E’ all’inizio dell’anno scolastico che le scuole vengono bersagliate di proposte e di progetti: associazioni a difesa della gallina lucana o del merletto, gruppi teatrali che propongono allestimenti sulla poetessa ingiustamente sconosciuta di Grandigliano di Sopra o sul tragico destino degli antichi Osci, professionisti che si dichiarano esperti di prevenzione contro la droga, il sesso e il rock and roll. L’opinione pubblica si forma grazie alle continue interviste sui casi di cronaca in cui un comico dice la sua sull’inflazione, una cantante si pronuncia sulla psoriasi, un bagnino diventato famoso per la partecipazione alla trasmissione “Fedifraghi cercasi” espone la sua teoria sull’abolizione dell’infelicità: tutte interviste che immancabilmente finiscono con “la scuola dovrebbe…”.
Una legge fondamentale afferma che per ogni magagna sociale o riforma salvifica esiste un promotore che si prefigge di combattere la prima o di sostenere la seconda. Una seconda legge afferma che per ogni soggetto di cui sopra e per ogni scuola si produrrà una proposta della prima indirizzata alla seconda per un progetto. E così le istituzioni scolastiche, tese a salvare il mondo attraverso la riabilitazione della talpa o la prevenzione dell’osteoporosi tramite l’alimentazione a base di farro crudo o altro nobile scopo, arrancano su quello che dovrebbe essere il loro core business: insegnare a leggere, scrivere, far matematica, ragionare, capire. Invece, producono progetti.
Da una parte, c’è un eccesso di fiducia nella automatica persuasività del progetto scolastico: si immagina che sia sufficiente enunciare da una cattedra che il cibo spazzatura fa male per vedere i ragazzi passare dalle merendine alle carote; che basti una lezione sulla sicurezza stradale per renderli ligi al codice della strada; che con qualche ora di educazione affettiva si possano cancellare approcci sgarbati e amori sbagliati.
Eppure, ormai si sa che l’insegnamento non è un travaso di nozioni e meno che mai di princìpi. La scuola educa a certi valori semmai in modo testimoniale: il rispetto e la cura per l’altro e per i beni comuni più che enunciati vanno esercitati. Dall’altra parte, osservo la totale sfiducia sul fatto che l’ossatura della scuola, la struttura dei saperi,
la densità intellettuale delle discipline siano di per sé stesse formative. Invece, la scuola dovrebbe insegnare proprio a trarre dalla cultura gli strumenti per interpretare e cambiare il mondo: sono le discipline che dovrebbero respirare la realtà e permettere di capirla con una mente più lucida e aperta.
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