Breve storia del nucleare in Italia

Nell’immediato dopoguerra l’Italia avviò un robusto programma di sviluppo nucleare tanto da trasformare, nel giro di un decennio, il nostro Paese nella terza potenza al mondo per produzione di energia nucleare a scopi civili dopo Stati Uniti e Gran Bretagna.

Artefice di tale crescita fu un gruppo di scienziati, tecnici ed economisti che facevano capo ai fisici Giuseppe Bolla, Carlo Salvetti, Giorgio Salvini ed Edoardo Amaldi, uno dei fondatori del CERN (Consiglio europeo per la ricerca nucleare), dell’INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare) e unico dei “ragazzi di via Panisperna” rimasto in Italia.

L’idea era quella di ridare lustro ad un campo di ricerca, quello del nucleare, in cui l’Italia aveva primeggiato con gli studi di scienziati del calibro di Enrico Fermi, Orso Maria Corbino, Franco Rasetti, Bruno Pontecorvo, Emilio Segrè, Ettore Majorana. Nel 1946 venne creato il CISE (Centro informazioni studi ed esperienze) a cui, nel 1952, si affiancò il CNRN (Comitato nazionale per le ricerche nucleari). Ad appoggiare il CNRN c’erano i partiti della sinistra italiana, in particolare il Partito comunista, mentre la nascente industria elettrica privata, basata sullo sfruttamento del petrolio e sulle grandi raffinerie, vedeva il CNRN e il possibile sviluppo nucleare come una spina nel fianco.

Il Partito comunista incoraggiava lo sviluppo nucleare anche per altri motivi: l’energia derivata dalla fissione atomica avrebbe consentito la nazione di rendersi indipendente dall’approvvigionamento energetico delle multinazionali straniere (in particolare statunitensi), avrebbe dato al Paese un ente nazionale di produzione dell’energia limitando gli interventi privati e, non ultimo, la fissione nucleare era vista come il compimento di quel dogma marxista dell’uomo che soggiogava le forze della natura per il benessere collettivo. Fortemente contrari allo sviluppo di un’industria nucleare rimanevano i colossi privati che affidavano il proprio capitale al petrolio, le destre e parte della Democrazia cristiana, che temeva la rottura del cordone ombelicale che legava Roma a Washington. Per evitare di consegnare allo Stato il promettente filone nucleare, imprenditori privati convinsero il governo ad acquistare due reattori nucleari dagli Stati Uniti.

Nel 1956 il Partito comunista riuscì a mettere a segretario del CNRN Felice Ippolito, fedele sostenitore del partito, ingegnere e geologo specializzato nella ricerca dell’uranio. Tra l’altro Ippolito era stato fortemente voluto alla guida del CNRN anche da Amaldi. Ippolito si scontrò subito con il presidente del CNRN, il democristiano Basilio Focaccia. Nel 1960 venne fondato il CNEN (Comitato nazionale per l’energia nucleare) che legava la nascente industria nucleare allo Stato, slegandola, almeno in parte, dai grandi interessi privatistici e riservando allo Stato la produzione di energia nucleare. Nel 1962, l’istituzione dell’ENEL portava a compimento il programma di nazionalizzazione energetica.

Fu sotto la direzione di Ippolito che l’industria e la ricerca nucleare italiana ebbero un potenziamento sino a diventare tra le più avanzate al mondo. Tra il 1963 e il 1965 vennero inaugurate tre centrali nucleari a Latina, Sessa Aurunca (Garigliano) e Trino Vercellese. Proprio quando il piano nucleare sembrava dovesse partire, il 10 agosto 1963, Giuseppe Saragat, leader del Partito socialdemocratico italiano, che diverrà presidente della repubblica tra il 1964 e il 1971, diede inizio ad una campagna diffamatoria verso Felice Ippolito. Completamente privo di una minima conoscenza sull’argomento, Saragat, tramite un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, accusò Ippolito di malagestione del CNEN e di un nucleare economicamente svantaggioso. La stessa ambasciata USA in Italia, che seguì il caso Ippolito con estrema attenzione, intuì che Saragat non era altro che il portavoce di una cordata di imprenditori privati che vedevano nella nazionalizzazione energetica e nel piano nucleare un pericolo per i loro interessi. Accanto a Saragat si schierò l’allora presidente del consiglio, il democristiano Giovanni Leone, che diverrà anche lui presidente della repubblica tra il 1971 e il 1978 facendo da staffetta a Saragat e passato alla storia per le corna fatte durante la sua visita all’ospedale di Napoli nel reparto dove erano ricoverati i contagiati di colera.

A difesa di Ippolito e del programma atomico si schierarono, oltre che gli ambienti della ricerca scientifica guidati da Amaldi, il Partito socialista, il Partito repubblicano e, con più veemenza e fermezza, il Partito comunista. Lo stesso Ippolito, nel 1978, accuserà (senza però apportare prove) che il programma nucleare e la sua figura erano da tempo state oggetto di disapprovazione da parte delle multinazionali petrolifere: “I petrolieri desiderosi di smistare barili e costruire nuovi impianti di raffinazione, avevano tutto l’interesse che l’Italia non sviluppasse una politica nucleare alternativa al petrolio. E il mio tentativo di creare un’industria nucleare italiana urtava appunto gli interessi delle “sette sorelle”, i grandi gruppi — integrati — che, coprendo tutto il ciclo del petrolio, dalla ricerca alla vendita del prodotto finito, dominavano il mercato mondiale.”

Il 3 marzo 1964, Felice Ippolito, assieme al padre Girolamo e altri 7 imputati, vennero arrestati. In un processo lampo, il successivo 29 ottobre, Ippolito venne condannato a 11 anni, l’interdizione perpetua da pubblici uffici e a pagare 7 milioni di lire di multa.

A seguito del processo, il CNEN perdette gran parte della sua influenza e del suo prestigio, lasciando che petrolio, gas naturale e carbone divenissero le principali fonti di produzione energetica italiana.

Il programma nucleare italiano, anche a seguito della pressione dei gruppi ambientalisti preoccupati dalla gestione delle scorie nucleari e da possibili incidenti, passò in secondo piano e poi definitivamente abbandonato a seguito dei due referendum svoltesi nel 1987 e nel 2011.

 

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