Ettore Majorana, il genio in fuga dal passato

MAJORANA. LA METEORA CHE DIVENNE UN CASO

Ettore Majorana è stato una meteora nella storia della fisica del Novecento. È autore di soli 10 articoli, ma sono pagine che hanno avuto un peso determinante nell’orientare gli studi fisici. Si era laureato con Enrico Fermi nel 1929 ma già da studente aveva cominciato a frequentare i “ragazzi di via Panisperna” e a sviluppare le prime ricerche. Nel 1933 trascorre un periodo di 6 mesi all’estero, a Lipsia e a Copenaghen, dove ha la possibilità di essere conosciuto e apprezzato da Werner Heisenberg, uno dei padri della fisica moderna. Fermi considerava Majorana il più grande fisico teorico della nostra epoca e arrivò a paragonarlo ai grandi geni della scienza come Galileo e Newton. Nel 1937, anche per lasciare il posto nella terna dei normali vincitori di concorso a Giovannino Gentile (figlio del filosofo Giovanni, ex-ministro di Mussolini), viene nominato per chiara fama professore ordinario di fisica teorica all’università di Napoli. Era nato a Catania nel 1906 e nel 1938 scompare misteriosamente. Di lui non si hanno più notizie. Vengono avanzate varie ipotesi basate su testimonianze di persone che credono di aver incontrato Ettore in vari posti del mondo. Altri lo vedono al centro di trame spionistiche legate alle sue ricerche e alla bomba atomica. È il “caso Majorana”. La tesi accreditata dalla famiglia parla di suicidio – si sarebbe buttato in mare nel marzo del 1938 tornando da Palermo – ma non ci sono prove e il corpo non è stato mai trovato.

ETTORE, IL GENIO IN FUGA DAL PASSATO

Stefano Roncoroni è parente di Ettore Majorana per parte femminile. “Mia nonna Elvira era la sorella di Fabio, il padre di Ettore. Mia nonna ha poi sposato Oliviero Savini Nicci, che è stato prefetto, consigliere di Stato, stretto collaboratore di Nitti e ha avuto un ruolo importante nelle vicende di Ettore Majorana”. Roncoroni ha dedicato parte della sua vita e della sua attività cercando la verità sulla scomparsa del fisico. Lo studio delle carte lo ha portato a una convinzione, che è la sua verità. Definitiva, anche se non completa.

Prima di tutto, chi erano i Majorana nella Sicilia di inizio Novecento?

Una vera e propria dinastia. Il ramo della famiglia che ci interessa discende dal catanese Salvatore Majorana-Calatabiano che, da contadino e piccolo proprietario terriero, fu docente universitario di economia, deputato nelle file della Sinistra storica, ministro e senatore. Si ritirò poi dalla politica e dalla vita pubblica per seguire personalmente l’educazione dei 7 figli. Tutti i figli maschi di Salvatore ricevettero un’istruzione che li portò a raggiungere gli stessi risultati del padre. Diventarono docenti, presidi e rettori di università, deputati e ministri.

Stefano Roncoroni è parente di Ettore Majorana per parte femminile. “Mia nonna Elvira era la sorella di Fabio, il padre di Ettore. Mia nonna ha poi sposato Oliviero Savini Nicci, che è stato prefetto, consigliere di Stato, stretto collaboratore di Nitti e ha avuto un ruolo importante nelle vicende di Ettore Majorana”. Roncoroni ha dedicato parte della sua vita e della sua attività cercando la verità sulla scomparsa del fisico. Lo studio delle carte lo ha portato a una convinzione, che è la sua verità. Definitiva, anche se non completa.

Lei crede alla tesi accreditata dalla famiglia per cui Ettore si sarebbe suicidato negli ultimi giorni del marzo 1938 buttandosi in mare dalla nave, durante il viaggio di ritorno da Palermo a Napoli?

