Interviste – Piera Levi-Montalcini: “Mia zia non aveva paura di cambiare il mondo”

Studiare la vita di Rita Levi-Montalcini è sempre stimolante da un punto di vista scientifico ma anche emotivo: oltre alle doti di acume e lungimiranza si scoprono quelle legate alla profondità d’animo della scienziata. Ne abbiamo affrontato la biografia su prismamagazine.it ma, per addentrarci ancora più in profondità nella vita della prima e unica donna italiana a vincere il premio Nobel, abbiamo intervistato la nipote Piera Levi-Montalcini, che, grazie all’Associazione Levi-Montalcini, aiuta i ragazzi a scegliere il proprio percorso formativo sostenendo quelli in difficoltà economica con borse di studio. Piera ci ha aperto le porte della sua memoria con un calore e una disponibilità per nulla scontate, soprattutto in un’epoca frenetica in cui sembra più facile scambiarsi anonimi monosillabi per messaggio che tenere una conversazione.
Piera Levi-Montalcini, laureatasi negli anni 70 in ingegneria elettronica al Politecnico di Torino, ha poi fondato, insieme ad alcuni collaboratori, l’azienda ADP Srl, che era attiva nel settore delle macchine utensili e della robotica. Dal 2002 Presidente dell’Associazione Levi-Montalcini, oggi è impegnata a sviluppare la Rete Levi-Montalcini, che lega tra loro enti e scuole intitolate a Rita Levi-Montalcini; come Presidente della neocostituita Levi-Montalcini Foundation cura gli archivi di famiglia.

 

Rita Levi-Montalcini (qui  in visita ad Ozzano dell’Emilia l’8 ottobre 1994)

 

Buongiorno Piera, anche lei, come Rita nel 1930, ha compiuto una scelta non semplice e anticonformista nell’iscriversi alla Facoltà di Ingegneria elettronica: ha trovato difficoltà in quanto donna a ingegneria o ostacoli da parte della sua famiglia per la sua scelta?

Nella famiglia di zia Rita era ancora ben saldo il concetto che il padre organizzasse la vita per tutti e nonno Adamo aveva deciso che le figlie dovevano iscriversi al liceo femminile, cosa che avrebbe loro precluso la possibilità di frequentare l’Università. L’ipotesi che io azzardo su questa decisione è che, avendo visto che le sue due sorelle laureate (cosa assolutamente non semplice e scontata a fine ottocento) non erano poi riuscite a utilizzare le loro lauree in quanto risucchiate dai doveri di madri e mogli, si fosse convinto dell’inutilità per una donna di frequentare l’università. Inoltre in una lettera che ho recentemente ritrovato negli archivi di famiglia, mi sembra che un secondo motivo per non volere che le figlie si iscrivessero all’università fosse quello che le ragazze potessero innamorarsi di un non appartenente alla comunità ebraica.
Nella mia famiglia, invece, si respirava già un’aria molto diversa: mia madre era laureata e mio padre Gino, fratello di Rita, non fece mai distinzioni tra cose da “maschi” e da “femmine”. Per me fu del tutto naturale scegliere la facoltà che più mi attraeva senza pensare se fosse o non fosse adatta a una ragazza. Mio padre avrebbe preferito che mi iscrivessi ad architettura seguendo le sue orme, ma ho sempre pensato di non avere la fantasia compositiva degli architetti, mentre prediligevo la meccanica che non richiede doti artistiche e ingegneria mi sembrava più consona a questa mia attitudine. Non ho sicuramente scelto la facoltà con l’intento di compiere un atto rivoluzionario!
Non ricordo nemmeno difficoltà o discriminazione durante il percorso universitario, anzi… rammento per esempio che il giorno dell’iscrizione mi fecero saltare la lunga fila degli immatricolandi proprio grazie al fatto di essere donna. In tutta la facoltà, su circa duemila iscritti, eravamo sei o sette ragazze e non avevamo né bagni né spogliatoi: nella nuova sede di ingegneria inaugurata nel 1958 non era stata prevista la presenza di studentesse!

I tempi sono cambiati, molte donne oggi frequentano le università. Anche nelle facoltà scientifiche la presenza femminile è ormai forte. Eppure alcune discriminazioni rimangono. Cosa pensa del gender gap nelle discipline Stem e soprattutto in ambito accademico e lavorativo? Dati alla mano, mentre le laureate di sesso femminile sono in numero superiore agli uomini, man mano che si sale verso le posizioni apicali la percentuale di donne in ruoli preminenti decresce vistosamente (lo vediamo ad esempio nelle donne rettrici in ambito accademico o tra i Ceo delle grandi aziende). Hanno senso in questa direzione le “quote rosa” o le trova inutili?

