Il metodo matematico della teologia

Molti di noi ricordano la definizione per cui una sfera è il luogo dei punti equidistanti da un punto fissato detto centro. Nel mondo fisico gli oggetti perfettamente sferici non esistono, ma in molti casi possiamo approssimare oggetti che non lo sono con oggetti sferici senza commettere un errore cruciale. Così come possiamo sbagliare di poco sull’ubicazione del centro della sfera senza soffrirne più di tanto: ovviamente, tanto più grande è la sfera, tanto più potremo permetterci di essere imprecisi nell’indicarne il centro. Per esempio, il Pantheon di Roma ha una struttura tale da contenere esattamente una sfera della quale la cupola è la semisfera superiore: il raggio di questa sfera è di 21,72 metri. Al centro della cupola c’è un foro circolare, classico soggetto di una foto che i turisti cercano di fare da sotto la cupola, immortalandola dal basso con il foro al centro esatto della foto. Se la parte del pavimento che cade sotto il foro della cupola è transennata, i turisti si devono accontentare di una vista approssimativa. Lo scostamento di pochi passi consente delle foto soddisfacenti ma non perfette, in quanto il raggio della cupola è solo un ordine di grandezza superiore allo scostamento dal centro di pochi passi. Se la cupola avesse un raggio non di 22 ma di 222 metri, la foto sarebbe perfetta pur scattandola non esattamente nel centro ma allontanandosene pochi passi. E, ovviamente, se il raggio fosse di 2.222 metri, la differenza di pochi passi non si noterebbe più. In altri termini, più grande è la sfera, maggiore è la “sferetta” contenuta al suo interno i cui punti possiamo confondere con il centro della sfera senza commettere un errore grave. Per esempio, pensando alla Terra come a una sfera (cosa che non è), poiché il suo raggio è di circa 6.373 chilometri, se anche sbagliassimo di 6 chilometri nel collocarne il centro, commetteremmo un errore di al più un millesimo. Una sfera delle dimensioni del Sole, che di nuovo non è una sfera perfetta, ha invece un raggio 109 volte maggiore di quello terrestre e quindi un errore di un millesimo consentirebbe di spaziare di oltre 650 chilometri nel collocarne il centro. Non parliamo poi della sfera con al centro il Sole e delle dimensioni del sistema solare: identificandola con l’eliosfera, cioè con la sfera di influenza delle attività solari, il raggio è di 100 AU (1 AU = distanza Terra-Sole), cioè circa 15 miliardi di chilometri. Un errore di un millesimo nel determinarne il centro sarebbe di 15 milioni di chilometri. Quindi, qualsiasi punto del Sole si potrebbe considerare come centro del sistema solare! Ora è facile immaginare una sfera sempre più grande il cui centro si può approssimare con i punti di una sua “sottosfera”, anch’essa sempre più grande. Se immaginiamo una sfera di raggio infinito, anche la sua “sottosfera” dei centri diverrebbe di raggio infinito. È facile quindi immaginare che in una sfera di raggio infinito ogni punto dello spazio ne potrebbe costituire esattamente il centro! Non solo, ma la superficie della sfera svanirebbe semplicemente nelle plaghe dell’infinito. Questa idea suggeritaci dalle vertiginose distanze dell’astronomia moderna, è stata concepita più di 800 anni fa dai teologi medievali. Figura in un libro strabiliante, Il libro dei ventiquattro filosofi, che consta di ventiquattro capitoli brevissimi, ciascuno dei quali è costituito da una definizione di Dio e da un breve commento a questa definizione. Il venerando trattato, che ha iniziato a circolare nel XII secolo, è anonimo e riporta le definizioni che ventiquattro filosofi a convegno avrebbero dato di Dio. La seconda di tali definizioni recita: Dio è una sfera infinita, il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo. Poiché ci siamo (forse) convinti che una sfera infinita ha come centro qualsiasi punto dello spazio e la sua circonferenza (o meglio la sua superficie) è irraggiungibilmente persa in ogni direzione, sembrerebbe che il secondo dei ventiquattro filosofi pensi a Dio come a un oggetto geometrico! La fortuna di questa definizione è nota e ha una storia lunga. Fu proposta da alcuni teologi medievali, come Alano di Lilla che pure scrive nella seconda metà del XII secolo, la cui influenza è stata notevole in quanto è stato fra i primi teologi a proporre un metodo “matematico”, cioè ipotetico-deduttivo, per esporre la teologia. Come Euclide parte da definizioni, assiomi e postulati per costruire la sua geometria su basi logiche e poche e solide fondamenta, esattamente allo stesso modo Alano e i suoi epigoni usano un metodo formale nelle loro