Interviste – Amalia Ercoli Finzi, una donna alla conquista dello spazio

“Se una donna desse sempre retta a quello che le dicono gli altri intorno… finirebbe per non ascoltare più la voce che le viene da dentro.” (Oltre le stelle più lontane, Amalia Ercoli Finzi Elvina Finzi)

Amalia Ercoli Finzi nasce a Gallarate nel 1937 e vive l’esperienza tragica della guerra in prima persona, in quanto suo padre aiutava i partigiani a superare il confine per rifugiarsi in Svizzera. L’esperienza terribile della guerra la segna profondamente e da questa prova, tra le altre cose, capisce l’importanza dell’affidabilità e che, se nella vita vorrà ottenere qualcosa, dovrà cavarsela da sola. Contro il volere dei genitori, si iscrive nel 1956 al Politecnico di Milano ad Ingegneria aeronautica, laureandosi nel 1961 “cum laude”. Qui, appena laureata, inizia la carriera universitaria. Dal 1962 al 1980 è assistente prima del corso di Tecnica delle costruzioni e poi di quello di Meccanica razionale. Dal 1980 è professore associato di Meccanica aerospaziale, dal 1994 professore ordinario.

Nel romanzo “Oltre le stelle più lontane”, scritto a quattro mani con la figlia Elvina, sostiene in merito ai genitori che non approvavano le sue scelte universitarie: “Nella vita spesso sembra già tutto scritto e pare impossibile cambiare le cose. […] Eppure, ognuno di noi ha sempre una piccola possibilità per opporsi al destino. […] Attraversare il confine divenne per me una necessità. Da un lato mi spinse un forte desiderio di libertà. Dall’altro, volevo conoscere il mio destino e raccogliere, come Ulisse, quella piccola grande possibilità che è data agli uomini e alle donne di dare una forma alla propria vita.”

Svolge la sua attività scientifica più importante su tematiche proprie delle missioni spaziali e le sue attività di ricerca si collocano nella maggior parte dei casi in programmi di ricerca internazionali, proposti e finanziati dalle Agenzie Spaziali (Asi, Esa, Nasa). Amalia Ercoli Finzi è considerata uno dei maggiori esperti di missioni spaziali a livello nazionale ed internazionale e per questo è stata eletta membro della International Academy of Astronautics ed ha ricevuto la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica per i benemeriti della scienza, della cultura e dell’arte. A lei si deve un teorema legato al comportamento dei fluidi non newtoniani e la dimostrazione, con metodi algebrici, della possibilità dell’esistenza del monopolo magnetico. Collabora con l’Agenzia Spaziale Europea nella missione Giotto, ma forse la sua soddisfazione più grande è legata alla missione Rosetta, lanciata nel 2004 e conclusa 12 anni dopo.

Oggi Amalia Ercoli Finzi si occupa di portare avanti la battaglia della parità di genere nella scienza e nella vita in generale, dedicandosi alla divulgazione sia oralmente, andando nelle scuole o in programmi televisivi, sia attraverso la scrittura di libri. Per la scienziata è importante far comprendere ai giovani, anche attraverso la sua testimonianza, quello che vogliono fare, conoscendo le proprie capacità e i propri obiettivi perché nella vita non possono mancare la fiducia nelle proprie capacità e una curiosità ben allenata. È fondamentale che le ragazze acquistino sempre più fiducia in se stesse e la consapevolezza che possono fare tutto quello che desiderano. La stima in se stessi va coltivata sin da piccoli ed è un tesoro che si accumula piano piano e con tanta fatica perché è nella pratica del “fare” che si concretizza l’autostima, ogni battaglia del “fare”, vinta o persa che sia, insegna a guadagnare un po’ più di fiducia in se stessi.

 

Amalia Ercoli Finzi

Ci racconti della sua famiglia. Da chi pensa di aver preso l’interesse per la scienza e quando ha maturato la passione per le stelle?

