Il sogno sempre più concreto di una intelligenza generativa non biologica pone tra le infinite possibilità che ci si aprono anche una sfida che per la prima volta nella storia non sappiamo se riusciremo a vincere
Travolgente, coinvolgente, a tratti disturbante come solo Labatut riesce ad essere, mescolando realtà e finzione in un dialogo polifonico in cui il lettore viene precipitato in un complesso labirinto del quale solo passo dopo passo, voce dopo voce, inizierà a intravedere una possibile direzione in cui incamminarsi, una possibile uscita. Labatut conferma – dopo lo splendido e pluripremiato Quando abbiamo smesso di capire il mondo – di essere prima di tutto un grandissimo scrittore, uno dei migliori della sua generazione. Davvero sembra di rivivere attraverso le sue parole il dramma di Paul Ehrenfest, il fisico austriaco che, travolto da un mondo che gli stava diventando sempre più incomprensibile, entrò nell’istituto pedagogico per bambini infermi del professor Jan Waterink, ad Amsterdam, e sparò in testa al figlio quindicenne Vasilij, affetto da sindrome di Down, per poi rivolgere la pistola contro sé stesso. Ehrenfest, fragile e geniale come molte delle menti migliori, non riusciva ad accettare la strada che non solo la fisica ma tutte le scienze esatte sembravano aver imboccato nei primi decenni del Novecento, verso la quantistica, verso qualcosa di impossibile da governare razionalmente. Ci siamo, ecco il primo indizio verso la via d’uscita dal labirinto. Arriva poi il più grande di tutti, il più intelligente essere umano del Novecento, l’alieno, il marziano, János Lajos Neumann, più noto come John Von Neumann. E vediamo la sua gigantesca figura stagliarsi in tutta la sua imponenza, distruggere gli argini in cui ancora era contenuta la mente umana, risolvere problemi a cui nessuno era mai riuscito a dare risposta, arrivare ad un passo dalla riduzione della matematica e della logica ai suoi fondamenti e poi veder il sogno infranto dalle poche parole balbettate da un giovane scheletrico dall’aspetto bizzarro in una sessione collaterale del sesto Congresso dei fisici e matematici a Königsberg. Von Neumann è l’unico a capire immediatamente la portata delle parole di Kurt Gödel e a rimanerne annientato. Niente è più come prima, niente potrà più essere come prima. Da quel momento qualcosa cambia in Von Neumann e il suo Maniac, un mainframe entrato in servizio nel 1952 nei laboratori di Los Alamos (se avete amato come noi il film Oppenheimer, la lettura di queste pagine vi darà molte informazioni che non traspaiono dal film), forse il più significativo antenato dei moderni computer, utilizzato principalmente – con quella totale mancanza di senso etico che caratterizzava il genio ungherese – per la realizzazione della bomba H, inizia ad essere utilizzato anche per altro, per capire se e come sia possibile dare inizio ad una intelligenza non umana. Ecco il secondo indizio per l’uscita dal labirinto! Un’eredità da lasciare al mondo che non sia biologica, che “cresca da sola, senza essere costruita”! Poi… tutto sembra rallentare, l’Ia sembra un sogno irrealizzabile, passano gli anni e non si vedono apparentemente progressi decisivi, finché nel 2016 Lee Sedol, maestro 9o dan di go, il gioco più difficile del mondo, una vera e propria religione nei Paesi del lontano Oriente, viene sfidato a giocare un incontro di cinque partite contro il sistema di intelligenza artificiale AlphaGo. Per quanto l’Ia, DeepBlue in quel caso, avesse già sconfitto un campione del mondo di scacchi come Garry Kasparov in un singolo match nel 1996, nessuno avrebbe scommesso contro Sedol in un gioco come il go, infinitamente più complesso e creativo degli scacchi. Ebbene, Sedol viene annientato, riuscendo a strappare all’Ia una sola partita e con una mossa così geniale da sembrare a sua volta sovraumana, irripetibile. Nessuno riuscirà dopo Sedol a sconfiggere più una Ia avanzata, neanche in un gioco così genialmente imprevedibile come il go. Ecco il terzo indizio, la conferma dei precedenti, per comprendere il romanzo di Labatut ma forse quella che vediamo come una possibile uscita dal labirinto che lo scrittore cileno ha creato è solo l’ingresso di un altro futuro labirinto, inespugnabile per le semplici menti umane.
Benjamín Labatut
Maniac
Traduzione di Norman Gobetti
Adelphi (2023)
pp. 352, € 20,00