No. Mi sono fatto l’idea che Ettore non si sia affatto suicidato, almeno in quella occasione. Il suicidio l’aveva forse tentato nel viaggio di andata ma poi non ne ebbe il coraggio. Almeno a quanto risulta dalle due lettere che scrisse ad Antonio Carrelli, direttore dell’Istituto di fisica dell’università di Napoli. La prima, nell’imminenza dell’imbarco dal capoluogo campano: “A seguito della decisione ormai irrevocabile, e che non devi in alcun modo attribuire ad egoismo, ti prego di perdonarmi per la fiducia che ho deluso e anche per l’impressione che la mia scomparsa farà agli studenti”. La seconda, invece, scritta da Palermo dava notizia del fallimento del tentativo con la famosa frase: “Ma il mare mi ha rifiutato”. La sua morte è avvenuta nella tarda estate dell’anno successivo, il 1939. Non si sa come sia avvenuta ma le ragioni della morte non c’entrano con quelle della scomparsa.

Come fa a esserne così sicuro?

È una verità ormai definitiva, anche se non completa. C’è da subito la testimonianza del professore di geometria dell’università di Palermo, Vittorio Strazzeri, compagno di Ettore che lo lasciò, nel viaggio in nave da Palermo a Napoli, ancora a letto uscendo dalla cabina poco prima dell’arrivo e quindi poté escludere in termini perentori l’ipotesi del suicidio in mare. C’è poi nel maggio del ’38 la corrispondenza tra due fisici, Gilberto Bernardini e Giovannino Gentile (figlio del filosofo), entrambi amici di Ettore che sembrano molto informati della situazione che il collega sta vivendo tanto che Bernardini scrive che non è “così tragica come si pensava e ce ne se può rallegrare”. Altre prove si sono poi accumulate nel tempo. L’apertura degli archivi del Vaticano, in relazione agli anni del pontificato di Pio XII, ci ha consegnato un documento che riporta la testimonianza del Superiore della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli che ha riconosciuto nella foto di Ettore l’immagine di un giovane che si era presentato dicendo di voler fare un esperimento di vita religiosa. La data del breve incontro concorda con quella della testimonianza di un’infermiera sicura di aver incontrato Ettore in una piazza di Napoli e con quella del portiere di un convento di Portici, vicino a Napoli, che raccontò di un giovane che aveva chiesto di essere ospitato nel convento per un tempo indefinito e dietro pagamento perché voleva stare solo. Il giovane disse di essere uno studioso, non parlava con accento napoletano e assomigliava fortemente alla foto di Ettore. L’anonimo estensore del documento ufficiale del Vaticano, che in realtà è Salvatore (uno dei fratelli di Ettore), conclude affermando che, dal complesso delle testimonianze, “congiunte all’esito negativo delle ricerche della polizia, risulta con chiarezza la volontà di isolamento e non volontà di suicidio“ da parte di Ettore.

Che cosa fa Ettore, una volta rientrato a Napoli?

Scappa, in special modo dalla famiglia. Prende la decisione irrevocabile di non avere più niente a che fare con il mondo in cui era vissuto fino a quel momento. Ecco perché, piuttosto che della scomparsa di Ettore Majorana, bisognerebbe parlare della sua fuga. Una fuga anche meditata da tempo. In famiglia, i rapporti erano diventati ancora più tesi dopo l’episodio della memoria scientifica di argomento fisico che il padre, che non era un fisico, aveva redatto e che gli fa leggere nell’estate del ’33 per averne un parere. Ettore è tranchant nel suo giudizio e ribadisce un’opinione fortemente negativa anche quando le condizioni di salute del padre peggiorano – muore nel luglio del ’34 – nonostante la madre, i fratelli e le sorelle gli chiedano una pietosa bugia. Dopo la scomparsa, la famiglia intuisce che non si è trattato di una disgrazia ma di un allontanamento volontario e, tramite Savini Nicci, si rivolge ai massimi livelli della Polizia di Stato, nella persona del suo amico e compagno di carriera il vice-Capo Carmine Senise, per ricerche “ai soli fini di rintraccio”. Solo per sapere se era vivo, senza voler conoscere dove fosse. I diari di Savini Nicci riportano anche l’informazione secondo la quale il fratello Salvatore si era recato in Calabria per cercarlo in qualche convento. La famiglia, infatti, aveva ricevuto la notizia che si stesse nascondendo in qualche paese del catanzarese. Non è dato conoscere con certezza se l’abbiano poi rintracciato e se Ettore abbia ribadito la sua scelta irrevocabile. È però certo che nella successiva estate la famiglia venne a sapere che Ettore era morto. La conferma viene da una borsa di studio dei gesuiti che Salvatore chiede di intestare a suo fratello e che sarebbe servita per mantenere un gesuita per il periodo della preparazione, fino al raggiungimento del sacerdozio. È per la famiglia il modo più appropriato per ricordare Ettore, nell’impossibilità di un funerale e di esequie tradizionali. Nel novembre del ’39, la rivista Le Missioni della Compagnia di Gesù dà notizia dell’iniziativa precisando che porta il nome del compianto e caro estinto Ettore Majorana.

