Intervista con il vampiro

Io: e quin… e quindi lei sarebbe… un vampiro? È giusto?

Arnold: ebbene sì, è così che sono passato alla storia. Anzi, per la precisione, sarei il vampiro più famoso del Settecento. Non lo dico per vantarmi, ma sono gli storici a scriverlo.

Io: bene, prendo nota, signor conte.

Arnold: ma che conte? Quello è Dracula, il rumeno. Non siamo neanche dello stesso Paese. Io mi chiamo Arnold Paole e sono serbo. O, almeno, vivevo in Serbia. Dalla quale, nel 1732, si diffuse la notizia che i morti si stessero risvegliando nei territori dell’Europa centro-orientale. E che avessero intenzione di far la guerra ai vivi. Ma queste cose non le studiate a scuola?

Io: sì… cioè no. Qualche guerra sì, ma non quella contro i vampiri. Se non altro, non nei libri di storia. In tv però sì: ho guardato tutte le stagioni di True Blood. E poi c’è sempre Dracula: non sarete compaesani, ma chissà quante volte sarete andati in giro insieme ad affondare i canini nel collo di qualcuno!

Arnold: bah, per quello che ne so io, quello non ha mai succhiato una sola goccia di sangue. Almeno se lei si riferisce a Vlad III l’Impalatore, detto Dracula. Che era un tiranno, niente di più. Vissuto inoltre nel Medioevo. Quindi, ai miei tempi, già abbondantemente dimenticato. E tale sarebbe rimasto se, a fine Ottocento, Bram Stoker non avesse deciso di scriverci un romanzo. Un’opera di fantasia. Ma come chiamare il protagonista? Quell’estate era piovosa nella piccola cittadina di Whitby, dove lo scrittore aveva deciso di trascorrere le vacanze. E, non potendo neanche farsi una bella passeggiata in spiaggia, si rintanò in biblioteca e lesse in un libro la parola Dracula, che in lingua valacca significa Diavolo. I Valacchi danno questo soprannome a tutte le persone che si distinguono per coraggio, azioni crudeli o abilità. Fu così che Bram scelse per il suo protagonista il nome di Dracula decidendo anche di ambientare tutto in Transilvania. Così io venni fatto fuori. Da un giorno all’altro.

Io: mi spiace, non lo sapevo. Quindi è allora che le hanno portato via il titolo nobiliare?

Arnold: ancora? Non sono né conte, né principe, né niente. Sono, anzi sono stato, un semplice soldato. Avevo una moglie che, quando si è diffusa la voce del mio presunto vampirismo, è dovuta scappare in un altro villaggio. E la capisco pure. Lei ha una vaga idea di che cosa possa significare essere additata dai compaesani come la moglie del vampiro? Significa camminare per strada a testa bassa ed essere comunque insultata. Essere esclusa da tutto. Non potersi comprare neanche un tozzo di pane. E questo perché, con buona pace della fantasia di Bram Stoker, nella realtà se sei conte, nessuno può crederti davvero vampiro. Con le buone o con le cattive, le famiglie ricche riescono a mettere a tacere tutte le voci che circolano sui loro membri. Se, invece, sei un poveraccio come lo ero io, da vivo ti sfruttano e ti insultano e, da morto, se la prendono con la tua famiglia.

Io: quindi la gente come voi ai margini della società, dopo la morte si risvegliava e, per vendetta, andava a succhiare il sangue ai viventi. Giusto?

Arnold: carissimo, lei ha visto troppe serie tv. Noi non facevamo niente. La realtà può essere terribilmente più banale: ci limitavamo a morire. Capita, no?

Io: e poi?

Arnold: e poi, tutto succedeva per caso. Dopo la nostra morte poteva scoppiare un’epidemia. O poteva verificarsi una carestia. O qualunque altro episodio spiacevole. Il fatto è che i compaesani disperati non credevano al caso. Pensavano: “Se ci sta succedendo qualcosa di brutto è perché c’è un colpevole dietro tutto questo”. Ed è allora che si inventavano la storia dei vampiri. Immaginavano che noi, di notte, andassimo a sopprimere uomini e donne. Ma capisce che noi vampiri siamo esistiti solo per via di una diceria? Un po’ come le streghe: semplicemente perché voi avevate bisogno di roghi su cui bruciare le vostre paure.

Io: perché a un certo punto non si è più parlato di voi, tanto che siete entrati nel mito e Bram Stocker ha potuto scrivere Dracula?

Arnold: perché siamo diventati fuorilegge.

Io: dei banditi?

Arnold: no, all’epoca c’era Maria Teresa d’Austria. E i fenomeni vampirici, con tutto il disordine sociale che comportavano, continuavano a registrarsi proprio nei territori orientali della sua monarchia. Austriaci e prussiani, si sa, sono sempre stati in competizione gli uni con gli altri per il dominio sull’Europa centro-orientale. I primi cattolici, i secondi luterani. Nemici-amici giurati, per così dire. E i prussiani, per mostrare la propria superiorità, intrapresero una campagna stampa contro Maria Teresa e la sua presunta incapacità di mantenere l’ordine nei territori della corona. Dicevano: “Soltanto nei Paesi cattolici governati da una sovrana debole la gente può credere a queste dicerie”.

Io: e Maria Teresa che fece?

Arnold: studiò, per capire se quei fenomeni potessero essere veri oppure no. E, avuta certezza della loro illusorietà, ci combatté.

Io: con un paletto di frassino?

Arnold: ma no, con la legge. Nel 1755 emanò un rescritto con cui chiudeva nel suo regno non solo la caccia ai vampiri, ma anche quella alle streghe. In soldoni, diceva: “Io non ho l’autorità religiosa per dire se questi fenomeni sono reali o frutto di fantasia; ci penseranno i teologi. Ma piuttosto che far gestire la cosa dal clero locale, da ora in poi portatemi i documenti a Vienna. E io deciderò, di caso in caso, se si può parlare di vampiri e streghe”. Maria Teresa fece sì che la ragione si imponesse sulla superstizione.

Io: quindi?

Arnold: ormai eravamo spacciati. Tutto si chiuse lì. Nessuno di noi ebbe il coraggio di andare a Vienna e di turbare le notti della fiera sovrana che ci aveva cancellati per legge.

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