Quando in inglese si parla di umbrella term si paragona una parola a un ombrello così grande che, al suo interno, possono ripararsi tante persone e cose. Il messaggio è che alcune parole vengono usate da persone diverse in molti contesti con i significati più disparati, a volte opposti. Merito è sicuramente un termine-ombrello e qui sta la natura problematica del nominare un ministero “Istruzione e Merito”. Proviamo a restringere l’ombrello “merito” per vedere se e a che condizioni si può affiancarlo alle parole scuola e istruzione. Il punto di partenza è la distinzione tra successo e merito. Tanti pensano a questi concetti come a sinonimi, quando in realtà non lo sono. Noi sappiamo che a concorrere ai successi individuali delle persone sono diversi fattori, come per esempio le circostanze fortunate, l’aiuto di famiglia, amici e colleghi o le caratteristiche individuali con cui si è nati. Il merito è uno dei tanti fattori, ma non l’unico e non sempre il più importante. Qual è il pericolo di confondere successo e merito? È molto semplice: il merito è il riconoscimento del valore morale di uno sforzo individuale, è il segno dell’impegno e dell’abnegazione. Se scambiamo successo e merito, trasferiamo indebitamente il valore morale dall’impegno al risultato. Siamo tutti concordi che il merito vada premiato, riconosciuto: tante volte c’è una parte di impegno nel successo di una persona. Ma il successo non è sempre il miglior indicatore del merito. Ecco perché a scuola esistono i voti. Se prendo 9 al compito di Italiano il voto è in sé stesso un riconoscimento del mio impegno, non servono ‘premi’ ulteriori o un valore morale aggiuntivo. In altre parole, il merito è già parte della scuola e quindi la scelta di specificarlo nel nome del nuovo ministero sembra superflua. C’è anche un pericolo nel confondere successo e merito e si trova nell’altra faccia della medaglia, cioè l’equivalenza tra fallimento e demerito (colpa). Quanti imprenditori e imprenditrici vivono il fallimento, frutto anche di fattori non-meritocratici (crisi economica, climatica, energetica, sanitaria) come una colpa? Quanti scelgono l’espiazione estrema per questa colpa? La scuola dovrebbe essere un antidoto a questa logica perversa, non il veleno stesso. Il secondo elemento da considerare è che merito declinato al singolare è una parola fuorviante. Una società, a partire dalla scuola, prospera quando riconosce tanti meriti diversi e sono i cittadini stessi a discutere su quali sono i meriti da premiare. Affiancare merito a istruzione rischia di ridurre la scuola ai voti, quando tutti sappiamo che c’è molto di più. Se una ragazza che fa volontariato nei weekend o che aiuta i compagni a studiare prende 7 al compito di Italiano, mentre un’altra ragazza che passa i weekend a studiare per se stessa prende 9, non possiamo pensare che il 9 abbia un valore morale superiore al 7. Entrambe hanno superato il compito, entrambe meritano dei riconoscimenti ma per ragioni diverse. Si faccia attenzione su questo punto: io non propongo di equiparare un 9 a un 4, l’impegno per superare la verifica è fondamentale. Ma nella differenza tra 9 e 7 si nasconde l’idea che tante possono essere le azioni meritorie da premiare e la scuola non deve e non può cancellare questa ricchezza. Ci sarebbero tanti altri elementi da considerare per restringere il nostro ombrello-merito: l’uguaglianza nelle condizioni di partenza, i modi per premiare il merito, e così via. Ma credo che tenendo a mente la distinzione merito-successo e merito-meriti siamo già in grado di avere un ombrello più piccolo e più affidabile. Se il nome del ministero fosse scelto dopo un dibattito pubblico e parlamentare, cioè fosse punto di arrivo e non di partenza, probabilmente ci saremmo riparati meglio dalla pioggia. Ma siamo ancora in tempo.