Secondo me dipende dagli ambiti lavorativi. Quando ero Consigliere Comunale a Torino avevo proposto di fare due liste diverse, una per gli uomini e una per le donne, dopodiché metà posti sarebbero stati assegnati a uomini e metà a donne, in base al numero di preferenze ottenute nella propria lista. Qualche mio collega diceva che era anticostituzionale, ma nello sport è così e nessuno si meraviglia. Come nello sport si valuta la forza fisica, in politica bisogna tenere presente che anche qui le donne sono meno ‘forti’: gestiscono meno soldi per le campagne elettorali e sono oberate da incombenze familiari. In altri ambiti lavorativi il problema è più complesso da risolvere, anche semplicemente per quanto riguarda gli aspetti pratici come la regolamentazione dell’orario di lavoro. Infatti, mentre all’estero la giornata lavorativa termina per tutti intorno alle 16, così che anche gli uomini possano dedicarsi agli impegni familiari, in Italia questo non avviene in quanto non esiste il concetto del tempo da dedicare al lavoro e quello da dedicare alla famiglia: in un Paese ancora in parte maschilista passa l’idea che siano gli uomini a dover lavorare, mentre le donne si devono occupare della famiglia. Queste idee legate strettamente a una visione patriarcale sono ancora molto più radicate di quanto non si pensi e spesso vengono adottati metodi subdoli per mantenere il potere nelle mani degli uomini, come quello di indire le riunioni più importanti in orari serali così da mettere in difficoltà le colleghe donne. Quando vado nelle scuole insisto molto sul fatto che sia necessario educare le ragazze alla consapevolezza di sé e a non sentirsi obbligate a farsi carico di tutto, anche di cose che non necessariamente devono competere solo a loro, come la gestione della casa e della famiglia.

 

Foto inedita tratta dall’annuario scolastico 1935/36 dei laureandi in medicina e chirurgia dell’università di Torino, tra cui spicca Rita Levi-Montalcini (cortesia di Francesco Dolci)

 

Nel suo libro scrive che “il liceo femminile, istituito con una riforma nel 1923, era, a suo modo, “innovativo”. Era un liceo che permetteva alle ragazze, in attesa di trovare marito, di proseguire il percorso scolastico. E quello che decideva papà Adamo non si discuteva”. Crede che ancora oggi le ragazze siano spinte, più o meno consciamente, dalle aspettative della famiglia nelle loro scelte universitarie? Per questo ancora oggi la maggioranza delle ragazze si iscrive a facoltà umanistiche anziché scientifiche?

Sicuramente sì. In realtà non solo le ragazze, ma anche i ragazzi sono influenzati pesantemente dalle famiglie nelle loro scelte universitarie. La nostra Associazione si occupa di orientamento per ragazzi e, parlando separatamente con gli studenti, ci capita spesso che emergano aspirazioni che non osano dire in presenza dei genitori. A esempio, nella FIRST LEGO League, gara in cui sono giudice, molte volte arrivano team solo maschili e quando chiedo perché non ci siano ragazze i docenti dicono che i genitori reputano la robotica non adatta per le figlie; è ancora molto radicato nelle famiglie il concetto che ci siano attività più adatte all’uno o all’altro sesso. D’altre parte, finché avremo spot pubblicitari in cui la bambina aiuta la mamma a fare le pulizie e il bambino va a giocare a pallone col papà, è chiaro che continueremo a produrre stereotipi che non ci faranno evolvere e che alimenteranno nelle bambine il concetto che sia giusto così.

“Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente. Non temete le difficoltà, io ne ho passate molte, e le ho attraversate senza paura.” Con questa frase inizia il suo libro “Un sogno al microscopio. Il viaggio verso il Nobel di Rita Levi-Montalcini”. Che rapporto aveva Rita Levi-Montalcini con i giovani e quale pensa sia stata la difficoltà più grande che ha dovuto affrontare?