opere teologiche. Metodo la cui fortuna esploderà nell’epoca della Scolastica e che continuerà a essere utilizzato, per dirne una, da Spinoza e Newton nei loro trattati teologici. A dire il vero, Alano modifica la dicitura dei Ventiquattro filosofi asserendo che Dio è una sfera intelligibile, il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo. Non più “infinita”, ma “intelligibile”: per un teologo che voglia argomentare razionalmente, a suon di deduzioni e teoremi, se manca l’attributo dell’intelligibilità, chiaramente manca la possibilità stessa di poter giungere a qualche conclusione. La versione di Alano ebbe una popolarità enorme nel Medioevo. La troviamo nei più grandi pensatori di quell’epoca, da Bonaventura di Bagnoregio a Tommaso d’Aquino, per poi riaffiorare nel pensiero rinascimentale, in Niccolò Cusano e Giordano Bruno per esempio, fino a filtrare dalle carte di Blaise Pascal, dove Jorge Luís Borges la reperirà scrivendoci sopra, a metà del XX secolo, un celebre saggio breve: La sfera di Pascal. Ma le definizioni “matematiche” di Dio nel Libro dei ventiquattro filosofi non finiscono qui: la terza afferma che Dio è tutto in qualsiasi sua parte. La quinta delle nozioni comuni enumerate negli Elementi di Euclide, prima dei postulati, afferma il contrario: il tutto è maggiore della parte. Quindi la definizione di Dio che viola questo principio pone Dio stesso, ovviamente, al di fuori del mondo sensibile e intelligibile. Potremmo pensare che l’ignoto autore medievale la prenda come una definizione di essere infinito e, nel far questo, precorra di settecento anni i tempi. I primi pensatori che hanno imbrigliato l’infinito come oggetto matematico furono Richard Dedekind e soprattutto George Cantor, fondatore della teoria degli insiemi, nel XIX secolo. In questa teoria, due insiemi sono indistinguibili se sono in corrispondenza biunivoca, vale a dire se a ogni elemento di uno corrisponde esattamente un elemento dell’altro. Questo rende lo status degli insiemi infiniti alquanto paradossale. Già Galileo, per esempio, nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, aveva notato che l’insieme dei numeri naturali (0, 1, 2, …) è in corrispondenza biunivoca con il sottoinsieme dei numeri naturali pari (0, 2, 4, …): la corrispondenza che a un numero associa il suo doppio il doppio è biunivoca visto che ogni numero n ha un unico doppio e ogni numero pari 2n proviene da un unico numero n. Ma i numeri pari sono una parte di tutti i numeri e quindi, per la nozione comune di Euclide, sono essenzialmente distinti come insiemi: un paradosso! Cantor invece mostrò che non c’è nulla di paradossale e anzi si spinse fino a mostrare che persino l’insieme di tutte le frazioni positive è biunivoco con l’insieme dei numeri naturali! Oggi, nella teoria degli insiemi standard, si dimostra che, se un insieme è biunivoco con una sua parte, allora è infinito e viceversa. Almeno un’altra definizione, la diciottesima, nel Libro dei ventiquattro filosofi ha un tenore matematico ben preciso: Dio è una sfera di cui le circonferenze sono tante quanti sono i punti. Questa definizione è, per la mentalità dell’epoca, paradossale in quanto i punti della sfera, che “compongono” le circonferenze su di essa, sembrerebbero più delle circonferenze stesse, sempre per la nozione comune euclidea. Ma al di là della interpretazione insiemistica, c’è una suggestione che non può non venire in mente a un matematico moderno. Infatti, questa definizione di Dio ce lo fa immaginare come una sfera in cui ogni punto può essere sostituito da una circonferenza. Questa costruzione geometrica è oggi moneta corrente in topologia e corrisponde a quel che i matematici chiamano un “fibrato in cerchi”. In particolare, se unita alla seconda definizione, quella della sfera infinita, ci fa pensare a una costruzione geometrica fondamentale che si chiama fibrazione di Hopf che consiste nel “mappare” la superficie tridimensionale sferica infinita (cioè la “buccia” di un frutto a quattro dimensioni!) sulla superficie di una sfera bidimensionale in modo che un cerchio sulla sfera tridimensionale infinita si mappi in un singolo punto sulla sfera bidimensionale. Si tratta di una costruzione di grande importanza nella matematica moderna e, a meno di credere che i teologi medievali fossero anche topologi ante litteram in anticipo di sette secoli, il fatto che una sua suggestione si trovi in un testo di teologia medievale ha, letteralmente, del prodigioso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


CAPTCHA

Dimensione massima del file: 50MB Formati consentiti: jpg, gif, png Drop file here