I legami fra la struttura della matematica e quella del nostro cervello sembrano confermati dalle ricerche condotte da diverse équipes nel mondo. In quest’ambito, la Francia può vantarsi di possedere uno dei laboratori più attrezzati: Neurospin, un centro di neuro-imaging cerebrale sotto l’egida del Commissariato per l’energia atomica e le energie alternative e dell’università di Paris–Saclay.
Abbiamo tutti un cervello matematico!
In Neurospin, i risultati non si sono fatti attendere: recentemente, Stanislas Dehaene (nato nel 1965) e Marie Amalric (nata nel 1975) hanno stabilito che c’è una separazione completa nei nostri cervelli fra il trattamento cerebrale delle osservazioni matematiche e quello delle attività non matematiche. Quello che è stupefacente, secondo questi ricercatori, è la constatazione che “le attività acquisite, dette culturali, fanno tutte riferimento a circuiti cerebrali estremamente riproducibili. Sempre gli stessi, da una persona all’altra. Ciò che permette di adattarsi a ogni tipo di insegnamento non è affatto una grande flessibilità cerebrale, una plasticità cerebrale immensa, ma al contrario qualcosa di estremamente canalizzato, delle finestre di plasticità in circuiti che invece sono ben organizzati”. Tutti noi avremmo dunque un cervello matematico, praticamente quasi identico. E preesistente. Ma che cosa chiamiamo plasticità cerebrale e come cambia con l’età? Secondo la biologa Daphné Bavelier (nata nel 1966), è “la capacità del cervello di riorganizzarsi quando impariamo a fare cose nuove o cresciamo nel corso dell’infanzia. Sono tutti i meccanismi che permettono la messa in posa di nuove reti di neuroni che cambiano in funzione dell’ambiente o dell’educazione”. Sempre secondo la specialista in neuroscienze cognitive, “nel bambino piccolo c’è una grande malleabilità delle reti neuronali: le sinapsi possono svilupparsi molto in fretta, connettersi, non c’è alcun ostacolo. Con lo sviluppo, i neuroni vengono circondati da una matrice di supporto, poi di mielina, strutture che ostacolano la plasticità. Le reti neuronali del bambino sono molto malleabili; poi, con il tempo, la loro capacità di riorganizzarsi rallenta”. Secondo Stanislas Dehaene, la pubertà giocherebbe anche un ruolo particolare nella chiusura della plasticità cerebrale e i bambini bilingue avrebbero delle capacità di controllo migliori degli altri. La capacità di imparare, e quindi di sviluppare nuove reti neuronali, diminuirebbe così strutturalmente con l’età, cosa che non stupirà nessuno. Ciascuno di noi può (ahimè) constatarlo con il passar del tempo… Ma dei modi esistono per lottare contro l’inevitabile! Così, sempre secondo Dehaene, “il fatto di esporre un bambino a un ambiente ricco farà durare più a lungo il periodo di plasticità. Al contrario, un ambiente di paura blocca la plasticità. […] Creare una scuola della paura (come gli orfanotrofi in Romania) vuol dire rischiare di bloccare la plasticità per dei bambini che faranno molta più fatica a imparare”. Altra constatazione, secondo Daphné Bavelier, è che i videogiochi avrebbero un effetto positivo (soprattutto quelli più violenti) sul mantenimento della plasticità. L’importanza dei giochi, e soprattutto dei giochi matematici, è stata ugualmente osservata da Elisabeth Spelke (nata nel 1949), ricercatrice del dipartimento di psicologia di Harward, in una lunga serie di esperimenti con bambini piccoli. Il nostro cervello sarebbe dunque, fin dall’infanzia, predisposto alle attività matematiche. E questa disposizione particolare si segnalerebbe molto presto, dai 7 mesi, secondo Dehaene, che parla anche di “bebè statistici”. Secondo lui, “i bambini fanno dei calcoli logici e di probabilità. Ragionano da un punto di vista strettamente implicito, cioè non sono capaci di formulare di nuovo quali sono stati i ragionamenti che pure hanno condotto e questo anche quando sono capaci di capire ragionamenti assolutamente straordinari”. Noi disporremmo in realtà, fin dalla nostra nascita, di circuiti estremamente protetti così che un senso dello spazio, del numero, dell’oggetto, del tempo e della probabilità esisterebbero nel bambino quasi dalla nascita. Quanto all’aritmetica, è stato dimostrato da parecchi decenni che esiste un circuito cerebrale del tutto specifico e che gli altri aspetti della matematica fanno riferimento a questo stesso circuito come se la matematica si costruisse a partire proprio da questo.
Acquisire nuovi concetti
Ma come si procede per l’acquisizione di concetti nuovi? In realtà, il nostro cervello può concentrarsi su una sola attività alla volta. Per passare a un compito diverso, bisogna passare attraverso un processo di automatizzazione che libererà i nostri neuroni dal dover compiere qualunque processo strutturale. Stanislas Dehaene ci vede tutto il sistema di costruzione della matematica: “La matematica, per esempio, si svolgerà senza fine in questa alternanza: io prendo in considerazione un oggetto nuovo, questo occupa il mio spazio cosciente, io l’automatizzo, lui si sposta nelle aree parietali e ciò fa spazio per la tappa successiva. La matematica riposa su una costruzione ciclica di questo tipo. In generale, io creo dei simboli perché questo mi semplifica le operazioni non coscienti”. L’automatizzazione s’opporrebbe quindi alla plasticità. Ma ha anche un enorme vantaggio, la sua permanenza. Secondo Daphné Bavelier, “essere molto plastico significa che, se imparo una maniera di procedere e voi me ne insegnate una nuova, io imparerò questa seconda con facilità ma nel contempo dimenticherò più rapidamente la prima. Ci sono due aspetti. L’evoluzione ha trovato interessante dal punto di vista dell’adattamento l’avere un individuo giovane molto plastico perché può adattarsi a un nuovo ambiente. Poi bisogna rispondere ai suoi bisogni, riprodurre la specie e quindi stabilizzare le conoscenze per essere efficace”. Che i matematici si rassicurino, dunque. Al crescere dell’età potranno ancora e sempre restare attivi. Perché le conoscenze accumulate e automatizzate permettono da sole l’acquisizione e la costruzione di nuovi saperi, anche se queste sono più lente e la distruzione di automatismi diventati obsoleti non è immediata. Alla domanda: “Quale differenza c’è tra una persona diventata matematica e un’altra che non lo è diventata?”, Stanislas Dehaene risponde formulando l’ipotesi incoraggiante dell’accumulazione del sapere nel cervello del matematico, dell’esistenza di una sorta di “sedimentazione” degli apprendimenti di cui una persona ha potuto godere nella sua vita. Senza offesa per i giurati delle medaglie Fields che scartano i più vecchi di 40 anni, tutte le speranze sono ancora permesse ai seniores. Fortunatamente! D’altra parte, tutti i ricercatori citati in questo articolo hanno più di 40 anni. Non è incoraggiante?