La nostra specie ha sempre dovuto sapersi orientare, imparando a leggere il territorio che la circonda e creando mappe mentali per muoversi e trovare le risorse necessarie. Gli archeologi ci aiutano a comprendere le più antiche rappresentazioni grafiche del territorio. Quando nelle caverne gli uomini rappresentavano scene di caccia, disegnavano l’antenato di un moderno dipinto. A un certo punto quei graffiti si sono trasformati in raffigurazioni simboliche, trasposizioni bidimensionali in scala di alcuni elementi scelti sul territorio e dei loro rapporti spaziali. È nata così la mappa del territorio che, per distinguersi da un disegno, richiede rigore sul rispetto della scala, sul punto di vista adottato e sull’omogeneità. Un punto di vista comodo da adottare è quello della vista dall’alto, come se fossimo un uccello che guarda perpendicolarmente il territorio sottostante, mantenendo allo stesso tempo rapporti di scala il più possibile omogenei.
Torniamo al nostro uomo neolitico. La più antica mappa che rispecchi i requisiti indicati è quella scoperta a Çatalöyuk, un sito archeologico in Anatolia datato al 6.600 a.C. Dipinta su un muro del villaggio, rappresenta in pianta il villaggio stesso: sullo sfondo si vedono due picchi, a rappresentare una vista da ovest del paesaggio. Si tratta dunque di una rappresentazione mista, iconografica e cartografica, che ci ricorda quanto la capacità di astrazione necessaria per organizzare una veduta dall’alto cresca per gradi.
Anche gli eventi naturali, come le ricorrenti inondazioni del Nilo nell’antico Egitto, esigono di mappare il territorio e la rappresentazione precisa dei campi coltivati serve a tutelarne i proprietari. Gli Egizi sviluppano i metodi geometrici e la mappatura in pianta. Al Museo Egizio di Torino è esposto il papiro delle miniere d’oro (figura 1), realizzato verso il 1150 a.C. dallo scriba Amennakhte. Ha una scala all’incirca costante ed è una rappresentazione dall’alto di un tratto di circa 15 km di una valle nel deserto arabico. La difficoltà concettuale della planimetria si rispecchia nella rappresentazione di profilo delle montagne sui due versanti della valle. A parte ciò, la mappa è precisa e ricca di informazioni: dalle strade ai templi, dai villaggi alle miniere d’oro e alle cave di materiali lapidei. Accanto a necessità pratiche si sviluppano esigenze culturali, stimolate dalla nascente visione cosmogonica, per il bisogno di individuare un ordine (cosmo) di fronte al caos della natura. Sorge quindi l’idea di rappresentare tutto il mondo conosciuto. Dalla precisa mappa egizia su papiro si passa, con un salto vertiginoso, alla tavoletta in argilla babilonese (figura 2) del VI secolo a.C, trovata a Sippar nell’Iraq meridionale e conservata a Londra nel British Museum. Tanto quella egizia risulta pratica e dettagliata quanto quella babilonese si presenta idealizzata e simbolica. Anche se qualche studioso dubita che si tratti di un vero planisfero, vi si trovano alcuni elementi caratteristici che si ripropongono spesso in seguito come, per esempio, la decisione di porre Babilonia, la propria città di riferimento, al centro della mappa oppure la scelta di circondare le terre note con un grande oceano universale. Ciò che forse più affascina è la descrizione della porzione ignota al di là dell’oceano rappresentata attraverso otto triangoli, di cui tre perduti, descritti da brevi frasi come il luogo “dove un uccello non può completare con certezza il suo volo” oppure il luogo “dove non è possibile vedere il Sole” e un altro come il luogo “dove il mattino sorge”.
Sarà la fiorente civiltà greca, amante dei racconti di viaggio dal tempo delle avventure di Odisseo-Ulisse, a dare l’impronta definitiva alla cartografia. Per comprendere il nostro debito nei confronti di geografi, cartografi e matematici ellenistici, basti ricordare, nel III secolo a.C., Eratostene di Cirene, contemporaneo di Archimede, e la prima misurazione scientifica della circonferenza terrestre. Segue, nel secolo successivo, l’introduzione del concetto di proiezione della superficie sferica su un piano a cura di Cratete di Mallo e di quelli di latitudine e longitudine da parte di Ipparco di Nicea. Si passa poi a Marino di Tiro e alla sua realizzazione del primo planisfero, basato sulla proiezione della superficie sferica su un cilindro che poi viene disteso, e alla misura delle coordinate di latitudine e longitudine. È ormai il tempo di Claudio Tolomeo, a cavallo fra il primo e il secondo secolo della nostra era. I grandi movimenti di popoli, la caduta dell’unico imperatore romano e l’ascesa di tanti re indigeni, il passaggio dalle antiche religioni politeistiche alle nuove religioni monoteistiche, cristiana e musulmana, tutte le convulsioni della tarda età antica ci riconducono a mappe più schematiche, portatrici di una visione insieme cosmogonica e teologica. Nel mondo cristiano prendono piede le mappe basate sul modello denominato T-O. Non sono veri e propri planisferi – il concetto di una Terra sferica, la maggior parte della quale è ignota, non va perduto – e l’interesse si concentra solo su quella porzione della Terra che si ritiene abitata da esseri umani e raggiunta dal cristianesimo: l’ecumene, divisa da bracci di mare oppure da fiumi a formare una grande T nei tre continenti, Europa, Asia e Africa e circondata da un oceano che assume la forma di una grande O. Dopo la distruzione della splendida Mappa Mundi di Ebstorf durante il bombardamento di Amburgo nella seconda guerra mondiale, la più elaborata e complessa Mappa Mundi medioevale a noi pervenuta resta quella conservata nella Cattedrale di Hereford in Inghilterra e datata fra il 1276 e il 1283, con Gerusalemme collocata al centro (figura 3). Sono rappresentate 420 città, 33 animali e piante, 32 personaggi e 15 eventi biblici fra i quali il passaggio del Mar Rosso, la Torre di Babele e l’arca di Noè, oltre a citazioni classiche come il vello d’oro e Alessandro Magno. La mappa riassume la lettura cristiana del tempo e dello spazio, dal Giardino dell’Eden, proseguendo con le diverse civiltà che si sviluppano sempre più a occidente fino a terminare con le Colonne d’Ercole, allegoria della fine del mondo e del Giudizio Universale. È lo spirito enciclopedico della cultura del tempo.
