Il recente Premio Nobel per la fisica assegnato a Giorgio Parisi, oltre a confermare lo straordinario livello di eccellenza della scuola di fisica teorica italiana (ricordiamo almeno, nella generazione precedente, Nicola Cabibbo, Gianni Jona-Lasinio, Luciano Maiani e Guido Altarelli), ha portato all’attenzione del grande pubblico l’affascinante mondo dei sistemi complessi e… il volo degli storni, cui è dedicata anche l’ultima raccolta di saggi del fisico romano (In un volo di storni, Rizzoli 2021).
Il titolo, inconsapevolmente calviniano, In un volo di storni (sembra davvero uno di titoli dei romanzi interrotti di Se una notte d’inverno un viaggiatore), ci ha riportato alla mente un bellissimo breve racconto di Italo Calvino che ha come protagonisti proprio gli storni. Stiamo parlando de “L’invasione degli storni”, tratto da Palomar.
Ne riportiamo qualche riga ma il consiglio è di andare a recuperare l’intero racconto e, meglio ancora, l’intero Palomar:
“C’è una cosa straordinaria da vedere a Roma in questa fine d’autunno ed è il cielo gremito d’uccelli. Il terrazzo del signor Palomar è un buon posto d’osservazione, da cui lo sguardo spazia sopra i tetti per un’ampia cerchia d’orizzonte.
Di questi uccelli, egli sa solo quel che ha sentito dire in giro: sono storni che si raccolgono a centinaia di migliaia, provenienti dal Nord, in attesa di partire tutti insieme per le coste dell’Africa. Di notte dormono sugli alberi della città, e chi parcheggia la macchina sul Lungotevere, al mattino, è obbligato a lavarla da cima a fondo.
Dove vadano durante il giorno, che funzione abbia nella strategia della migrazione questa sosta prolungata in una città, cosa significhino per loro questi immensi raduni serali, questi caroselli aerei come per una grande manovra o una parata, il signor Palomar non è riuscito ancora a capirlo. […]
Se si sofferma per qualche minuto a osservare la disposizione degli uccelli uno in rapporto all’altro, il signor Palomar si sente preso in una trama la cui continuità si estende uniforme e senza brecce, come se anche lui facesse parte di questo corpo in movimento composto di centinaia e centinaia di corpi staccati ma il cui insieme costituisce un oggetto unitario, come una nuvola o una colonna di fumo o uno zampillo, qualcosa cioè che pur nella fluidità della sostanza raggiunge una sua solidità nella forma.
Ma basta che egli si metta a seguire con lo sguardo un singolo pennuto perché la dissociazione degli elementi riprenda il sopravvento ed ecco che la corrente da cui si sentiva trasportato, la rete da cui si sentiva sostenuto si dissolvono e l’effetto è quello d’una vertigine che lo prende alla bocca dello stomaco.”