Non possiamo sfuggire alle seguenti domande. Altrimenti ci ridurremmo presto solo alla prima metà della definizione aristotelica di essere umano come animale politico.
“Perché in meno di 80 anni l’affluenza alle urne è scesa dall’89% del 1946 al 64% del 2022 fino al 49% del 2024? Perché dal 1968 è in atto una progressiva depoliticizzazione? Perché anche le importanti manifestazioni giovanili di impegno per una giustizia ambientale e sociale, come “Fridays for Future” o le “acampadas” universitarie per la
Palestina, non si tramutano in un’espressione politica organizzata, cioè partitica?
Pongo tali domande perché non solo in matematica vale la frase provocatoria di Georg Cantor: Ars proponendi pluris facienda est quam solvendi (è più fertile interrogarsi e congetturare piuttosto che dare soluzioni)!
Una risposta frequente è la perdita di fiducia nella rappresentanza politica più che nella politica stessa. Ma in
democrazia non può esserci la seconda senza la prima. La rappresentanza è manifestazione di collettività. È il superamento dell’individualismo. Tale rappresentanza andrebbe cercata nei partiti esistenti e se non ritrovata
allora andrebbe espressa ex-novo.
“Bisogna dare delle speranze”, mi è stato risposto da alcuni. Ma la speranza è un concetto ambiguo. Per Esiodo, che narrò il mito di Pandora, significava soprattutto timore del futuro. Dopotutto era contenuta nel vaso dei mali. Per Spinoza, la speranza era superstizione, difetto di conoscenza. La presa sull’opinione pubblica dell’identitarismo xenofobo, che si manifesta con chiari risvolti autoritari un po’ ovunque, è dovuta proprio a questo tipo di speranza/timore che viene strumentalizzato per produrre falsa coscienza.
Forse vi è anche una vera speranza. È l’ottimismo della volontà a fronte del pessimismo della ragione, caro a Gramsci. È l’utopia, che fece scrivere a Marx, nella Critica del Programma di Gotha: “Da tutti secondo capacità e a tutti secondo il bisogno”. È l’invito di Amartya Sen a cercare di ridurre aritmeticamente giorno dopo giorno l’ingiustizia, invece di mirare solo alla giustizia perfetta. È l’impegno a restituire dignità al lavoro contro ogni sfruttamento introducendo intanto il salario minimo per legge, sapendo che però è solo un mezzo verso una maggiore giustizia sociale e non un fine.
Nell’era della propaganda e dei dibattiti tra candidati è urgente però ritrovare l’etica della verità riscattandone
l’antica definizione come adaequatio intellectus et rei, che altro non è che il fact checking del buon giornalismo. Va ritrovata la parresia, respingendo quella riduzione della verità ai meri “effetti di verità” del discorso, di cui parla Žižek, che fanno passare come totalmente plausibile la più arrogante menzogna a cui poi diventa quasi impossibile ribattere. Prim’ancora che nella politica dobbiamo ritrovare la fiducia nella verità! Dobbiamo smascherare le bugie. Prime fra tutte quelle che fanno leva sul perverso meccanismo dei capri espiatori!
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