Ladri di stelle

La prima volta che vedi quel trenino di luci nel cielo non puoi fare a meno di sfregarti gli occhi dalla meraviglia. Un po’ come accadeva alle persone che due secoli fa osservavano stupite gli sbuffi della locomotiva a vapore. Così, passi i primi secondi a chiederti: “Che diavoleria è mai questa?”. Poi inizi a fare mille ipotesi, dalle stelle cadenti alle lanterne cinesi. Finché, improvvisamente, ricordi di aver letto da qualche parte delle bizzarre scie luminose prodotte dai satelliti della mega-costellazione (naturalmente artificiale) di Starlink, usati per la connessione a Internet a banda larga. Accade sempre più spesso di scorgerli a occhio nudo in ogni parte del globo e il motivo sta proprio nella loro invasività: la compagnia SpaceX di Elon Musk ne ha già lanciati più di 4.000 e di questi oltre 3.800 sono ancora operativi (nel momento in cui scriviamo) nell’orbita bassa terrestre. Numeri impressionanti destinati ad aumentare perché SpaceX ha l’autorizzazione a dispiegarne altri 12.000 e ha già presentato domanda per ulteriori 30.000. E non è l’unica a pensare in grande: solo per citare i casi più famosi, la compagnia britannica OneWeb sta costruendo una costellazione di 600 satelliti. Anche Amazon ha ottenuto il via libera per schierarne oltre 3.000. Senza dimenticare le mega-costellazioni sovvenzionate da Stati Uniti, Europa, Cina e Russia, che vanno ad aggiungersi agli innumerevoli satelliti già in orbita per l’osservazione della Terra, le previsioni meteo, la navigazione satellitare e le telecomunicazioni. Presto potrebbero esserci più satelliti che stelle nel cielo notturno secondo Fabio Falchi, presidente dell’associazione CieloBuio e ricercatore dell’Istituto di scienza e tecnologia dell’inquinamento luminoso (Istil). Falchi è il primo firmatario di un appello pubblicato su Nature Astronomy che, assieme ad altri tre articoli, invita gli astronomi a scendere in campo per un new deal che salvaguardi l’oscurità del cielo notturno. La questione non riguarda più solo l’inquinamento luminoso prodotto dalle luci artificiali sulla Terra, ma anche quello generato dai satelliti, che possono riflettere la luce solare disturbando le osservazioni astronomiche (oltre che interferire con le osservazioni di radioastronomia come quelle che studiano la radiazione di fondo cosmica generata dal Big Bang). Il rischio è di non poter più osservare stelle e pianeti (con danni incalcolabili per programmi di ricerca a volte costosissimi) e di non riuscire a monitorare a dovere oggetti potenzialmente pericolosi che orbitano vicino alla Terra e che a sorpresa potrebbero fare capolino nella nostra atmosfera. “Ancor prima dell’inizio dell’era delle mega-costellazioni satellitari, gli oggetti spaziali contribuivano con una quantità extra di luce allo zenit pari al 10% del presunto livello di fondo naturale”, spiegano i ricercatori dell’università dello Utah guidati da John C. Barentine. Negli ultimi tre anni, “le mega-costellazioni sono diventate una minaccia sempre più seria per l’astronomia. Stiamo assistendo a una trasformazione drammatica e forse semipermanente del cielo notturno che non ha precedenti nella storia”. A causa dell’aumento dell’inquinamento luminoso, sottolinea Falchi, “non ci sono quasi più luoghi remoti sulla Terra che abbiano i requisiti necessari per installare un osservatorio astronomico”. Inoltre, “la maggior parte dei telescopi da 3 metri e più opera sotto cieli notturni che superano il limite massimo di interferenza da parte della luce artificiale che viene considerato accettabile dall’Unione astronomica internazionale”. L’astrofisico Gianluca Masi, responsabile del progetto Virtual Telescope e curatore scientifico del Planetario astronomico di Roma, racconta di come gli sia capitato “di dover scartare delle riprese astronomiche proprio in virtù dell’interferenza del traffico di satelliti che si è intensificato soprattutto negli ultimi 2-3 anni. Fortunatamente – aggiunge – nel mio caso, la frequenza di questi “avvistamenti” non è troppo elevata, perché uso telescopi con un campo di vista relativamente stretto, ma l’interferenza è molto più consistente per quegli