Conquiste matematiche: i numeri negativi

I numeri negativi hanno avuto una storia travagliata. Il fatto che oggi siano riconosciuti e accettati come quantità, con un significato definito e un’aritmetica chiara e ben definita, costituisce il raggiungimento di un vero e proprio traguardo. Oggi li utilizziamo per indicare, ad esempio, una temperatura sotto lo zero oppure una perdita in borsa senza che sembrino strumenti ambigui o privi di significato. Eppure, sono stati necessari secoli affinché raggiungessero lo status di “numeri veri”. Per lunghissimo tempo, questi numeri sono stati guardati con diffidenza dagli stessi matematici. La loro storia inizia nell’antica Cina intorno al 1.000 a.C. quando le primissime idee sulle quantità negative emersero dalla contabilità commerciale e dove un valore negativo era il debito o la mancanza di denaro a seguito di una spesa. Per l’aritmetica commerciale, gli antichi cinesi usavano bacchette di bambù collocate su una grande tavola e distinguevano le quantità positive da quelle negative usando bacchette di colore diverso. Intorno al 200 a.C. tutte le conoscenze matematiche dei cinesi vennero raccolte in un’opera intitolata Jiuzhang suanshu (Nove capitoli dell’arte matematica): una raccolta di 246 problemi pratici con le relative soluzioni, tra cui quesiti riguardanti profitti e perdite nei quali era ammesso l’uso di quantità negative. I concetti matematici presenti in quest’opera sono sorprendenti, a partire dalla formulazione del teorema di Pitagora e dalla risoluzione di equazioni e fino ad arrivare all’uso dell’idea di proporzionalità diretta e inversa e di ripartizione composta, concetti che in Europa non furono formulati prima del XVI secolo. Dalla Cina i numeri negativi sbarcarono in Europa ma furono mal tollerati dai greci, abituati a una matematica completamente funzionale alla geometria, per cui numeri e operazioni avevano un significato solo se avevano un senso geometrico. Dato che era possibile considerare lunghezze non positive, per i greci i numeri negativi non avevano senso. All’epoca di Diofanto, attorno al 250 d.C., per risolvere i problemi si usavano già le equazioni lineari e quadratiche, ovvero le equazioni di primo e secondo grado. Ogni quantità incognita, però, doveva comunque avere una rappresentazione geometrica mediante una lunghezza. Un primo importante apporto all’aritmetica dei numeri negativi venne dall’indiano Brahmagupta (ca. 598-668 d.C.) che, al pari dei cinesi, vedeva questi numeri in termini finanziari. Ciò non gli impedì di definire la loro aritmetica, ossia di definire il loro comportamento rispetto alle quattro operazioni. Nonostante chiamasse le quantità positive “fortune” e le quantità negative “debiti”, Brahmagupta arrivò a formulare la regola dei segni ovvero la regola di determinazione del segno di un prodotto a partire dal segno dei fattori in una moltiplicazione. Si tratta di una formulazione un po’ strana perché concettualmente non ha senso calcolare il prodotto di pile di monete (le “fortune”) e, soprattutto, non ha senso moltiplicare i debiti tra loro. Il processo di Brahmagupta è un calcolo puramente astratto che considera le quantità dei numeri a tutti gli effetti, anche se nella sua trattazione non riesce ad esimersi dal dare loro un significato concreto. L’opera di Brahamagupta è un trattato di matematica molto articolato che contiene risultati impressionanti non solo di aritmetica, ma anche di algebra e geometria. Data la sua importanza, arrivò anche nelle mani dei matematici arabi ma non venne accolta integralmente. Davanti a questa nuova aritmetica fatta di “debiti” e “fortune”, il persiano Al Khwarizmi, considerato il padre dell’algebra, non riuscì ad accettare le quantità negative, tantomeno a pensarle come numeri, perché riteneva fossero prive di significato. Al Khwarizmi era ancora fortemente legato a metodi geometrici per la risoluzione di equazioni lineari e quadratiche, metodi che non potevano accettare l’idea di quantità non positive. Pertanto non inserì i numeri negativi nel suo trattato di algebra ostacolandone, di fatto, la diffusione in Europa e fomentando una certa diffidenza nei loro confronti che si sarebbe protratta per tutto il Medioevo. La prima vera svolta, al netto di qualche esempio pregresso presente nel Liber Abaci di Fibonacci (XIII secolo), si ebbe solo nel 1545 con l’opera Ars magna del matematico italiano Gerolamo Cardano nella quale viene spiegato come risolvere le equazioni lineari, quadratiche e cubiche senza escludere quelle aventi soluzioni negative. Prima di allora, non è che non esistessero equazioni con risultati negativi o algoritmi che richiedessero valori negativi nel loro svolgimento, ma questi casi venivano scartati perché considerati impossibili. Nell’opera di Cardano vengono trattati casi generali, senza introdurre limitazioni per avere quantità esclusivamente positive. Viene addirittura introdotto, prima del valore del numero, un simbolo per distinguere i valori negativi da quelli positivi: una “m” minuscola, abbreviazione della parola latina minus. Eppure, anche Cardano, pur usandoli, continuava a definirli numeri fittizi, non riuscendo ad accettare completamente la loro natura di numeri veri e propri. Il matematico italiano Raffaele Bombelli nel XVI secolo e il francese Réné Descartes all’inizio del XVII si comportarono allo stesso modo: i numeri negativi erano presenti all’interno dei loro calcoli e come soluzioni delle equazioni ma li chiamavano “numeri absurdi” il primo e “false radici” il secondo. L’intuizione che finalmente diede la dignità di numeri alle quantità negative fu opera del matematico inglese John Wallis che alla fine del XVII secolo prolungò la retta dei numeri reali al di là dello zero. Un’intuizione apparentemente semplice che permise di considerare i numeri negativi come punti su una retta, al pari dei numeri positivi. C’era voluto del tempo, ma alla fine del XIX secolo i numeri negativi avevano finalmente una definizione formale nell’ambito della matematica, slegata dal loro significato pratico. L’epilogo di questa storia, fatta anche di diffidenza e discriminazione, vede i numeri negativi avere il loro definitivo riscatto quando l’insieme dei numeri interi, positivi e negativi, riceve come simbolo la lettera Z, iniziale della parola tedesca Zahl che significa proprio «numero».

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