Ridere di scienza

Che l’umorismo sia una cosa seria l’abbiamo imparato tutti da Umberto Eco o, meglio, da Jorge da Burgos, che ne Il nome della rosa definisce il riso “un vento diabolico che deforma il viso e rende gli uomini simili alle scimmie”. Peccato che, come gli fa immediatamente notare Guglielmo da Baskerville, le scimmie non ridano. Il senso dell’umorismo è tipico dell’uomo e probabilmente impossibile da insegnare. Qualche tempo fa, il comico di Zelig Paolo Migone (quello con l’occhio nero, per intenderci) ha messo in scena con tre serissimi docenti universitari una versione inedita del test di Turing mirata a capire se “le macchine possono scoppiare dalle risate”. L’idea soggiacente allo spettacolo, presentato in anteprima in una Camerino appena reduce dal terremoto del 2016 e poi replicato all’Internet festival di Pisa l’anno successivo, era quella di analizzare in termini umoristici un tema di assoluta serietà: l’impatto dei Big Data, che tanto ha condizionato lo sviluppo dell’intelligenza artificiale negli ultimi anni, può consentire la costruzione di macchine in grado di sviluppare la capacità squisitamente umana di far ridere? E l’umorismo può essere un buon veicolo di comunicazione per la scienza in genere e per la matematica in particolare? Eduardo Saenz de Cabezon è attualmente uno dei personaggi più noti nel panorama matematico spagnolo sia per la sua ricerca avanzata nel campo dell’algebra computazionale, sia per la sua intensa attività di comunicazione della matematica che conduce gestendo il suo canale YouTube Derivando e collaborando al gruppo di monologhisti scientifici Big Van Theory: Científicos sobre Ruedas. Con il monologo A cosa serve la matematica, Eduardo ha vinto il concorso FameLab 2013 Spagna, rivisitato poi in versione TedX Talk nel 2014 a Rio de la Plata. Eduardo concilia le sue molte vite “diventando pazzo”, come ha raccontato ad Andrea Capozucca, professore di matematica e divulgatore, in un’intervista per Lettera Matematica, nella consapevolezza che “fare ricerca, comunicazione e insegnamento contemporaneamente è difficile ma ne vale la pena”. La chiave distintiva della sua attività è un uso consapevole e sapiente dell’umorismo, che Eduardo si porta dietro dal suo passato come teatrante: “Erano gli anni Ottanta, ho iniziato raccontando storie alla gente, bambini e adulti. Poi, intorno al 1990, ho cominciato a proporre spettacoli nei bar, nei teatri, persino nei night club. E ho continuato per molti anni. Penso che nasca da qui la mia vocazione alla comunicazione”. Nulla nei suoi monologhi è lasciato all’improvvisazione: “Il mio mantra è: in cima alla gerarchia ci sono i contenuti, al centro dell’attenzione il pubblico. Il monologo deve connettere entrambi con humor sotto forma d’intrattenimento”. E precisa: “Dire che in cima alla gerarchia ci sono i contenuti significa che le mie abilità comunicative devono essere tutte al servizio dei contenuti. Quando uso una battuta o quando ripeto qualcosa, oppure decido la struttura narrativa del mio monologo, è sempre per rendere il contenuto più comprensibile. Quindi, quando c’è un punto difficile, è lì che devo mettere in campo più risorse: l’umorismo, per esempio”. Un altro bravissimo attore, mimetizzato come professore di matematica e fisica in un liceo bolognese, è Federico Benuzzi: fisico di formazione, è anche giocoliere e attore professionista. Intreccia queste sue poliedriche competenze per dar vita a spettacoli nei quali racconta temi ostici quali la relatività ristretta, la matematica del gioco d’azzardo, i problemi di stima, lo spillover, le interazioni tra linguaggio e didattica, le bufale scientifiche, la fisica del clima e, più bello di tutti secondo il nostro modestissimo parere, la fisica della giocoleria. In un passo di quest’ultimo spettacolo, Federico chiede a uno dei ragazzini di sdraiarsi e stare immobile, aspettando di essere “saltato” con il monociclo dopo aver ascoltato la teoria fisica soggiacente. Tu, che magari sei la madre, di ridere non hai più tanta voglia ma il ragazzino ascolta Federico in rapito silenzio. È ipnotizzato e non potrebbe muoversi nemmeno se volesse. E quando ritorna a casa sano e salvo, la fisica del monociclo puoi star certo che se la ricorderà per sempre. Ecco: nel caso di Federico non è solo, e forse non è soprattutto, un “ridere di scienza” quanto piuttosto un sognare con la scienza, un rimanere irretiti dalla narrazione che del resto, ci insegna Bruner, rappresenta un vero e proprio schema cognitivo fondamentale dei nostri processi cerebrali. Torniamo invece all’umorismo duro e puro con Barbascura, lo youtuber vincitore nel 2020 del “premio nazionale Giancarlo Dosi” per la divulgazione scientifica con Il genio non esiste (e a volte è un’idiota). Libro consigliato a tutti ma in particolare a chi abbia in casa un adolescente riottoso che nulla stacca