Io vengo da una famiglia della media borghesia che non aveva grandissime possibilità economiche, ma nella quale il valore della cultura era altissimo: mia madre era maestra elementare e mio padre dirigeva la parte commerciale di un’industria tessile. I miei genitori erano molto interessati alla conoscenza e in casa mia i libri erano davvero moltissimi, tanto che ho imparato a leggere a quattro anni. Credo di aver preso dai miei genitori la curiosità nei confronti del mondo, della scienza e della cultura, mentre la passione per le stelle nasce in me fin da bambina, quando amavo osservarle insieme a mia sorella sul balcone di camera nostra. Le stelle hanno la capacità di rapire i nostri pensieri e io mi sentivo trasportata e felice quando le guardavo. Durante il periodo della guerra sono state per me preziose per trovare un pochino di serenità. È importante per me sottolineare, visto che ci sono ancora tante guerre al mondo, quanto i combattimenti siano una cosa tragica e tremenda, soprattutto per i bambini che non si rendono pienamente conto di cosa stia succedendo e del perché debbano avere paura se non hanno fatto nulla di male.

Nel libro “Oltre le stelle più lontane” racconta che i suoi genitori hanno provato tutta la vita a imporle le loro scelte e ad allontanarla dall’ingegneria, nonostante in lei l’inclinazione per questa materia fosse chiara fin da bambina. Questi suoi sogni e desideri furono visti in modo negativo e in che maniera avversati dai suoi genitori?

I miei genitori prevedevano per me dapprima il lavoro di maestra elementare come mia madre e successivamente di insegnante di matematica perché erano quelli all’epoca i mestieri e il destino considerati “idonei” per una donna. In me, però, la passione per l’ingegneria era chiara fin da bambina, ma i miei genitori non ne volevano sapere di questa mia passione. Le mie scelte sicuramente davano fastidio. Io, però, ho tenuto duro e alla fine, vedendo i miei risultati scolastici sempre ottimi e che facevo tutte le cose con serietà, hanno pensato che fosse un peccato sacrificare i miei talenti e che, se proprio volevo fare ingegneria, non potevano opporsi. Ricordo ancora le parole decisive di mio padre “ricordati cinque anni” e io ho mantenuto la promessa laureandomi in cinque anni e col massimo dei voti.

Da madre mi capita spesso di sentirmi in colpa perché mi sembra di trascurare i figli per i miei interessi e il mio lavoro. Nel libro sua figlia ricorda a questo proposito di una volta che aveva tardato ad andare a prenderla a scuola e dice “Mi ha sorriso teneramente, senza il minimo senso di colpa”. Non si è mai sentita in colpa verso i suoi figli? È stata dura conciliare il lavoro con la famiglia, soprattutto a quei tempi, in cui c’era poca tutela verso le donne che lavoravano e la famiglia era considerata esclusivamente a carico della madre? Suo marito l’ha aiutata nel non farsi “spegnere”? Ritiene che oggi per le donne che lavorano le cose siano migliorate?

In realtà non è che io mi sentissi in colpa, ma erano gli altri che mi facevano sentire così. A me sembrava di fare tutto bene e con impegno, compresa la cura dei figli, tanto è vero che i miei figli sono certamente cresciuti non peggio di come sono cresciuti i figli di madri che non lavoravano. Però l’ambiente intorno a me voleva farmi sentire in colpa. Ricordo ancora una mia amica che mi diceva che aveva sacrificato tutto per la famiglia mentre io, secondo lei, la trascuravo. Queste frasi sicuramente non aiutavano. Mio marito è stato prezioso perché mi ha sempre sostenuta. Io credo nella legge dei tre metalli secondo la quale una donna per riuscire nella vita ha bisogno di una salute di ferro, di nervi d’acciaio, perché siamo sempre sotto la lente di ingrandimento, e infine di un marito d’oro, che non è solo quello che condivide i compiti familiari, ma è soprattutto quello che ti dice brava, ti sostiene e, senza essere invidioso dei tuoi successi, non spegne i tuoi sogni e il tuo entusiasmo, ma ti incoraggia sempre ad andare avanti. Non ho mai accettato il ruolo di angelo del focolare che gli altri volevano impormi. Quando è nata Elvina, che per i primi due anni e mezzo non dormiva e io avevo calcoli molto importanti da fare per il mio lavoro, la società non mi ha aiutato, anzi era come se mi stesse chiedendo di scegliere tra il lavoro e mia figlia. Ma non ho mollato, sono riuscita fare entrambe le cose e a creare una famiglia bella numerosa. Oggi le cose sono sicuramente migliorate per le donne, che hanno opportunità maggiori nel lavoro, ma non siamo assolutamente arrivati alla parità di genere, non solo nel mondo del lavoro ma anche nella società in generale. Alle donne rimane ancora “appiccicato” il pregiudizio che debbano essere l’angelo del focolare, che va benissimo per quelle donne che vogliono esserlo purché sia una loro scelta libera e non un’imposizione esterna.