Credo che una delle più grandi difficoltà che mia zia abbia dovuto affrontare sia stato il periodo della guerra, in particolare dopo la promulgazione delle leggi razziali quando dovevano scappare con la paura di essere uccisi da un momento all’altro. Spesso chiedevo ai membri della mia famiglia come avessero fatto a sopravvivere a quel periodo così drammatico: mi rispondevano che è inutile amareggiarsi per timore di un futuro che non ti è dato sapere. Dai miei ho imparato, e lo dico spesso nelle mie conferenze, che è inutile illudersi di essere noi a indirizzare la nostra vita perché in realtà è la vita a guidarci. Come dice zia Rita nel suo libro “Elogio dell’imperfezione”, noi scegliamo la soluzione che al momento ci pare migliore, ma quello che abbiamo programmato non è detto che si avveri, anzi nella maggior parte dei casi le cose andranno diversamente perché l’imprevisto sarà molto probabile. È importante non aver paura di scegliere velocemente una strada alternativa a cui magari non avevamo pensato fino a quel momento, ma che può poi “portare il meglio”. Ogni scelta è un momento di dubbio e di incertezza, basta esserne consapevoli e affrontare la sfida con determinazione.
Rita Levi-Montalcini amava dialogare con i giovani perché sapeva che erano un terreno fertile e che sapevano ascoltare. Non si approcciava a loro con verità assolute o mostrando quello che aveva vissuto lei, ma voleva che si interessassero a quello che c’era stato prima di loro e che riflettessero su certi input che gli offriva. In questo modo sapeva di aver messo in loro un seme, un’idea, che magari un giorno avrebbe potuto essergli utile.

Lei stessa si è dedicata alla divulgazione, e non solo del lavoro di Rita. Ritiene che oggi, in un mondo che cambia così velocemente, la divulgazione abbia un ruolo fondamentale? Anche o forse soprattutto per le generazioni più giovani.

La divulgazione è fondamentale, ma anche semplicemente raccontare ai giovani come si viveva e cosa c’era prima che loro nascessero, serve a stimolarli a chiedersi da dove nascono le idee e trasmettere il desiderio di osservare il mondo. I ragazzi devono imparare che è importante guardarsi intorno, essere curiosi, farsi molte domande e non dar niente per scontato. L’intento del mio libro è proprio quello di raccontare ai ragazzi, quasi come in una favola, che una signora nata nel 1909, cioè più di cent’anni fa, e che poi sarebbe arrivata al Premio Nobel, in realtà aveva una vita da ragazzina uguale alla loro, giocava come loro, anche se con giochi diversi, e si divertiva come loro. Affrontava problemi e gioie simili: l’animo umano cambia molto lentamente, guardare al passato significa aiutare a immaginare il futuro. Se qualcosa è stato fatto, dietro c’è sempre un ragionamento per risolvere un problema con le tecnologie al momento disponibili e non è affatto detto che queste siano obbligatoriamente migliori di quelle attuali, anzi nel passato ci si doveva industriare molto di più e si doveva essere molto più inventivi, oggi abbiamo a disposizione tecnologie molto più potenti ma che tendono a ‘massificare’. La divulgazione scientifica, quindi, può essere un ottimo strumento per aiutare i ragazzi a mantenere attivo uno spirito critico di fronte a una tecnologia in rapida evoluzione, per non divenirne schiavi.

 

Piera Levi-Montalcini con il il suo libro Un sogno al microscopio. Il viaggio verso il Nobel di Rita Levi-Montalcini

 

Un insegnamento che Rita avrebbe voluto lasciar loro potrebbe essere riassunto in una frase che le ho sentito dire durante un’intervista con Enzo Biagi: “Quanto ho raggiunto, al di là di ogni speranza, è stato grazie all’intuito e all’andare contro corrente”. È d’accordo con sua zia? Bisogna credere nei propri obiettivi e nelle proprie intuizioni?

Sì, un insegnamento è sicuramente questo, senza fare i rivoluzionari, ma portando avanti le proprie convinzioni per crescere e per credere in sé stessi.

Nel suo libro parla anche del rapporto di Rita Levi-Montalcini con la scuola e i voti: “La scuola era importante ma non era mica una secchiona la zia… e, alle medie, zia Rita ha preso un cinque in scienze.” Per lei, già da allora, contavano di più il metodo e il ragionamento. E, naturalmente, anche il divertimento. Da adulta ripeté in molte occasioni che la scuola deve formare la mente e non soltanto riempirla di nozioni. Cosa pensa della scuola di oggi così legata alla prestazione e poco al curare i talenti di ciascun ragazzo?

