UCRAINA-RUSSIA: Minaccia nucleare o ricerca di dialogo?

In questi ultimi giorni da più direzioni si sono paventate le catastrofiche conseguenze di un attacco nucleare sovietico all’Ucraina. Nessuno sa cosa potrà realmente accadere ma ci piace offrire la lettura di Piergiorgio Pescali, fisico specializzato in ambito nucleare e che con grande frequenza ha l’opportunità di visitare alcune delle principali realtà nucleari mondiali

La minaccia nucleare, di cui si è fatto un gran parlare nei media nazionali prima che tutti gli occhi fossero puntati sul nuovo governo, ha prodotto numerose speculazioni, alcune valide, altre un po’ meno. Nessuno ha la sicurezza di come Putin e il suo governo intendano procedere in questo senso, ma una cosa è sicura: il lancio di un ordigno nucleare difficilmente potrebbe risolvere una situazione che, per la Russia, si sta facendo sempre più critica. Putin, come ha detto più volte anche Zelensky, non è un suicida e un attacco nucleare significherebbe molto probabilmente la sua morte, se non fisica, politica.

Di ritorno da Mosca, dove ho avuto incontri con scienziati impegnati nel settore nucleare (sia civile che militare), tutti si sono dichiarati concordi nel considerare i discorsi sempre più accalorati di alcuni politici russi come la ricerca di uno spiraglio di dialogo con gli Stati Uniti e, in secondo grado, con l’Unione europea. In politica succede spesso che bisogna sospettare più delle rassicurazioni che delle minacce.

Lanciare un’arma nucleare, anche di limitata potenza, sarebbe un grave errore tattico da parte di Mosca, specialmente in questo periodo in cui i successi ucraini hanno risollevato il morale della nazione. Il lancio di una bomba atomica non farebbe altro che far levitare la furia nazionalista di Kiev, moltiplicando le offensive in atto e, alla fine, avrebbe un effetto esattamente contrario a quello voluto dal governo russo.

Putin rischierebbe anche l’isolamento internazionale, cosa a cui, nonostante i proclami dei media occidentali, la Russia, ad oggi, non è ancora costretta. India, e ancora più la Cina, si allontanerebbero da quella forma spuria di partenariato che le lega a Mosca. L’ultima cosa che vuole Pechino è una ulteriore destabilizzazione dello scacchiere internazionale, come ha dichiarato anche Xi Jinping nel suo discorso all’apertura del XX congresso del partito comunista. La politica cinese è stata sempre quella di considerare l’Ucraina e i suoi confini inviolabili non per solidarietà con Kiev, ma per convenienza: una eventuale disgregazione o secessione delle regioni ucraine sarebbe un pericoloso precedente per un Paese che ha già grossi problemi con le proprie minoranze. È per questo che, nell’ottica di Pechino, i referendum separatisti, in qualunque Paese essi vengano indetti, non sono mai stati visti in modo positivo. Mentre nel 1991 in Occidente si brindava al crollo dell’Unione sovietica, la Cina, pragmatica come sempre, avvertiva che i buchi di controllo governativi che si sarebbero venuti a creare in nuove repubbliche non in grado di vigilare sui propri territori, avrebbero creato situazioni pericolose, come poi è avvenuto. Sarebbe ora che iniziassimo ad ascoltare anche noi i politici cinesi.

La Cina è impegnata in un immane sforzo di transizione energetica in cui il nucleare ha una parte preponderante e di rilievo: tendenzialmente l’opinione pubblica non fa distinzione tra nucleare civile e quello militare e il lancio di una bomba atomica, seppur di limitata potenza, farebbe vacillare anche il programma energetico di Pechino di fronte alle proteste di piazza e ai proclami politici.

La risposta della Nato a un attacco nucleare russo, sarebbe devastante, ma difficilmente verrebbero usate armi di pari portata. Come più volte accennato da Stoltenberg (non perché creda in un attacco nucleare russo, ma perché incalzato dai giornalisti), la preferenza verrebbe data alle armi convenzionali che, tanto per intenderci, nella loro totalità non causeranno meno devastazione rispetto all’arma atomica (vedi Dresda o Tokyo), ma incutono meno timore psicologico e sono meno soggette ad accuse etiche.

Non bisogna inoltre scordare che almeno uno dei tre uomini chiave che hanno i codici nucleari russi, parlo del Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov, si è sempre mostrato molto più realista e disposto al dialogo degli altri due colleghi (Putin e Sergei Shoigu). A differenza di loro sa benissimo che l’arsenale militare russo è sì numeroso sulla carta, ma tecnologicamente arretrato e poco efficiente in termini di potenza distruttiva. Molti dei vettori che dovrebbero portare le testate sono inutilizzabili per mancanza di manutenzione e per la penuria di pezzi di ricambio provenienti da un’industria, quella militare, obiettivo principale delle sanzioni occidentali, che non ha più rifornimenti costanti da diversi mesi.

L’attuale probabilità di una minaccia atomica, pur non potendola escludere in modo assoluto, rimane dunque assai remota e i reiterati proclami, non tanto di Putin, ma dei suoi colleghi di governo, mostrerebbero la disperata ricerca di una via d’uscita da un’avventura poco preparata e ancora peggio gestita che non faccia perdere la faccia a Mosca.

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