Pensieri divergenti – La scienza della pace

Gli endecasillabi della “bestia sanza pace, che fa tremar le vene e i polsi e ripigneva” Dante “là dove il sol tace”, sono un’immagine sempre più appropriata per descrivere il nostro presente. E proprio la struttura della figura retorica utilizzata da Dante, ovvero l’endiadi “le vene e i polsi”, suggerisce una riflessione. L’endiadi è una figura retorica nella quale una congiunzione sostituisce una subordinazione ponendo così i due termini su un piano di parità e non riducendo uno all’altro. Un’endiadi, che non si dovrebbe mai rinunciare a proclamare, è quella di pace e giustizia. Sento forte il bisogno di ribadirla quando mi imbatto in locuzioni che subordinano la giustizia a qualcos’altro, come “in pace ingiusta” oppure “in guerra giusta”. Queste subordinazioni ci risucchiano in dualismi mutuamente esclusivi, come quello magistralmente suggerito nel Diario di un’invasione dello scrittore ucraino russofono Alexander Kurkov, che non permette di parlare di pace quando si è in guerra, perché o si è con noi oppure si è “odiosi collaborazionisti”.
Il tremendo ma popolarissimo adagio latino che, nella selva oscura della nostra post-modernità, si traduce nell’incremento delle spese militari come deterrente alla guerra, dovrebbe essere sostituito da si vis pacem para iustitiam. In questa rubrica, esattamente un anno fa, quindi sei mesi prima dell’atroce barbarie del 7 ottobre e della catastrofe umanitaria che ne è seguita, parlavo delle denunce di Amnesty International sulla mancanza di giustizia nei confronti del popolo palestinese e dei doppi standard loro applicati.
La prima scienza della pace dunque è la giustizia. Ma ce ne sono altre. Il segretario generale dell’Onu Boutros Boutros-Ghali già nel 1992 parlava di preventive diplomacy, diplomazia preventiva, come alternativa irrinunciabile alla diplomazia reattiva, raccomandando di afferrare le problematicità in tempo. Antonio Guterres, quando fu eletto segretario generale dell’Onu, lanciò, nello spirito insito nell’endiadi, il Triple Nexus, sostenendo che l’azione dell’Onu poteva essere efficace solamente operando con pari impegno e contemporaneamente nei tre settori: quello degli aiuti umanitari, quello dello sviluppo e quello della pace. Al World Humanitarian Summit del 2016, invocava una New Way of Working, che consistesse nel rispondere ai bisogni delle persone, mitigare i rischi e le vulnerabilità e muovere verso una pace sostenibile.
Parlando di giustizia ricordiamo quanto diceva Amartya Sen: contrariamente a quanto si pensa, non è necessario eliminare tutte le posizioni ragionevoli tranne una. Più che imporre al mondo la giustizia perfetta è nostro dovere ridurre ogni giorno un po’ di ingiustizia.
Alle parole di Dante, quindi, affianco quelle di un autore scozzese contemporaneo, Damian Barr: “Non siamo tutti sulla stessa barca. Siamo tutti nella stessa burrasca. Alcuni sono su un mega-panfilo. Altri su un guscio di noce”.
È l’equità la scienza della pace finale

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