Triangolo di Tartaglia o di Pascal?

Per molti italiani è l’ennesimo sopruso dei francesi, che si impadroniscono abilmente delle scoperte e delle invenzioni altrui. Per i francesi, viceversa, è il tipico caso in cui i soliti italiani, presuntuosi, sono convinti di essere arrivati primi. Stiamo parlando di quello che a scuola ci viene presentato come il triangolo di Tartaglia e che in buona parte del mondo è conosciuto come il triangolo di Pascal. È una tabella a forma triangolare, in cui ogni numero è la somma dei due che gli stanno sopra (se non c’è un numero si sottintende che sia 0, per cui i numeri lungo i due lati obliqui sono tutti 1). Fra i molti usi che se ne fanno in matematica, l’applicazione più nota riguarda le potenze del binomio (x + y). La prima riga del triangolo corrisponde alla potenza 0esima: (x + y)⁰ = 1 (perché qualunque valore diverso da 0, elevato alla potenza 0, dà 1). La riga successiva corrisponde alla potenza 1: (x+y)¹ = x + y, dove i coefficienti sono appunto 1 e 1. Scendendo, si ha (x+y)² = x² + 2xy + y², dove i coefficienti sono 1, 2 e 1. E così via. La formula generale delle potenze del binomio è dovuta a Newton, che però il triangolo se l’era trovato già pronto. Ma di chi è il merito? Guardando le date, la descrizione di Tartaglia del triangolo risale al 1556, ben 67 anni prima della nascita di Pascal. Problema risolto? La questione non è così semplice. In matematica capita spesso che uno stesso risultato venga scoperto (o inventato, a seconda dei punti di vista) varie volte in contesti indipendenti. Così è successo anche in questo caso: Pascal non l’ha copiato, l’ha solo riscoperto. La stessa cosa, del resto, l’aveva fatta Tartaglia. Prima di lui infatti l’aveva “visto” il tedesco Michael Stifel nel 1544 e prima ancora, sempre in Germania, Pietro Apiano (Peter Apian) nel 1527. Andando indietro nel tempo, ritroviamo il triangolo nelle opere dell’ebreo francese Gersonide (Levi ben Gershon) all’inizio del Trecento e addirittura in quelle di Giordano di Nemi, matematico italiano del Duecento. E non è finita. Nella stessa epoca di Giordano, il triangolo veniva studiato in Cina da Yang Hui ma un altro cinese, Jia Xian, ne aveva parlato duecento anni prima, più o meno in contemporanea con il sommo matematico e poeta persiano Omar Khayyám e il suo connazionale Tusi (o al-Tusi). Un altro matematico persiano, Al-Karaji, lo conosceva già intorno all’anno mille e prima, nel X secolo, lo conosceva l’indiano Halayudha, il quale a sua volta si rifaceva a una tradizione matematica plurimillenaria. E qui siamo alla fine (o meglio all’inizio) della storia, perché il primo riferimento al triangolo risale al matematico indiano Pingala, vissuto nel III o nel II secolo avanti Cristo. Altro che Tartaglia o Pascal! La “competizione” fra l’italiano e il francese è insomma quella fra il penultimo e l’ultimo arrivato. Ultimo perché con Pascal il triangolo è diventato famoso nel mondo e dopo di lui nessun matematico può più vantarsi di averlo scoperto (o riscoperto), anche se ad averlo divulgato non è stato Pascal (che non l’aveva neanche pubblicato), ma altri matematici francesi: Pierre Raymond de Montmort e Abraham de Moivre. Sono stati loro, nel Settecento, ad attribuirgli il nome che oggi gli resta in Occidente (Italia esclusa) ma anche in molti Paesi asiatici (fra cui Giappone e Corea) e in quasi tutta l’Africa. Oltre all’Italia, però, altri Paesi omaggiano gli scopritori “locali”: in Cina si chiama triangolo di Yang Hui e nella maggior parte del mondo musulmano triangolo di Khayyám (fa eccezione l’Azerbaigian, dove “vince” Tusi). In India il triangolo porta giustamente il nome del suo primo scopritore, Pingala (e a volte quello di Halayudha). Solo due Paesi dell’Asia centrale, Uzbekistan e Kirghizistan, danno al triangolo il nome più corretto e meno campanilista: triangolo aritmetico. Il nome che gli aveva dato lo stesso Pascal.

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