In parallelo a questa mappa d’impronta cristiana, osserviamo quella realizzata nel 1154 dal geografo maghrebino al Idrisi (figura 4) e conservata alla Bodleian Library di Oxford. A prima vista simile alle mappe T-O, a uno sguardo più approfondito ne risulta profondamente diversa. Se permane l’oceano universale che circonda l’ecumene come una O, la struttura a T è invece assente e non si riconosce la suddivisione in tre continenti così come mancano naturalmente i riferimenti cristiani, sostituiti dalla visione musulmana del mondo. La Mecca è posta al centro della mappa e l’orientazione riporta il sud verso l’alto. Il cristiano guarda prevalentemente verso est in direzione di Gerusalemme, mentre il musulmano guarda prevalentemente verso sud alla Mecca.
Passando attraverso l’epoca delle repubbliche marinare e dei loro portolani che accompagnano i viaggi per mare con il supporto delle prime bussole, giungiamo alle traversate transoceaniche, all’espansione su scala mondiale dei commerci e allo sviluppo della stampa che trasformano le carte geografiche da pezzi unici, oggetto di studio per anni da parte di pochi studiosi, a strumento di lavoro quotidiano facilmente riproducibile e aggiornabile. Nel 1569 il cartografo olandese Gerardo Mercatore produce un planisfero (figura 5) che vuole servire anche da strumento di navigazione introducendo una nuova proiezione cilindrica conforme, detta poi di Mercatore, che ha la caratteristica di rappresentare con linee rette le rotte più facili e più usate, quelle che vengono percorse mantenendo inalterato l’angolo rispetto al nord. La proiezione di Mercatore è ancora oggi la più usata ma per ragioni ben diverse da quelle originarie. Genera distorsioni enormi nella figura dei continenti, comprimendo i territori alle basse latitudini ed espandendo quelli alle latitudini maggiori, come l’Europa, che risulta così sproporzionata rispetto ad Africa e Asia. Per dare un’idea della distorsione delle aree procedendo verso i poli, si consideri che la Groenlandia appare più o meno grande come l’Africa che pure ha un’area quattordici volte maggiore. Anche il problema della definizione del meridiano fondamentale trova una soluzione con l’adozione del meridiano di Greenwich, scelto dagli inglesi dominatori incontrastati dei mari nei secoli successivi. L’Europa si assicura il posto di rilievo al centro di tutti i planisferi che troviamo ancora oggi sulle pareti delle nostre aule scolastiche e nei nostri libri di geografia. Come ci si orienta nel 2020? Il modo più immediato è usare dallo smartphone le App Google Maps e Google Earth che includono la mappa del territorio e l’immagine fotografica di ogni parte del mondo, a scala variabile con un semplice tocco delle dita e a una definizione elevatissima. Questo approccio immediato e pervasivo rappresenta, oltre che una fonte d’informazioni, una fonte di guadagni perché permette di veicolare pubblicità, persino personalizzata secondo il destinatario anche in base a ciò che ha appena ricercato sul suo browser. Google è dominante nei mercati della cartografia digitale, dei motori di ricerca e della pubblicità online e noi dobbiamo ricordarci che le mappe oggettive non esistono: ogni mappa è portatrice di una visione del mondo, di un’ideologia o di un fine pratico e spesso di tutte queste esigenze contemporaneamente. La stessa schermata iniziale di Google Earth, che mostra un’immagine della Terra vista dallo spazio, è elaborata in falsi colori e utilizza per la rappresentazione del globo una proiezione azimutale. Google opera anche censure, oscurando siti e località tramite pixelatura grossolana, come per la centrale nucleare di Marcoule in Francia (figura 6), oppure sovrapponendo l’immagine innocente di un bosco, come sulla base aerea di Volkel in Olanda.
A parte questi casi eclatanti, il mondo visto mediante le App di Google rimane il mondo che Google decide di farci vedere, con le informazioni accuratamente selezionate in modo palesemente interessato. Ecco perché “per andare dove dobbiamo andare” occorre sempre un pizzico di ironia e saper leggere fra le righe!