strumenti che hanno un ampio campo di ripresa”. Ormai il problema è tale da guastare anche le osservazioni dei telescopi in orbita attorno alla Terra, come Hubble: dall’analisi di oltre 100.000 immagini catturate dal celebre telescopio negli ultimi 20 anni, è emerso che quasi 3 su 100 sarebbero state rovinate dal photobombing delle costellazioni satellitari. Lo studio, pubblicato sempre su Nature Astronomy, dimostra che le immagini acquisite nel 2009 (prima dell’inizio dei lanci di Starlink) avevano una probabilità del 3,7% di contenere tracce di satelliti, mentre nel 2021 (con 1.562 Starlink in orbita) la probabilità è salita al 5,9%, un valore destinato ad aumentare ancora nei prossimi anni. Pensare però che l’inquinamento luminoso sia un problema solo per gli astronomi è sbagliato. È infatti inevitabile che nel giro di pochi anni venga stravolta la nostra stessa esperienza del cielo ogniqualvolta alzeremo gli occhi per ammirare le stelle. “Il cielo notturno trascende la scienza o l’utilità; è una fonte di ispirazione, connessione con la natura e svago”, ricorda l’articolo di Barentine. “Per alcune culture, le tradizioni del cielo sono un aspetto importante dei costumi sociali, delle tradizioni culturali e delle credenze religiose. In quanto tale, rappresentano una forma di patrimonio umano immateriale che merita la conservazione e la salvaguardia per le generazioni future, come le foreste e i ghiacciai”. La battaglia però non si prospetta facile, tanto che gli esperti arrivano a paragonarla a quelle condotte in passato contro le lobby del tabacco o Big Pharma. In questo scenario, l’Unione astronomica internazionale (Iau) ha deciso di agire su due fronti: quello politico, portando la questione all’Onu, e quello economico, aprendo un confronto con le compagnie private che realizzano e lanciano satelliti. “Non intendiamo opporci in modo drastico allo sviluppo delle reti spaziali, che possono offrire servizi vantaggiosi, ma puntiamo a un compromesso”, spiega Piero Benvenuti, direttore del Centro Iau per la protezione del cielo dalle interferenze dei satelliti e professore emerito dell’università di Padova. “All’Onu siamo intervenuti sin dal 2019: abbiamo ottenuto il riconoscimento della necessità di tutelare l’astronomia, fondamentale per la ricerca spaziale e abbiamo convinto oltre 30 delegazioni a sostenere la creazione di un gruppo di esperti che monitori le costellazioni satellitari indicando possibili normative. Invece, con le compagnie private – continua Benvenuti – stiamo lavorando a due possibili misure di mitigazione: rendere i satelliti meno riflettenti, dunque meno luminosi, e realizzare una piattaforma che permetta ad astronomi e astrofili di tutto il mondo di conoscere in tempo reale la posizione esatta dei satelliti, per poter organizzare le osservazioni senza doverle interrompere”. Queste misure potrebbero limitare i danni, “ma se il numero di satelliti dovesse superare quota 100.000, potrebbero non essere più sufficienti”, conclude il professore.

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Stelle, meteore, comete, pianeti, satelliti: per riconoscere ciò che splende sopra le nostre teste non bisogna essere degli astronomi professionisti. Basta sfoderare lo smartphone e accedere a siti e app che guidano nell’osservazione con dati aggiornati rispetto alla località in cui ci troviamo. Eccone due gratuiti consigliati dall’astrofisico Gianluca Masi.

Heavens-Above (www.heavens-above.com)

È il sito più semplice e completo. Disponibile anche come app scaricabile su dispositivi iOS e Android, permette di impostare la posizione per ottenere mappe del cielo aggiornate con informazioni su stazioni spaziali, razzi, satelliti, spazzatura spaziale ma anche dati relativi a stelle, Sole, Luna, pianeti, comete e asteroidi.

The Sky LIVE (www.theskylive.com)

Un ricchissimo planetario online con modelli interattivi in 3D. Riporta informazioni dettagliate sul cielo notturno sopra la località prescelta e perfino sulle sonde interplanetarie operative nel sistema solare, dalla Bepi Colombo fino al telescopio spaziale James Webb.

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