 

La copertina del volume scritto da Amalia Ercoli Finzi insieme alla figlia

 

Nel libro, dopo aver raccontato del suo compito di custodire la valigetta verde dei vostri averi in caso di emergenza durante la guerra, dice che da questo aveva imparato che, se avesse voluto ottenere qualcosa, avrebbe dovuto cavarsela da sola e non aspettare che qualcuno arrivasse a salvarla. Crede che questo insegnamento abbia avuto un ruolo importante nella determinazione sua e di sua figlia di affermarvi lavorativamente? Si sente di dare questo insegnamento alle ragazze di oggi a cui spesso vengono ancora inculcati dalla famiglia valori patriarcali come quello di aspettare il principe azzurro che venga a salvarle?

Mi diedero il compito di proteggere la valigetta verde perché sapevano che su di me potevano contare, che ero una bambina di buon senso e che ci si poteva fidare. Sicuramente questo mi ha insegnato l’importanza di contare su me stessa e credere sempre nelle mie capacità. È fondamentale che le ragazze imparino fin da piccole a credere in sé e nei propri sogni e che non venga loro mai inculcata l’idea che ci sia qualcosa che non possono fare perché non adatto a loro. Ho sempre detestato la storia di Cenerentola e trovato assurda la promessa di un principe che viene a salvarti, molto meglio salvarsi da sole.

Racconta anche che da piccola non le interessava andare dalla sarta per comprare nuovi abiti, anzi aveva le mani nere per il grasso della bicicletta che aveva smontato e di cui voleva capire il funzionamento. Le è capitato nella sua infanzia di sentirsi “diversa” o “sbagliata”?

Sì, mi è capitato molte volte di sentirmi un po’ “diversa” dalle mie compagne, sia perché mi rendevo conto che ero più veloce a capire alcune cose, sia perché avevo interessi che spesso si discostavano dai loro. Però “sbagliata” no. Semplicemente sentivo che mi piacevano altre cose rispetto a quelle che comunemente erano apprezzate e certo non facevo capricci per avere un vestito elegante.

È stata la prima donna a laurearsi in Ingegneria aeronautica nel 1961, con il massimo dei voti, al Politecnico di Milano. Cosa voleva dire essere una ragazza in una facoltà in cui a quell’epoca le donne iscritte erano 5 su 650? Ha qualche aneddoto da raccontarci?

Forse c’era qualche professore che non era entusiasta della presenza femminile ad Ingegneria, ma per fortuna gli studi universitari erano e sono meritocratici; quindi, non ho trovato ostacoli visto che i miei risultati erano ottimi tanto da essere riuscita a laurearmi in cinque anni, come avevo promesso ai miei genitori, con il massimo dei voti.

Aneddoti divertenti? Ricordo sempre questo: visto che noi donne eravamo “mosche bianche”, il primo anno ricevetti trentadue proposte di matrimonio! Poi, dopo che passai tutti gli esami con il massimo dei voti, al secondo anno si dileguarono tutti, probabilmente li avevo spaventati! Tutti tranne uno in realtà, perché il secondo anno di Università ho conosciuto il mio futuro marito con cui ho costruito un matrimonio molto collaudato, che dura da 63 anni.

Nel libro dice che è sempre una buona cosa se una donna riesce a farsi strada nel suo campo, specie se è molto maschile. Ricorda poi che in tanti hanno cercato di mettere i bastoni tra le ruote anche a lei. Ci può raccontare un episodio che le viene in mente a questo proposito?