La prima cosa che mi viene in mente di sbagliato nella scuola di oggi è pretendere che ragazzini di tredici anni sappiano cosa vorranno fare da grandi. Anche perché quando arriveranno nel mondo del lavoro le cose saranno completamente cambiate. L’importante è quindi che abbiano una forma mentis, non che siano troppo settoriali e già specializzati. Mio padre, per esempio, mi diceva che non importava quale indirizzo avrei scelto al Politecnico, la cosa che contava era imparare a ragionare da ingegnere. Trovo aberrante il fatto che siamo arrivati a confondere la cultura con il nozionismo, sapere a memoria tutte le date, ma poi non saper ragionare e non essere attenti e critici su quello che ci circonda è un grosso problema. In una conferenza al Ministero Umberto Eco diceva che non dobbiamo riempire la testa dei ragazzi di numeri e di nozioni troppo specialistiche, ma dobbiamo fornire loro informazioni basilari per orientarsi nel tempo per dare loro la capacità di ragionare su quanto li circonda. Zia Rita sosteneva che ciò che conta è che la scuola insegni ai ragazzi a guardare, a osservare, a farsi domande, a discutere e a valutare piuttosto che imparare le lezioni a memoria. Cultura vuol dire leggere tanto per riuscire a ragionare tanto. In quanto a memoria, lei ne aveva tantissima e fino agli ultimi giorni la esercitava recitandosi poesie imparate da ragazza: da medico sapeva che dobbiamo tenerci allenati in tutto!

Nel suo libro descrive a fondo anche l’impegno di sua zia verso gli altri e nel sociale, a esempio quando si batté per la scolarizzazione delle donne africane: “Non ero nata per fare la scienziata, ma per andare in Africa ad aiutare chi ha bisogno e nell’ultima tappa della mia vita esaudisco questo desiderio”. Studiando la vita di Rita Levi-Montalcini, in effetti, mi sono molto emozionata anche per la sua potenza emotiva e personale e mi hanno colpito questi tre insegnamenti: l’importanza dell’imperfezione dell’essere umano che può sempre migliorarsi, la dedizione totale al proprio lavoro senza desiderare a tutti i costi il successo, e che ogni persona è unica e deve ricercare e perseguire le proprie ambizioni.

Mia zia era una persona estremamente disponibile, non negava mai un aiuto a chiunque le chiedesse consiglio. La sua speranza più grande era che le donne possano cambiare il mondo. In particolare auspicava che, fornendo una cultura paritaria a tutte le donne e togliendole dalla convinzione che debbano solo fare figli e badare alla casa, si possa arrivare a una gestione del mondo diversa. A supporto di questo auspicio, zia Rita era solita citare un detto: “Quando educhi un uomo istruisci un uomo. Quando educhi una donna istruisci una generazione”.
Sicuramente, se ci guardiamo intorno, siamo ancora lontani dalla meta. L’intelligenza femminile è stata a lungo, e in parte ancora lo è, disconosciuta e poco valorizzata dai maschi che spesso addirittura se ne sono appropriati senza riconoscere il merito alle colleghe donne.
Indipendentemente dall’essere maschilisti o meno, gli uomini sono abituati a essere competitivi e hanno un’aggressività che per lo più non appartiene, per ragioni ataviche, al mondo femminile. Per fortuna vedo che le ragazze di oggi sono molto più combattive, sicuramente di me, ma anche probabilmente delle mie figlie, quindi nutro la speranza che nel giro di poche generazioni le donne, senza allontanarsi dal loro modo di pensare e di sentire, sapranno ottenere ciò che spetta loro.

Se e in cosa Lei ritiene di aver portato avanti l’eredità di sua zia? Ci può raccontare brevemente l’attività della sua fondazione? https://www.levimontalcinifoundation.org

