Sono da poco passati 100 anni (101 per la precisione) dalla nascita di don Lorenzo Milani (1923- 1967) ma, quando si parla di scuola, Lettera a una professoressa continua a essere uno dei libri più citati. Magari con obiettivi diversi: per denunciare un’istruzione classista che fa “le parti eguali fra disuguali”, e chiama meritocratico questo sistema, oppure per fissare l’inizio della deriva della scuola italiana e ricordare com’era bella prima del 1968. Don Milani rimane uno dei preti più noti della Chiesa italiana, uno dei protagonisti della vivace stagione vissuta dal mondo cattolico toscano negli anni ‘60-‘70, assieme a don Giulio Facibeni, don Alfredo Nesi, padre Ernesto Balducci, don Enzo Mazzi. E Lettera a una professoressa, scritta assieme ai suoi ragazzi di Barbiana, è uno dei testi che maggiormente hanno influenzato un’intera generazione di studenti, vademecum di ogni insegnante democratico. Il pamphlet nasce dalle vicende di due ragazzi di Barbiana che si presentano da privatisti agli esami in un istituto magistrale e vengono bocciati per due volte di seguito. Tutto ha inizio, ancor prima, con il cardinale Florit e la curia fiorentina che non sopportano un sacerdote spigoloso come don Milani e nel 1954 lo mandano in esilio in un piccolo e sperduto paese di montagna, nel Mugello, a Barbiana appunto. Qui il prete scomodo comincia a fare scuola ai ragazzi che trovavano oggettive difficoltà a raggiungere gli istituti dei centri maggiori della zona e venivano così esclusi dal sistema dell’istruzione. È una scuola un po’ particolare, la sua, una sorta di austero doposcuola a tempo pieno dove tutti studiano assieme attorno a un tavolo: “Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare. Però chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finché non aveva capito, gli altri non andavano avanti. Non c’era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica”. Nella scuola dì Barbiana, finisce sotto accusa l’impianto selettivo e classista della scuola “ufficiale” che vezzeggia i figli della borghesia, che a casa sono già seguiti e aiutati, ed espelle quei ragazzi che invece avrebbero bisogno di continuare ad andare a scuola per superare le carenze educative della famiglia. Il tono della Lettera è da fra Savonarola: “La scuola selettiva è un peccato contro Dio e contro gli uomini”. E ancora: “Voi dite di aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi”. Finiscono sotto accusa metodi e contenuti dell’insegnamento. Ce n’è per tutti, non solo per la matematica. Naturalmente anche per il latino e poi per la filosofia, la storia, la geografia, le lingue straniere. Della didattica matematica vengono aspramente criticati il nozionismo e il gattopardesco trucco di cambiare i nomi alle cose per lasciare tutto inalterato. Erano gli anni della riforma della scuola media unica – la Lettera a una professoressa viene pubblicata nel 1967 – ma i ragazzi di Barbiana pensano che con questa classe docente le cose non cambieranno. Soprattutto, don Milani è dell’opinione che a scuola di matematica se ne faccia troppa, e inutile. Che bisogno c’è di perdere un sacco di ore per le espressioni numeriche e l’algebra (“espressioni numeriche = operazioni complicate”)? Insegnate – sembra dire – solo quella che serve nella vita di tutti i giorni alle persone normali. A dire il vero, non è il solo a pensarla così. Ancora nel decennio successivo, nell’esperienza delle 150 ore ottenute per dare il diploma di scuola media anche a chi aveva dovuto entrare precocemente in fabbrica, una parte del movimento sindacale riteneva che l’insegnamento si dovesse concentrare sui contenuti immediatamente utili. Colpisce la semplificazione: la matematica serve per capire la realtà; questa, per la maggior parte dei lavoratori, è fatta di buste-paga e di bollette da pagare; conclusione: basta insegnare l’aritmetica e le percentuali (per capire buste-paga e bollette). Quello di Barbiana era un mondo contadino dove sembrava che la matematica entrasse solo in specifiche attività (è una giustificazione che, a dire il vero, è meno convincente nel decennio successivo e nella realtà delle grandi fabbriche). Per essere un cittadino consapevole sembrava che fosse sufficiente la comprensione dei meccanismi aritmetici con cui si veniva pagati o si doveva pagare. Poi, ci si è accorti, ci si sta accorgendo, che la dimensione scientifica è coinvolta in ampi e numerosi spicchi della nostra vita, che i problemi da affrontare sono complessi e che, per essere cittadini, non basta conoscere le 4 operazioni. Non a caso si è progressivamente diffuso nella nostra educazione e nell’opinione pubblica il concetto di modello matematico: radicamento nella realtà e poi libertà di sviluppo del pensiero formale, purtroppo senza rassicuranti confini definiti a priori. Ma anche questo è garanzia della serietà della strada intrapresa. Lettera a una professoressa rimane una testimonianza di un particolare periodo della nostra storia. Rimane una severa denuncia contro gli attentati al funzionamento degli ascensori sociali, un urlo per esprimere il nostro desiderio di giustizia. Non può essere presa come proposta di una didattica “utile” della matematica, anche se ci fosse qualche ministro che l’ha pensato.
