazionale, rivelando dati sconfortanti: solamente il 5% del totale delle vie è intitolato a nomi di donne. A Milano, per esempio, su un totale di 4.250 strade, 2.538 sono dedicate a uomini e solo 141 alle donne. Un’altra particolarità è che, di queste 141 donne, 47 sono figure religiose o benefattrici, il 33% di 141. Pochissime le letterate, le artiste, le donne dello spettacolo, le figure politiche o storiche. Le scienziate sono solo due: Marie Curie e Maria Gaetana Agnesi. Dopo queste scoperte, è nato nel 2012 un gruppo Facebook che in pochissimo tempo ha raggiunto migliaia di iscritte e di iscritti che hanno cominciato a controllare gli stradari dei loro paesi accorgendosi della disparità tra i riconoscimenti alle donne e ai personaggi maschili. A volte, le strade erano dedicate addirittura a personaggi discussi, come militari fautori di guerre. Nel 2014 è stata costituita un’associazione, presieduta dalla professoressa Maria Pia Ercolini. Oggi, il gruppo di ricerca della Toponomastica femminile ha raggiunto oltre trecento associate e associati e diecimila simpatizzanti su Facebook. Si pubblicano articoli e dati su ogni singolo territorio e si sollecitano le istituzioni perché strade, piazze, giardini e spazi urbani siano dedicati alle donne. Dalla presa di coscienza di questo divario di genere sono partite tante iniziative rivolte sia alle scuole sia all’intera cittadinanza attraverso concorsi, corsi di formazione, mostre fotografiche e documentarie, convegni e conferenze, performance e salotti letterari, itinerari turistici e pubblicazioni. Fra le diverse mostre realizzate dall’associazione, una è dedicata alle donne presenti nelle discipline Stem (scienziate, tecnologhe, ingegnere e matematiche) che ha l’obiettivo di superare lo stereotipo che vede le ragazze poco inclini o poco interessate alle materie scientifiche. “Durante queste iniziative, gran parte del pubblico vive come sorpresa inspiegabile questo divario tra nomi maschili e femminili. La disparità è così evidente e data per scontata che il più delle volte risulta invisibile – racconta Danila Baldo, vicepresidente dell’associazione – In un secondo momento, dopo una buona riflessione, emerge la constatazione che è il risultato di una cultura patriarcale, nata dalla dicotomia natura-cultura che lascia alle donne la cura della casa, dei malati e il carico dei bisogni dell’infanzia e della vecchiaia e assegna agli uomini la possibilità di studiare, fare carriera, intraprendere attività politiche e pubbliche”. Un’altra cosa che sorprende durante le iniziative è che le persone in genere non ricordino nomi di scienziate, a parte quello di Rita Levi Montalcini o Margherita Hack e che emergano più facilmente nomi di scrittrici e di artiste. “Ma la sensibilità sta a poco a poco cambiando e c’è sempre più attenzione all’apporto delle donne nell’ambito scientifico – continua Danila Baldo – anche grazie a figure come Fabiola Gianotti, prima donna a dirigere il Cern di Ginevra, oppure Cinzia Cordioli, Lucia Moiola e Marta Radaelli, le neurologhe insignite del prestigioso Premio Rita Levi Montalcini istituito da Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) o anche grazie all’abilità delle giovani ricercatrici che all’ospedale Spallanzani di Roma hanno per prime isolato il Coronavirus: Francesca Colavita, Concetta Castilletti assieme alla virologa Maria Rosaria Capobianchi”.

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