Io mi sono prefissata un obiettivo ancora più arduo: andare oltre Rita Levi-Montalcini. Bisogna ricordare che mio padre Gino è stato un grande architetto, le cui opere sono riportate nei libri di storia dell’architettura e ancora oggi molto apprezzate, scultore e caricaturista e che zia Paola, gemella di zia Rita, è stata una eclettica pittrice allieva di Felice Casorati sperimentatrice delle più diverse forme pittoriche e scultoree, che ha esposto in varie personali e collettive non solo in Italia, presente con le sue opere in numerosi musei. Prima ancora che zia Rita iniziasse l’università, sia mio padre che zia Paola erano già sotto le luci della ribalta e venivano apprezzati non solo per le loro capacità, ma anche per il loro spirito innovativo. Quindi la mia idea è che la memoria e gli archivi dei tre fratelli non vadano divisi perché ognuno di loro ha contribuito, con un continuo scambio di saperi, a sviluppare le capacità degli altri. Se zia Rita è riuscita a raggiungere i suoi obiettivi è stato anche grazie al fatto di avere una sorella artista e un fratello sospeso tra artista e tecnico. Zia Rita non era l’unico genio della famiglia, erano tutti e tre eccezionali, veri intrepidi pionieri che hanno segnato il secolo scorso. Se è vero che il Premio Nobel ha reso zia Rita più famosa dei suoi fratelli, è anche vero che lei non sarebbe stata quella che è diventata senza di loro. Per questo non parlo mai soltanto di zia Rita, ma parlo sempre di come arte e scienza si siano contaminate in una famiglia assetata di sapere e di scoprire. Sono molto fiera di essere riuscita a far intitolare a Torino una piazza a Levi-Montalcini Paola, Gino e Rita.

Rita Levi Montalcini con la sorella Paola

 

In cosa consiste e quanto è complessa la gestione degli archivi di Rita. Saranno uno scrigno di tesori per chi ama la scienza.

La mia attività consiste soprattutto nel girare cercando fondi per mantenere attivi gli archivi e renderli fruibili, per fortuna anche mia figlia sta iniziando ad aiutarmi. Il sogno è di riuscire a creare un luogo (anche per questo è nata la Levi-Montalcini Foundation) atto a far convergere e a collegare gli sviluppi delle nuove ricerche e delle nuove tecnologie. Rivolta ai ragazzi vuole incuriosirli e incentivarli a ‘essere pionieri’.

 

Piera con la zia Rita ai festeggiamenti per i 100 anni della scienziata a Torino

 

Ci racconti un ultimo aneddoto…

Nei nostri viaggi insieme, quando le portavo le valigie, si rammaricava dicendo che disabituandosi, non sarebbe più stata capace di muoversi da sola. Fino alla fine mantenere la propria indipendenza è stato per lei fondamentale e sicuramente di insegnamento non solo per le donne.

 

7 risposte

  1. Un intervista molto interessante. Grazie per aver condiviso il racconto di vita di una grandissima donna!

  2. Ringrazio le dottoresse Piera Levi-Montalcini e Silvia Gambarini che con questa coinvolgente intervista testimoniano le straordinarie imprese scientifiche ed umane e l’impegno sociale di una donna che è stata capace di ispirare le future generazioni.

  3. Anche questo articolo colmo d’insegnamenti meritevoli d’essere divulgati, io lo farò certamente con i miei figli.
    Noi scegliamo la soluzione che ci pare migliore, ma quello che abbiamo programmato non è detto che si avveri, anzi l’imprevisto sarà molto probabile.
    Non aver timore di scegliere una strada alternativa, senza paura e con determinazione.
    Ecco, credo che questo insegnamento sia un grande messaggio di speranza per i nostri ragazzi ma anche per noi adulti, è importante avere la consapevolezza che le difficoltà fanno parte della vita, ma allo stesso tempo avere la convinzione che ogni ostacolo può essere superato .
    Rinnovo il mio apprezzamento per gli articoli della dott.ssa Gambarini .

  4. Intervista molto bella, articolata bene, interessante e piena di spunti, curiosità e saggezza. Importante condividere per far conoscere questa personalità così ricca, vero esempio di valore umano anche al femminile che, soprattutto in questo momento storico, può essere d’esempio e insegnare tanto!

  5. Intervista molto interessante che conferma e rivede elementi distintivi della dott.ssa Montalcini, da differenti punti di vista e con un taglio molto più personale, che conferma la grandezza di una famiglia intera, di cui come italiani dobbiamo andare orgogliosi.
    Un grazie anche a Prisma e alla dott.ssa Gambarini che riescono a regalarci queste opportunità di lettura.

  6. Bellissimo articolo!
    L’ho girato anche ai miei studenti sperando sia per loro uno stimolo per migliorarsi e non temere le difficoltà, che fanno parte della vita.
    Concordo su tutto su ciò che la scuola dovrebbe insegnare e aggiungo che dovrebbe trasmettere passione per lo studio delle scienze. Passione che si respira in tutta vita della dott. Montalcini

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