Estratto di corteccia di salice: lo prescriveva Ippocrate per alleviare i dolori, anche quelli del parto, e abbassare la febbre. Già nel V secolo a. C. pare fossero note le proprietà lenitive della salicina, o acido salicilico: principio attivo che secoli dopo è stato studiato, perfezionato e sintetizzato in laboratorio. E così da un estratto ricavato dalla corteccia del salice si è arrivati all’acido acetilsalicilico, che dalla fine del XIX secolo è uno dei farmaci più usati per la terapia analgesica: l’aspirina. Brevettata nel 1899 dalla Bayer, da allora l’aspirina è il capostipite della classe dei farmaci antinfiammatori non steroidei, i cosiddetti FANS, usati comunemente per trattare febbre, mal di testa, mal di denti, dolori muscolari, reumatici, mestruali. Ma questa è solo una parte, la prima, della storia di questo farmaco. Negli ultimi 50 anni, l’aspirina si è guadagnata anche il titolo di “farmaco salvavita” per pazienti con problemi cardiovascolari. E oggi gli studi sui suoi effetti terapeutici continuano: se ne indaga l’efficacia in campo oncologico, per la prevenzione di alcune forme di tumori, in particolare dell’apparato gastrointestinale. Ma partiamo dall’inizio della storia. L’uso del comune salice bianco è menzionato nel Papiro di Ebers. Già nell’antico Egitto si riducevano in poltiglia le foglie del Salix alba da assumere in caso di febbre. Pratica, quella di ricorrere al decotto di foglie o di corteccia di salice come antipiretico, che è continuata fino al Medioevo. Poi, nel XVIII secolo, è stato il reverendo inglese Edward Stone, appassionato di botanica, a riportarla in auge. Come racconta in una lettera riportata negli Atti della Royal Society di Londra del 1763, con la corteccia del salice essiccata riesce a trattare con successo la febbre malarica. Stone l’aveva assaggiata per caso sei anni prima rimanendo sorpreso per la sua estrema amarezza che gli ricordava il sapore, amaro appunto, della cinchona, pianta andina da cui si estraeva il chinino usato come rimedio per la malaria. Questa è considerata la prima “dimostrazione” dell’effetto antipiretico del salice. Con il passare degli anni e la nascita della chimica organica, lo studio delle sostanze naturali si intensifica e nuove ne vengono create, sintetizzate in laboratorio. Accade anche con la salicina. Nel 1828 il farmacista tedesco Johann Andreas Buchner la ricava dal salice, mediante ebollizione. L’anno dopo, il farmacista francese Henri Leroux la isola in forma cristallina. Il chimico calabrese Raffaele Piria scopre che attraverso opportune lavorazioni si può arrivare all’acido salicilico che, nel 1859, Hermann Kolbe riesce a sintetizzare chimicamente. Il sapore però è terribilmente amaro e provoca fastidiosi effetti collaterali, tra cui conati di vomito irrefrenabili. Nel 1897 è il chimico Felix Hoffmann a modificare l’acido salicilico attraverso una reazione di acetilazione (fa reagire l’acido salicilico con l’acido acetico) ottenendo così l’acido acetilsalicilico. La storia racconta che suo padre soffrisse di artrite e mal tollerava l’acido salicilico a cui ricorreva per alleviare il dolore. Da qui il suo impegno a trovare un antireumatico con minori effetti collaterali. È in questo modo che nasce l’aspirina che la Bayer brevetta e mette in commercio nel 1899. La seconda vita dell’aspirina quale farmaco salvavita per persone a rischio trombosi inizia invece negli anni Settanta del Novecento, quando viene compreso il suo meccanismo d’azione e scoperta la sua capacità antiaggregante piastrinica. Fondamentali risultano gli studi che hanno fatto guadagnare il premio Nobel per la medicina al chimico e farmacologo inglese John Vane nel 1982. A lui si deve la scoperta che l’acido acetilsalicilico inibisce la produzione delle prostaglandine. Come spiega sul British Journal of Pharmacology il farmacologo Carlo Patrono, docente dell’università Cattolica di Roma e accademico dei Lincei, l’aspirina è in grado di inibire la sintesi da parte delle cellule del nostro organismo di