L’OBBEDIENZA NON È PIÙ UNA VIRTÙ
Don Lorenzo Milani era nato da una famiglia di tradizione ebraica. Si era poi convertito al cattolicesimo nel ‘43 e nello stesso anno era entrato in seminario (dopo aver frequentato i corsi di pittura all’Accademia di Brera a Milano). Il suo nome divenne famoso nel ‘65 per una lettera aperta che invitava alla disobbedienza i cappellani militari che avevano invece tacciato gli obiettori di coscienza di viltà; il fatto che il testo fosse stato pubblicato solo sul settimanale comunista Rinascita non servì certo a calmare le acque. Una frase della lettera, “L’obbedienza non è più una virtù”, diventerà in particolare uno degli slogan preferiti dalla contestazione studentesca e dal dissenso cattolico. Per la sua iniziativa, Don Milani fu incriminato per apologia di reato: assolto in primo grado, dovette subire il processo di appello ma morì prima della sua conclusione.
LA MATEMATICA NELLA LETTERA A UNA PROFESSORESSA
Il problema di geometria faceva pensare a una scultura della Biennale: “Un solido è formato da una semisfera sovrapposta a un cilindro la cui superficie è tre settimi di quella…”. Non esiste uno strumento che misuri le superfici. Dunque nella vita non può accadere mai di conoscere le superfici e non le dimensioni. Un problema così può nascere solo nella mente di un malato. Nella Nuova Media queste cose non si vedranno più. I problemi partiranno “da considerazioni di carattere concreto”. Difatti la Carla quest’anno alla licenza ha avuto un problema moderno a base di caldaie: “Una caldaia ha la forma di una semisfera sovrapposta…”. E di nuovo si parte dalle superfici. Meglio un professore all’antica, di uno che crede di essere moderno perché ha mutato le etichette.
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Del resto sulla matematica si può fare un discorso come quello che è stato fatto alle Camere per il latino. Quali sono i calcoli che ognuno deve saper fare per le necessità immediate di casa o di un lavoro qualsiasi o della lettura di un giornale? In altre parole: quale parte della matematica ricorda un uomo colto non specializzato? Tutta quella che è nel programma degli otto anni escluse le espressioni numeriche e l’algebra. Resta il problema di arricchirsi la lingua del vocabolo algebra. Ma per questo basta una lezione solo d’algebra in tutto l’anno.
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La seconda materia sbagliata è la matematica. Per insegnarla alle elementari basta sapere quella delle elementari. Chi ha fatto la terza media ne ha tre anni di troppo. Nel programma delle magistrali si può dunque abolire. Piuttosto bisognerà imparare il modo di insegnarla, ma questa non è matematica. Riguarda il tirocinio o la pedagogia. In quanto alla matematica superiore come parte della cultura generale, si può provvedere in altro modo. Due o tre conferenze d’uno specialista che sappia dire a parole in che consiste.