La soluzione del “caso Majorana” va allora cercata in un esaurimento nervoso, nel crollo di un uomo geniale alle prese con seri problemi personali e familiari per lui diventati insormontabili?

Ettore aveva un carattere difficile. In realtà, credo che presentasse i sintomi della sindrome di Asperger. Avvertiva la protezione della sua famiglia come una gabbia ma nello stesso tempo non era in grado di stabilire nuove e continuative relazioni personali e non voleva essere distolto dai suoi studi. Da un lato l’ossessività per i propri interessi, dall’altro la difficoltà della vita sociale. Aveva deciso anche di allontanarsi dell’insegnamento. Lo sguardo sfuggente che si può notare in tutte le fotografie in nostro possesso, quasi a evitare il contatto oculare, denota l’incomprensione delle necessità più o meno convenzionali presenti nella vita di tutti i giorni e l’eccessiva ansia nel sostenere uno sguardo diretto.

Lei accenna anche ad un’altra caratteristica della personalità di Ettore, la sua omosessualità.

Ci sono vari riscontri dell’omosessualità di Ettore. Non è solo la ricostruzione cinematografica del film di Gianni Amelio del ‘89, I ragazzi di via Panisperna. È questo che la famiglia non sopportava: di avere un problema in casa che le indagini e la curiosità suscitata dalla scomparsa stavano per rendere pubblico. Nell’Italia degli anni ’30 e in una famiglia come i Majorana l’omosessualità era una diversità di cui ci si vergognava, una malattia. L’omosessualità era una colpa di Ettore. La notizia che Savini Nicci ricava dal colloquio con Senise, e cioè che i comportamenti di Ettore erano già noti alla polizia, è la peggiore che la famiglia potesse ricevere. L’offesa per una famiglia compatta come i Majorana diventa imperdonabile. Così, mentre in privato insiste con polizia e enti religiosi per continuare le ricerche, sceglie subito la linea della riservatezza per difendere onore e immagine e ufficialmente copre tutto con la tesi del suicidio. Meglio non parlarne più, piuttosto che dare delle spiegazioni imbarazzanti. Quando poi, dopo la guerra, l’atomica riporta l’attenzione sui ragazzi di via Panisperna e in particolare sull’eccezionalità dei contributi forniti da Ettore, non è più possibile correggere la versione del suicidio. La famiglia affida a Edoardo Amaldi tutte le carte scientifiche di Ettore con il tacito accordo del rispetto della sua versione per la scomparsa. L’autorevolezza di un fisico quale Amaldi accredita presso la comunità scientifica la tesi del suicidio.

Il riferimento che lei fa ad Amaldi ci porta a parlare dei ragazzi di via Panisperna. Che rapporti aveva Ettore con il gruppo dei giovani fisici raccolti attorno a Fermi?

Nel gruppo, tutti avevano un soprannome mediato in gran parte dalla tradizione ecclesiastica. Ettore aveva quello di Grande Inquisitore per l’acuto senso critico con cui vagliava ogni passaggio e ipotesi scientifica. In realtà, non si è mai sentito del tutto omogeneo al gruppo. Da suo fratello Salvatore ho saputo anche che Ettore era dispiaciuto di alcune scorrettezze professionali – meriti non riconosciuti o mancate citazioni – di cui era stato oggetto da parte di qualche collega. Come esempi positivi di amici che con lui si erano comportati sempre bene citava solo Franco Rasetti e Giovannino Gentile.

Prima di occuparsi della scomparsa di Ettore Majorana, la sua vita professionale si è sviluppata però in campi ben diversi dalla fisica e dalla storia della scienza.