Inizialmente ho lavorato nel settore degli aeroplani, poi grazie anche ad un po’ di fortuna sono passata nel settore aerospaziale. Un professore del Politecnico che teneva il corso di Meccanica aerospaziale era andato in pensione e, dovendo dare l’incarico ad un giovane, chiesero a me, che accettai. Certo all’inizio ero proprio sola, nonostante fossero anni di grande sviluppo spaziale, ma le presenze ingegneristiche femminili erano pochissime. Ricordo che nei convegni ero l’unica donna e che le presentazioni degli speaker iniziavano con lady (al singolare) and gentlemen. Spesso, soprattutto all’inizio, mi hanno scambiato per la segreteria e chiesto di portare il caffè, ma ben presto, quando si sono resi conto che ero molto competente e valeva la pena ascoltarmi, hanno imparato ad apprezzarmi e ho sentito meno la pressione maschile.

I tempi sono cambiati, molte donne oggi frequentano le università. Anche nelle facoltà scientifiche la componente femminile è forte. Eppure, alcune discriminazioni rimangono. Cosa pensa del gender gap nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) e soprattutto in ambito accademico e lavorativo? Dati alla mano, mentre le laureate di sesso femminile sono in numero superiore agli uomini, man mano che si sale verso le posizioni apicali la percentuale di donne in ruoli preminenti decresce vistosamente (lo vediamo ad esempio nelle donne rettrici in ambito accademico o tra i Ceo delle grandi aziende). Hanno senso in questa direzione le “quote rosa” o le trova inutili? È importante, secondo lei, che le donne entrino nelle posizioni di potere.

Il problema della presenza femminile parte dalla base: spesso dopo la laurea l’ambiente e le difficoltà scoraggiano le donne, soprattutto se già soffrono di una bassa autostima. Le donne nel mondo lavorativo sono sempre sotto esame, devono sempre dimostrare di essere in grado, lavorare molto di più e spesso con poche gratificazioni. Abbiamo ragazze nelle università molto brave e preparate, ma perché abbiano un ruolo sempre più di rilievo nella società è indispensabile renderle coscienti fin da bambine delle loro possibilità, devono sapere che, se vogliono, possono farcela in qualunque campo. Quindi le quote rosa possono essere un giusto espediente per la partenza, ma poi bisogna mantenere il numero di donne presenti e fare in modo che non mollino. Sono le quote azzurre che dovrebbero lasciare più spazio. È molto importante che le donne accedano a tutte le posizioni per portare il loro punto di vista, che è sicuramente diverso da quello maschile, offrendo riflessioni che il mondo maschile non prende in considerazione perché magari non ci pensa. Per esempio, ho fatto una piccola battaglia affinché alle ragazze del dottorato venisse riconosciuta la maternità. Non è stato in quel caso difficile ottenerla perché mi hanno detto che semplicemente non ci avevano pensato. Anche in prospettiva dell’intelligenza artificiale, che in questi ultimi anni sta subendo un’accelerazione velocissima, è importante che si abbiano dati statisticamente paritari altrimenti sarà fatta solo su algoritmi maschili consolidando pregiudizi maschilisti.

 

Amalia Ercoli Finzi durante una conferenza

 

Qual è stata la sua soddisfazione maggiore? Ha avuto più soddisfazione dall’insegnamento o dalle collaborazioni internazionali con ESA e NASA? Ha qualche rimpianto? Qualche aneddoto lavorativo da raccontarci?

L’insegnamento mi ha sicuramente dato moltissimo perché sono sempre stata animata da una grande passione e volevo insegnare ai miei studenti non sole le formule, ma anche una visione diversa del mondo. C’è un momento durante la lezione in cui il docente si accorge che gli studenti stanno capendo e sono in grado di accogliere quello che stai trasmettendo loro. Grazie ai miei studenti ho imparato molto, perché, grazie alle loro domande, mi hanno obbligato a riorganizzare il modo di insegnamento che avevo. Però ho vissuto le più grandi soddisfazioni e le imprese più belle con l’agenzia internazionale. Ricordo con grande affetto la stazione spaziale su cui ho lavorato tanto, ancor di più la missione Rosetta a cui ho partecipato fin dall’inizio del progetto. Nel 2014 dovevamo riuscire a far toccare al modulo di atterraggio di Rosetta il suolo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Nel momento in cui giunse al suolo, rimbalzò via, perché gli arpioni di cui era dotato non si attivarono e la forza di gravità sulla cometa era talmente bassa che non lo trattenne a terra. Se il modulo si fosse perso nell’infinito del cosmo si sarebbe vanificato il lavoro di anni. Per fortuna dopo due lente capriole a mezz’aria il modulo si appoggiò di nuovo sulla superficie della cometa rimanendo incastrato in una grotta e dopo poco iniziò a mandare i suoi segnali. Grazie a questa missione oggi sappiamo molto di più su come sono fatte le comete. Inoltre, questa missione ha dimostrato che l’Europa non è seconda a nessuno e che è stata in grado di effettuare un atterraggio morbido. Certo è stata la mia più grande soddisfazione, ma anche la missione che mi ha lasciato notti insonni per la preoccupazione che qualcosa andasse storto, è stata una grande sfida a 500 milioni di km di distanza dal Sole. E in questa missione è stato fondamentale il contributo delle donne, non solo mio (l’Italia ha partecipato con cinque strumenti fondamentali che erano in mano a donne).

