Libri – Massimo Bucciantini, “Siamo tutti galileiani”

 

Rinnovando il messaggio di Galileo Galilei, scienza e cultura umanistica devono tornare a dialogare proficuamente, forgiando i cittadini consapevoli di domani

Cosa significa dirsi “galileiani” oggi? Significa innanzitutto riconoscere che, lungo le accidentate e tortuose strade che hanno portato alla modernità, il bivio decisivo lo abbiamo imboccato nell’epoca di GalWil – come Massimo Bucciantini definisce l’età di Galileo Galilei e William Shakespeare – quando la nuova scienza “cerca di svincolarsi da una visione magica della realtà estremamente complessa”. Galileo scopre che il vero alfabeto della natura è da ricercare dentro le forme invisibili della matematica e, al tempo stesso, con il perfezionamento del telescopio, si accorge che il cielo non è più quello che da duemila anni era apparso alla nostra vista, Shakespeare è l’impietoso e scomodo indagatore della natura umana che reinventa l’intero alfabeto dei sentimenti. “È un doppio compleanno, il loro, che dovrebbe essere festeggiato con tutti gli onori. Ma forse non basta. Forse bisognerebbe fare qualcosa di più e dire che le loro opere, i loro linguaggi, le loro riflessioni dovrebbero entrare davvero nelle nostre scuole, perché è anche attraverso la scelta dei testi che si leggono in classe che si formano le nuove generazioni e si costruisce il mondo del futuro. Se, come ha detto il premio Nobel per la medicina nel 1937, Albert Szent-Györgyi, “il futuro sarà come sono le scuole oggi”, ecco, allora, una cosa su cui riflettere e su cui lavorare concretamente. E provare anche a dire che nell’età delle Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), in cui siamo immersi da almeno quarant’anni, c’è bisogno di un ripensamento per quanto riguarda non solo la didattica umanistica ma anche quella scientifica. Di un segnale forte e concreto a favore di una visione unitaria della cultura scientifico-umanistica, in modo che esista un minimo comune denominatore tra scuole e indirizzi diversi. Per un’educazione che tenga insieme Galileo e Shakespeare, che insegni entrambi non come due mondi separati e dimostri concretamente che, accanto all’inevitabile iperspecialismo sia nel campo scientifico che in quello umanistico, la cultura resta una”. Ecco allora cosa significa definirsi galileiani oggi, battersi perché si riconosca che la cultura è davvero una, non limitandosi a ripetere stancamente le parole di Charles P. Snow sulle due culture, che già affrontava nel 1959 il problema, ma traducendo queste idee “in un rinnovamento radicale sia nella formazione degli insegnanti sia nel campo dell’elaborazione delle esperienze di apprendimento della scuola primaria e secondaria e a livello universitario. Le discipline sono come le razze: non esistono, ce le siamo inventate (a volte per motivi molto prosaici, come quelli legati ai concorsi universitari) e appunto per questo i loro confini sono mobili e possono essere rivisti, modificati e, in certi casi, cancellati. Così come non esiste una separazione – che a volte giunge a una netta contrapposizione – tra scienza e cultura. Anch’essa ce la siamo inventata, ed è diventata uno stereotipo duro a morire: per responsabilità degli umanisti ma anche degli stessi scienziati”. Dobbiamo avere il coraggio di batterci, in un contesto di laicità, ovvero di autonomia da qualunque potere religioso e politico – come ricordava Claudio Magris, uno dei nostri scrittori più galileiani insieme a Primo Levi, Carlo Emilio Gadda, Italo Calvino e Daniele Del Giudice – per costruire nuovi ponti e nuove strade, con l’obiettivo di formare i cittadini del tempo presente: più consapevoli, e quindi più liberi di pensare e di fare.

 

Massimo Bucciantini

Siamo tutti galileiani

Einaudi (2023)

pp. 120, € 12,00

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