Pensieri divergenti – Il buon conflitto

Scrivo queste righe, reduce dalla partecipazione alla gioiosa manifestazione transnazionale del FVG Pride che, all’insegna dello slogan “Sconfiniamo i diritti/Odmejimo pravice”, ha portato migliaia di persone festanti da Piazza della Vittoria a Gorizia alla Piazza Transalpina. Ovvero da una piazza il cui nome ricorda in modo ipocrita la carneficina della prima guerra mondiale alla piazza che Gorizia e Nova Gorica in Slovenia condividono a metà,
dopo mezzo secolo di cortina di ferro, come un embrione degli Stati Uniti d’Europa. Che la via che porta al superamento delle discriminazioni sia ancora lunga, però, lo dimostra il fatto che il Pride non ha ricevuto alcun patrocinio ufficiale da istituzioni italiane, anche se Gorizia/ Nova Gorica saranno congiuntamente Capitale europea della cultura 2025.
Il giorno precedente avevo partecipato a una manifestazione organizzata dalle Donne in Nero a sostegno di corridoi umanitari a favore dei profughi afghani; soprattutto di quelle donne afghane riprecipitate in una condizione di violenta discriminazione a seguito del ritiro militare occidentale. Ritiro dovuto al cinico calcolo finanziario che non valuta più l’occupazione militare in Afghanistan, come nei vent’anni precedenti, un investimento redditizio per i fondi pensione occidentali. E tutto ciò si è svolto, e si svolge, nel clima surreale generato da quel paradosso disumano che vede una piccola parte di pianeta apprestarsi a godere del privilegio della “terza dose” di vaccino quando la maggioranza della popolazione sulla Terra non ne ha ricevuta nemmeno una. Al tempo stesso, questa piccola parte si trova sotto la minaccia della rabbia di coloro che, pur potendolo ricevere, il vaccino non lo vogliono.
Dove cercare un punto archimedeo? Porto alla vostra attenzione due mie recenti letture, opere di due filosofe. Pochi contro molti (2020) di Nadia Urbinati e The human condition (1958) di Hannah Arendt. La prima lettura fa riflettere sul fatto che, pur comparendo nell’articolo 1 della nostra Costituzione, la dicitura “repubblica democratica” è quasi un ossimoro. Il concetto di repubblica presuppone uno sfondo dualistico e, sin dalle sue origini al tempo del Senatus Populusque Romanus, ha sempre avuto una forte deriva oligarchica. Diversa è la democrazia. Fino a quando si riesce ad avere fiducia nelle regole del gioco del conflitto politico, la democrazia è il migliore antidoto a qualsiasi ingiustizia. E in quest’epoca nella quale anche la parola proletariato ha perso il suo senso, essendo ormai un privilegio poter avere una prole, è solamente con la forza del numero, viribus quantitatis direbbe Luca Pacioli, che è possibile esercitare la democrazia. Questa è la forza della partecipazione, dell’occupazione dei luoghi pubblici invece del rinchiudersi nel privato. E partecipazione vuol dire esercitare la vita activa, che Arendt riteneva essere la cifra autentica della condizione dell’umanità, che soltanto così può diventare cosciente della pluralità e della diversità. La partecipazione può, anzi forse deve, essere conflittuale; ma deve essere un buon conflitto (questa volta l’ossimoro è coniato da Urbinati) e non deve mai sfociare nella mera contrapposizione che, la storia insegna, è sempre reazionaria.

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