Non ho grandi rimpianti, forse avrei potuto arrivare prima a certe posizioni di rilievo se non avessi avuto tanti impegni familiari. Tra l’altro, i primi quattro figli erano maschi e tutti molto vivaci; ricordo che spesso si facevano male e dovevo portarli al pronto soccorso dove ormai mi conoscevano e mi dicevano “Buongiorno signora Finizi, oggi è venuta a trovarci?”. Ormai ero di casa! La mia ultimogenita, unica figlia femmina, è nata qualche anno dopo, mi ha tenuta sveglia molte notti e ricordo ancora che mi chiamava alle due e mezzo di notte perché voleva giocare mentre io le dicevo di dormire che dovevo alzarmi presto per lavorare. È sicuramente stata dura, ma avere una figlia femmina è una cosa meravigliosa perché rappresenta per noi mamme quel filo rosso che lega tutte le cose. La maternità è importante, anche se una donna può benissimo essere madre senza avere figli, perché l’amore materno deriva dal trasporto e dalle capacità che hanno le donne di interessarsi agli altri. A pensarci ora devo dire che è stato tutto bellissimo e non cambierei nulla della mia vita.

Un ricordo doloroso è stata l’unica mia mancata occasione dal punto di vista lavorativo. C’è stato un periodo in cui le università italiane avevano creato una collaborazione con la Somalia e noi professori potevamo andare a fare un anno lì per insegnare. Io ho rifiutato perché avevo tutti i figli in età scolare; quindi, andare via avrebbe voluto dire sconvolgere le loro vite e la mia. Oggi, con il senno di poi, partirei con i miei figli e mi porterei qualcuno che si possa occupare di loro quando io sono al lavoro.

Quando ha iniziato a interessarsi allo spazio il mondo aerospaziale sembrava già promettere molto ma era del tutto inimmaginabile cosa poi sarebbe successo. Oggi è tutto diverso, sono stati raggiunti obiettivi che allora neanche erano pensabili come, ad esempio, l’impresa della Parker Solar Probe che si è recentemente avvicinata moltissimo al sole. Cosa l’ha sorpresa di più?

Nel 1957 nessuno poteva immaginare quali sarebbero stati gli sviluppi dell’attività spaziale e ora con la Space Economy lo spazio viene vissuto anche dai privati con investimenti che porteranno a progressi sempre più rapidi. Le scoperte che io attendo con più ansia sono quelle riguardanti la Luna e Marte. Quest’anno sicuramente avremo il giro intorno alla Luna, forse si atterrerà anche, e poi c’è in progetto la stazione spaziale lunare che ci consentirà di andare avanti e indietro dalla Luna. L’obiettivo più ambizioso a cui però tutto il mondo sta lavorando è l’uomo su Marte. La strada è ancora lunga, ma io dico sempre che la bambina che vedrà questa missione è già nata.

Mandare un equipaggio su Marte vuol dire fare una missione di due anni, perché implica arrivare su Marte e poi stare lì il tempo necessario affinché si ripresentino le condizioni corrette per il rientro. Poi ci sono da risolvere i problemi legati alle radiazioni a cui sarebbe sottoposto l’equipaggio, a come potrebbe vivere là tutto quel periodo e a come procurarsi il combustibile per tornare sulla Terra visto che si arriverebbe là con i serbatoi vuoti. Con le possibilità scientifiche e tecnologiche che abbiamo si potranno fare grandi cose, l’importante è che vengano fatte con buon senso e nell’interesse dell’umanità.