da tablet, cellulare e pc se non una sana risata. Dategli in mano questo libro e vi sembrerà di ritornare indietro di un paio d’anni, a quell’epoca meravigliosa in cui leggeva e accettava consigli di lettura anche dai genitori, per poi far leggere anche a te – povero boomer – le verità meravigliose che aveva appena scoperto. Il compito di un comunicatore della scienza, che deve prevalentemente incuriosire, è quello di divertire e stupire (“mi stupisco io stesso di quello che trovo e trasmetto questo stupore allo spettatore”, dice in proposito il nostro eroe) preparando così il terreno per la formalizzazione, che può accadere in altri tempi e altri modi e soprattutto a opera di altri soggetti Del format Scienza Brutta, Barbascura dice: “Facevo il dottorato e mi divertivo con Youtube. Ero convinto, però, che a nessuno interessasse la scienza sui social. Circa due anni e mezzo fa parlavo con una mia amica che amava molto i panda e cominciai a documentarmi. Mi resi conto che non erano poi così intelligenti e un po’ l’estinzione se la meritavano. Da lì non ho più smesso”. Barbascura ha una seconda vita come serissimo ricercatore di chimica organica (oltre che una terza come musicista). Tuttavia, a differenza di Eduardo, Barbascura tiene del tutto separata la sua figura pubblica da quella accademica. Certo, fa riflettere la differenza fra quello che accade in Italia, dove la comunicazione è vista quasi come un’attività di serie B, e quello che succede negli altri Paesi europei dove le si dà grande importanza, come componente fondamentale della carriera accademica di chi vi si impegna. L’umorismo è particolarmente mal visto, quasi che usarlo per parlare di scienza possa in qualche modo sminuirla, se non banalizzarla. In realtà, specie nella comunicazione della matematica, una disciplina spesso percepita come arcigna e antipatica, il rischio di sdrammatizzare troppo è estremamente remoto. Ridere apre il cervello, fa sì che chi ci ascolta non si annoi e si senta coinvolto. Creare un’atmosfera rilassata di vero scambio tra le persone è quasi la parte più importante del lavoro del comunicatore. Casomai il rischio, osserva Andrea Capozucca, “è che l’umorismo diventi settoriale e riguardi solo un linguaggio codificato tra nerd che resta oscuro ai più, una sorta di autorisata per addetti ai lavori”. Questo è quello che succede, per esempio, di fronte a vignette di contenuto matematico come quelle nella figura in basso, che sono divertenti solo per chi conosce effettivamente la matematica soggiacente. Anche la “risata d’élite” ha però una sua valenza, che da comunicativa diventa addirittura didattica, come nell’interessantissimo progetto dei meme matematici di Giulia Bini e Ornella Robutti. L’idea è proporre a studenti, in questo caso di scuola secondaria, la creazione di un meme ad argomento matematico su un tema proposto dal docente. Questo tipo di attività ha molteplici valenze, come sottolineano le due colleghe torinesi nel sito #lifeonmath Progetto meme matematici: consente un aggiornamento sicuramente fertile della relazione docente-studenti, perché il docente impara a conoscere un artefatto rappresentativo della cultura giovanile mentre gli studenti imparano la matematica (e scusate se è poco). Permette anche di ampliare lo spettro di coinvolgimento e motivazione dei ragazzi, facendo leva su abilità non strettamente scolastiche e soprattutto apre allo humour, alla creatività e alle emozioni. Un altro interessante esperimento dell’uso didattico dell’umorismo, rivolto stavolta ai bambini della primaria, è quello del progetto Impara la matematica con il Professor Cacca. Editi in Italia da Salani, i due libretti provengono dall’originale giapponese che, con otto milioni di copie vendute, si configura come un vero caso editoriale al motto di “contiene cacca in tutti gli esercizi”. Accompagnati da Unko Sensei, colorato personaggio con la testa di cacca (traduzione italiana del giapponese unko), i bambini imparano le prime operazioni… contando cacche, nella programmatica consapevolezza che studiare divertendosi è più efficace che farlo a suon di sbadigli. “Che cosa odiano i bambini? Studiare! E cosa amano i bambini? La cacca!”: questo è il punto di partenza del progetto che, visti i risultati, forse vale davvero la pena di approfondire, una risata dopo l’altra. Progetti come questo scommettono sul fatto che l’umorismo, se utilizzato opportunamente e nelle giuste dosi, può rendere la matematica un luogo inclusivo e accattivante, dove ognuno può mostrarsi per quello che è, sentendosi anche libero di sbagliare. E che magari canticchiare con Baglioni (Lorenzo, non Claudio) il rap del Teorema di Ruffini o Logaritmi Le leggi di Keplero (per non parlare de Il congiuntivo) possa rendere digeribile anche i temi più odiati dagli studenti italiani.

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