composti chiamati prostanoidi, di cui fanno parte le prostaglandine, che regolano numerosi processi fisiologici e patologici dell’organismo. Esercitano, per esempio, un’attività proinfiammatoria provocando vasodilatazione e agiscono sull’aggregazione delle piastrine, “che sono cellule del sangue che circolano per sorvegliare l’integrità del sistema vascolare e hanno un ruolo fondamentale nel processo di emostasi primaria”. Proprio su queste scoperte di base, relative al meccanismo d’azione dell’acido acetilsalicilico, si sono innestati gli studi di Carlo Patrono: “Ricerche che insieme a col leghi americani abbiamo condotto negli anni Ottanta per cercare di capire come isolare l’effetto antipiastrinico del farmaco e riuscire a inibire la sintesi del trombossano, responsabile dell’aggregazione delle piastrine, senza interferire con altre funzioni protettive dei prostanoidi a livello vascolare”. Ricerche che Patrono descrive come “un lungo percorso che ha portato poi alla caratterizzazione dell’aspirina a basso dosaggio come farmaco salvavita che tuttora rappresenta il cardine della terapia antitrombotica”. Fondamentale l’International Study of Infarct Survival-2, i cui risultati, pubblicati nel 1988 sulla rivista Lancet, dimostrano l’efficacia dell’aspirina a basse dosi nel ridurre la mortalità vascolare durante le prime settimane dopo un infarto acuto del miocardio. “Abbiamo scoperto che l’aspirina, a dosi che sono circa un centesimo di quelle necessarie per bloccare l’infiammazione, è in grado di inibire la funzione piastrinica e questo, a sua volta, ha fornito la base per una serie di studi clinici che ne hanno testato l’efficacia e la sicurezza dimostrando che l’aspirina a basse dosi è un farmaco salvavita nelle fasi acute di sindromi ischemiche ed è in grado di prevenire la ricorrenza di un evento ischemico nel lungo termine”, puntualizza Patrono. In altre parole, la cosiddetta aspirinetta può contrastare la formazione di trombi nelle arterie, che sono la causa principale di infarto e ictus ischemico. E il basso dosaggio ne minimizza la tossicità gastrointestinale. Così, grazie al lavoro di Patrono, è iniziata la seconda vita di questo farmaco. L’intuizione dell’effetto antiaggregante di basse dosi di acido acetilsalicilico e gli studi condotti a riguardo hanno fornito le basi per il suo uso come medicinale antitrombotico: studi per i quali, insieme a Garret FitzGerald della University of Pennsylvania, Patrono ha ricevuto nel 2013 il Grand Prix Scientifique Lefoulon-Delalande dall’Institut de France, il riconoscimento scientifico più importante in cardiologia. Oggi Patrono continua a indagare il possibile effetto protettivo dell’acido acetilsalicilico contro il tumore del colon-retto e la possibilità che l’inibizione piastrinica a lungo termine possa interferire con gli stadi precoci della trasformazione neoplastica nell’apparato gastrointestinale riducendone la ricorrenza. “Studi che sto portando avanti assieme a colleghi inglesi e americani e sono finanziati dal Cancer Research UK, la più importante charity inglese, e dal Medical Research Council”. Molteplici evidenze cliniche, raccolte soprattutto nel corso degli ultimi 20 anni, sono compatibili con un effetto chemiopreventivo dell’aspirina nei confronti del cancro colon-rettale: “Attualmente sono in corso alcuni trial clinici di terapia adiuvante con aspirina per verificare l’efficacia e la sicurezza nel prevenire o ritardare la progressione del tumore e/o la sua diffusione metastatica. Il più grande di questi studi è l’Add-Aspirin trial, che ha reclutato circa 8.600 pazienti e il cui completamento è previsto tra il 2025 e il 2027”, conclude Patrono, che non manca di ricordare l’importanza dell’interazione tra ricerca di base e ricerca clinica, della cooperazione internazionale, della ricerca guidata dalla curiosità e dei finanziamenti pubblici per consentire una ricerca indipendente, “così come è avvenuto nel caso dello sviluppo clinico dell’aspirina a basse dosi come farmaco antitrombotico”.