Ho lavorato in Rai, sempre alla prima rete, come autore di testi e regista. Ho al mio attivo anche due film, due “gialli”, e un documentario su Francesco Borromini che venne premiato alla mostra cinematografica di Venezia del ’67 ma non fu mai proiettato nelle sale come anteprima di un film, come si usava, perché durava 32 minuti. Troppo lungo.

In uno dei libri che ha scritto per Editori Internazionali Riuniti (Ettore Majorana, lo scomparso e la decisione irrevocabile) ho letto che c’è però un’intersezione tra la sua attività televisiva e l’interesse per la scomparsa di Ettore.

Immagino che lei si riferisca a Sciascia. Effettivamente nel ’70 ebbi modo di intervistarlo per un programma TV in quattro puntate. Nella prima, dedicata a Palermo, il tema della scomparsa giocava un ruolo importante e avevamo deciso di parlare anche di Ettore Majorana. Presentai il suo caso a Sciascia che mi ascoltò con moderato interesse – questo era il suo modo di fare – ma poi mi suggerì di spostare l’attenzione sulle vicende più attuali del giornalista Mauro De Mauro, fatto scomparire dalla mafia pochi mesi prima. Fu così che Sciascia venne a sapere da me molte cose del “caso Majorana”. Il suo contributo tardò molto a vedere la luce ma la ricostruzione che ne emerse mi è piaciuta molto per la contiguità con le idee che cominciavo a farmi su come si erano svolti i fatti e il valore artistico del suo romanzo, creatore nello stesso tempo di verità e storia.

Un mistero che porta in libreria

di Luca Alberini

Il clamore suscitato nella comunità scientifica e nell’opinione pubblica dalla scomparsa di uno scienziato geniale e dalla personalità complessa come Ettore Majorana, oltretutto implicato in qualche modo nella realizzazione della bomba atomica, fu tale che la sua vicenda ha raggiunto nel secondo dopoguerra anche il mondo della narrativa e della saggistica.

Ad “aprire le danze” fu un altro siciliano, Leonardo Sciascia, che nel 1975 scrisse il romanzo La scomparsa di Majorana. Con la consueta straordinaria maestria, dopo aver raccolto materiali e testimonianze, Sciascia ipotizzava che Majorana non si fosse suicidato ma si fosse ritirato in un convento ricusando il suo ruolo di scienziato, in seguito a un’intuizione sulle possibili conseguenze disastrose della costruzione della bomba atomica cui aveva contribuito con i suoi studi.

Poi, a partire da Il caso Majorana (Mondadori, 1987), hanno cominciato a essere pubblicati gli studi dello storico della fisica Erasmo Recami, recentemente scomparso in Brasile, che ha avanzato l’ipotesi della fuga di Majorana in Argentina. La pista sudamericana, tra Venezuela e Argentina, è al centro della ricostruzione operata in La seconda vita di Majorana (Chiarelettere, 2018) da G. Borello, L. Giroffi e A. Sceresini. L’immaginazione prende decisamente il sopravvento sulle ricostruzioni storiche nei romanzi fantascientifici e fantapolitici di M. Farneti (Attacco all’Occidente, Tea, 2002), A. Raffa (La bomba di Majorana, Eee, 2012), P. Prosperi (Majorana ha vinto il Nobel, Meridiano Zero, 2016) e W. Ming (La macchina del vento, Einaudi, 2019). Filosofico, invece, l’impianto di Che cos’è reale. La scomparsa di Majorana (Neri Pozza, 2016) di Giorgio Agamben che suggerisce che l’allievo e collaboratore di Fermi, scomparendo senza lasciare tracce, abbia fatto della sua persona la cifra stessa dello statuto del reale nell’universo probabilistico della fisica contemporanea, ponendo alla scienza una domanda circa la natura della realtà.

La vicenda, insomma, non sembra perdere d’interesse nemmeno a distanza di molti anni. Lo conferma l’ultima, recentissima, fatica del direttore del Museo “Galileo” di Firenze, Marco Ciardi: in L’uomo tra le nuvole (Aras, 2021) cerca una spiegazione soddisfacente del caso Majorana, questa volta tra situazioni imprevedibili e indizi mai prima presi in considerazione, tra collezioni di fumetti e vecchie audiocassette.

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