 

Amalia Ercoli Finzi in un momento informale, al termine di un incontro con gli alunni di una scuola secondaria, con la prof. Paola Pedone (che ringraziamo per la foto)

 

Si è dedicata e si dedica alla divulgazione (ad esempio ha un grandissimo successo nelle scuole, anche con bambini molto piccoli come quelli della primaria). Ritiene che oggi, in un mondo che cambia così velocemente, la divulgazione abbia un ruolo importante? Anche o forse soprattutto per le generazioni più giovani?

 La divulgazione secondo me ha un ruolo fondamentale perché è una testimonianza che ha un valore enorme per i giovani, mostra loro che qualcuno ci ha provato ed è riuscito. Io ci credo molto e vado ancora nelle scuole a parlare della mia storia come esempio del fatto che io ci sono riuscita ed ora è il momento che ci provino loro. Serve anche perché le ragazze siano consapevoli delle grandi opportunità offerte loro dalle cosiddette discipline STEM che non sono loro precluse, anzi nel futuro l’intuito e la passione femminile faranno la differenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

4 risposte

  1. Anche da questa biografia emergono grandi spunti di riflessione e stimoli utili ad aumentare l’autostima di ogni individuo, adulto o adolescente che sia.
    Ci insegna che è fondamentale
    avere fiducia nelle proprie capacità ed avere la consapevolezza che tutti possono fare ciò che desiderano .
    È nella pratica del fare che si concretizza l’autostima, spesso si tende a non fare per timore del giudizio, invece dice bene Amalia; “ogni battaglia del fare, vinta o persa ci insegna a guadagnare un po’ di fiducia in se stessi.
    Di grande esempio anche la capacità di procurarsi un po’ di serenità, durante il periodo della guerra, semplicemente ammirando le stelle, probabilmente oggi passeremmo il tempo a lamentarci.
    Infine, il tema relativo alla realizzazione professionale delle donne senza che esse si debbano sentire costantemente in colpa ; è purtroppo ancora molto attuale; troppo spesso, la società, i preconcetti e talvolta i pensieri bigotti, ci fanno sentire in difetto se non ci dedichiamo, in senso assoluto, alla famiglia .
    L’ assenza di timore nel dichiarare fermamente di non voler essere l’Angelo del focolare, dimostra la grande determinazione di questa donna , nel sostenere le proprie idee, indipendentemente dal giudizio di terzi.
    Grazie, Dott.ssa Gambarini per averci permesso di conoscere anche questa meravigliosa storia di vita .
    Lorena Picenni

  2. Grazie Dott.ssa Gambarini.
    Le sue domande, sempre ben poste e articolate, consentono di andare oltre la superficie, creando un dialogo aperto e sincero e la condivisione di pensieri ed emozioni comuni a tutte noi donne.

  3. Sono grata alla signora Finzi perchè i suoi racconti seguono il suo pensiero e non teorie. Le frasi dei genitori e dei conoscenti sono state da lei vagliate e giudicate e non l’hanno sopraffatta. Ha seguito il suo desiderio di lavoro e conoscenza che ha portato ricchezza intellettuale a lei, alla sua famiglia e a scoperte di valore universale.
    Magnifica la frase in cui riconosce che Cenerentola non stava bene in quanto a salute psichica. La seguo perchè mi aiuta a non farmi condizionare dalle frasi comuni che si sentono in casa, in piazza, nei mercati. Il pensiero che l’uomo ha da essere un partner che sostiene la sua donna perchè arrivi alla piena soddisfazione nel lavoro che ha scelto è quanto di meno banale esista. Se Adamo avesse ringraziato Eva per la mela invece di dire a Dio: “È stata lei!” rompendo così il rapporto con la donna, noi ora avremmo meno problemi con le relazioni.

  4. Sono felicissima di seguire questa donna grande e meravigliosa sia negli scritti che quando si presenta sui media.
    La sua grande professionalità e preparazione fa la differenza ma la cosa che più apprezzo in lei è il suo caldo sorriso disarmante che semplifica tutto in modo carismatico.

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