Vedere e toccare con mano lo scheletro di una scimmia vera non è cosa da tutti i giorni. A meno che non lavoriate in un laboratorio di tassidermia come quello del Museo di Storia naturale di Milano. Un luogo magico dove gli animali deceduti per cause naturali, per incidenti o per colpa dei bracconieri, possono avere una seconda vita a beneficio della scienza. “Questo scheletro di scimpanzé è stato acquistato da un collezionista privato, ma devo modificare la sua postura per esporlo nella nuova sala sull’evoluzione dell’uomo”, racconta Ermano Bianchi, l’esperto che da quasi 40 anni fa “rivivere” gli animali del museo. “Tutto sommato quello che devo fare oggi è un lavoro abbastanza semplice e pulito; a volte, invece, capitano lavorazioni che richiedono uno stomaco più forte, come quando arrivano carcasse di animali che sono già in uno stato iniziale di decomposizione”. Ermano lo dice con il sorriso: sa che il suo è un mestiere particolare: “Quando le persone scoprono che lavoro faccio hanno una reazione un po’ schifata, ma poi si incuriosiscono, fanno mille domande e alla fine cambiano opinione”. La tassidermia è un’arte antichissima che risale ai tempi degli Egizi, anche se non va confusa con l’imbalsamazione. “Gli imbalsamatori usavano balsami e unguenti per conservare l’intero apparato muscolo-scheletrico dell’organismo, mentre il tassidermista crea un modello artificiale che riproduce l’anatomia dell’animale e poi lo riveste, usando la pelle originale opportunamente conciata e gli annessi cutanei come zoccoli, unghie, corna e penne”, spiega Ermano. “L’epoca d’oro della tassidermia è stata quella delle grandi esplorazioni scientifiche, perché permetteva agli studiosi di riportare a casa alcuni esemplari delle nuove specie che avevano scoperto in terre lontane. Per diverso tempo è stata legata anche all’attività venatoria, ma oggi per fortuna non è più così. Serve soprattutto a conservare a scopo scientifico ed espositivo le spoglie di animali che altrimenti sarebbero andate perse”. Non sprecare lo splendore creato da Madre Natura è sempre stato l’obiettivo di Ermano, che da ragazzino ha cominciato a studiare la tassidermia da autodidatta per recuperare gli animali non commestibili riportati a casa dallo zio cacciatore. “Mi dispiaceva vederli andare a male, perciò decisi di documentarmi sulle tecniche di conservazione prendendo dei manuali in libreria”. Di certo non poteva immaginare che un giorno quell’hobby sarebbe diventato il suo lavoro. In mezzo ci sono stati gli anni del liceo artistico, in cui ha coltivato la manualità e la passione per la pittura e la scultura, e poi gli anni della facoltà di medicina all’università, frequentata per studiare anatomia. Impossibilitato a proseguire gli studi, si è cimentato nei mestieri più disparati, dall’impiegato all’imbianchino, finché non ha scoperto grazie al passaparola che il Museo di Storia naturale di Milano era da tempo privo di un tassidermista. Da quando nel 1985 ha avuto il suo primo contratto, Ermano ha visto passare tra le sue mani un’intera Arca di Noè. Tra le primissime opere, “forse la più complicata, è stata la preparazione di un ippopotamo di 14 quintali. Ero ancora inesperto e ho dovuto fare tutto da zero: ci sono voluti sei mesi solo per la concia della pelle”. Un’impresa altrettanto ardua è stata quella di un capodoglio lungo 12 metri, spiaggiato a Forte dei Marmi e poi trasportato a Milano. “Era talmente grosso che abbiamo dovuto trasferirci all’ex macello comunale per lavorarlo: sembravamo dei balenieri!”, racconta ancora entusiasta. L’animale che invece gli è rimasto più nel cuore “è stata l’elefantessa Bombay, che avevo visto da bambino allo zoo di Porta Venezia. Quando è deceduta e me la sono ritrovata sul tavolo da lavoro, è stata una grande emozione. Parte del corpo era già stato cremato, per cui abbiamo deciso di usare le parti rimaste per inserirla in un diorama in cui la si vede immersa in un laghetto con un cucciolo accanto”. Allestire una simile vetrina richiede mesi e mesi di lavoro in collaborazione con i curatori scientifici del museo: sono loro che decidono come ricostruire l’habitat naturale e come sistemare l’animale in una posa realistica che ne valorizzi l’anatomia. La palla passa poi al tassidermista, che si occupa della preparazione dell’esemplare procedendo innanzitutto alla scuoiatura e al trattamento della pelle. Successivamente, realizza un manichino rigido che riproduce l’anatomia superficiale e un atteggiamento tipico della specie. “Si tratta di creare una vera e propria scultura rilevando le misure corporee sull’animale prima della preparazione”, sottolinea Ermano. “Un tempo il modello veniva fatto con materiali come paglia, gesso e creta, mentre oggi si usano poliuretano, fibra di vetro e siliconi”. Una volta pronto, il manichino viene rivestito con la pelle, cucita in modo da rendere invisibili le giunzioni. Infine, per completare l’opera, si aggiungono gli occhi di vetro. “Di solito li compro trasparenti e poi li dipingo con l’aerografo: solo così è possibile ottenere colori vivi e realistici”. Il risultato è impressionante, come nel caso dei due leopardi delle nevi a caccia di una capra tibetana, l’ultima grande fatica di Ermano. Fra pochi giorni però abbandonerà gli strumenti del mestiere per andare in pensione. “Al momento non c’è ancora nessuno che prenderà il mio posto”, osserva con un pizzico di malinconia. “Non so se il Comune deciderà di esternalizzare il servizio o farà un concorso per trovare un nuovo tassidermista. In Italia ne restano una ventina: pochissimi operano nei musei, mentre la maggior parte lavora in proprio per clienti privati”. Si tratta ormai di una professione a rischio di estinzione: l’unica speranza di salvezza viene dai giovani. “Abbiamo parecchie richieste di ragazzi che vorrebbero vedere il laboratorio di tassidermia per imparare il mestiere, inconsapevoli del fatto che qui non si può entrare che per concorso pubblico”, ci confida Ermano. Quale consiglio possiamo dare loro? “Quello di darsi da fare per crescere professionalmente: possono imparare qualcosa guardando i tutorial su Internet ma, per affinare la pratica, è meglio andare nella bottega di un vero tassidermista, come quelli iscritti all’Associazione Tassidermisti Italiani. C’è anche un’azienda di Pisa che organizza un corso specifico”. E se qualcuno desiderasse avere come maestro l’esperto tassidermista del Museo di Storia Naturale di Milano? “Non è mia intenzione fare l’insegnante. Ora che posso godermi un po’ di meritato riposo vorrei andare a vivere in campagna, finalmente circondato da animali vivi!”.
I NUMERI DEL MUSEO DI STORIA
NATURALE DI MILANO
- 205.000 visitatori nel 2022
- 96 diorami che riproducono habitat naturali
- 3 milioni di insetti nella collezione di entomologia
- 1,5 milioni di conchiglie di molluschi nella collezione di malacologia
- 140.000 fossili nella collezione di paleontologia
- 100.000 invertebrati
- 80.000 pezzi nella collezione di mineralogia e petrografia
- 57.000 animali vertebrati (di cui oltre 5.000 campioni di pesci, 1.800 di anfibi, 4.900 di rettili, 37.000 di uccelli, 8.000 di mammiferi)
- 50.000 esemplari nella collezione di botanica