L’annullamento del gender gap nei ruoli apicali permetterebbe il superamento del modello patriarcale tradizionale in direzione di un paradigma più inclusivo e non verticistico, ideale per le sfide che il futuro ci prospetta
Spesso non è facile accettarlo, eppure “siamo tutti (sì, anche le donne e i ragazzi più o meno fluidi della GenZ) molto più maschilisti e conservatori di quanto siamo disposti ad ammettere”, o almeno è quanto risulta evidente da studi e statistiche in tutto il mondo. Solo per citarne uno, dall’Indice di Reykjavík, che valuta gli atteggiamenti nei confronti della leadership femminile nei Paesi del G7, emerge che negli ultimi cinque anni la propensione dei cittadini delle democrazie più avanzate a vedere una donna al vertice non è aumentata, nonostante gli shock del #MeToo e del Covid che si sperava producessero un cambio di rotta. Le radici delle discriminazioni nei confronti del genere femminile sono antiche e complesse ma secondo Emanuela Grigliè e Guido Romeo – già autori nel 2021 dell’illuminante Per soli uomini. Il maschilismo dei dati, dalla ricerca scientifica al design, con cui denunciavano un mondo ancora “a taglia unica”, disegnato cioè per un maschio ideale – oggi sono intrinsecamente legate al potere. Non è dunque un caso se “considerando tutto il mondo, dalla fine degli anni Sessanta a oggi le donne premier o presidente sono state solo 80. La situazione sta migliorando se consideriamo che, al 1° gennaio 2023, erano 31 i Paesi guidati da una donna (escludendo le monarchie). Tuttavia, appena il 26,5% dei parlamentari eletti nel mondo è donna e solo 6 nazioni raggiungono il 50%. Un miglioramento rispetto all’11% del 1995, ma l’ufficio statistico delle Nazioni Unite ha calcolato che, continuando al ritmo attuale, la parità di genere ai vertici del potere non arriverà prima del 2153”. E, ahinoi, la situazione è ancora più difficile di quanto i nudi numeri mostrino: spesso le donne che giungono al potere – sia in politica che in azienda – ce la fanno perché “si comportano da uomini”, perpetuano un modello patriarcale declinato al femminile che non porta significative innovazioni. “Tutto ciò contribuisce a spiegare perché non è affatto un paradosso che le donne che arrivano a governare una nazione vengano soprattutto da partiti conservatori o di destra (Margaret Thatcher, per fare un nome che tutti conoscono, o Meloni da noi). Sono donne che non intaccano la costruzione patriarcale e quindi sono avvertite come meno pericolose, portatrici di un cambiamento non troppo radicale”. “La preferenza verso un certo tipo di leader è nei fatti un problema sociologico e culturale a più dimensioni, strettamente connesso al fatto che, indipendentemente dal nostro genere di appartenenza, tendiamo ad associare la capacità di comando alla forza. Sopravvive così un modello di potere che è quello della maschiocrazia: l’uomo solo che guida e che produce leader fotocopia di sé stesso”. Eppure non è quello di cui abbiamo bisogno per un futuro diverso, innumerevoli esperienze di successo lo dimostrano: serve “un’evoluzione del paradigma di potere che si allontani da quello incentrato sull’uomo forte, a favore di uno più distribuito, imperniato su inclusività e abilitazione delle competenze. Il modello di leadership “maschiocentrico” non sembra infatti efficace per affrontare le sfide più complesse del nostro tempo, dalla transizione energetica alle nuove tecnologie dell’automazione che stravolgono il lavoro e i rapporti sociali, […] un punto di riferimento meno rigido e non verticistico, ma diffuso, in grado di unire più forze e avere maggiore attenzione a tutte le diversità che attraversano la società, dal genere all’etnia e all’età. Per affrontare sfide complesse si deve evolvere tutti, donne e uomini, e bisogna farlo attraverso un dialogo informato dai dati più che dalle ideologie e dalle mode del momento”.
Emanuela Grigliè e Guido Romeo
Maschiocrazia
Codice (2024)
pp. 160, € 15,00