ll 7 dicembre 1941 ha luogo l’attacco alla base navale USA di Pearl Harbour nelle Hawaii. Quell’attacco cambierà il corso della seconda guerra mondiale. Convincerà il governo degli Stati Uniti a non permettere che la Germania nazista abbia a disposizione armi nucleari. Albert Einstein e Leò Szilárd inviarono una lettera il 2 agosto 1939 al presidente USA Franklin D. Roosevelt per avvertirlo che studi recenti sulla fissione nucleare fatti da Enrico Fermi e da Szilárd negli Stati Uniti e da Fredric Joliot in Francia dimostravano che si può generare una reazione a catena utilizzando atomi di uranio e che sfruttando queste reazioni si sarebbero potute costruire potentissime armi, che in mano ai nazisti avrebbero certamente costituito un pericolo per l’intera umanità. La lettera venne letta da Roosevelt solo l’11 ottobre 1939, visto che con l’invasione della Polonia la guerra era nel frattempo cominciata.
Dopo l’attacco giapponese, il governo USA si convince nel gennaio 1942 ad avviare un programma massiccio di ricerca per la realizzazione di un’arma atomica.
Nell’estate del 1942, il colonnello Leslie Groves viene incaricato di dirigere il progetto Uranio (che era partito nel 1939) che ribattezza Manhattan District dato che la sede segreta che dirigeva il progetto si trovava a Manhattan. La direzione scientifica del progetto è affidata a Julius Robert Oppenheimer. Il compito è chiaro: costruire una bomba atomica il prima possibile. L’idea è quella di costruire un laboratorio segreto in un posto remoto e riunire lì i migliori scienziati disponibili. Il luogo viene scelto da Oppenheimer: Los Alamos, New Mexico. La famiglia Oppenheimer ha un ranch da quelle parti. Anche il fratello fisico, Frank, sarà coinvolto nel progetto.
Nel marzo del 1943 Oppenheimer e la famiglia si trasferiscono a Los Alamos. Due bombe atomiche saranno pronte per essere utilizzate il 6 agosto 1945 su Hiroshima e il 9 agosto su Nagasaki. La Germania nel frattempo si è arresa la notte tra il 8 e il 9 maggio 1945. Un periodo di tempo brevissimo per realizzare la bomba.
Oppenheimer era stato scelto perché era uno dei più famosi fisici al mondo. Nel 1924 arriva a Cambridge per lavorare con J. J. Thomson, premio Nobel per la scoperta dell’elettrone, dando il via così a una serie di collaborazioni con alcuni dei più famosi fisici europei. A Göttingen Robert conosce Bohr, Dirac, Heisenberg, Pauli e Fermi. Rientra negli Stati Uniti nel 1929, lavora ai laboratori di Berkeley e al California Institute of Technology. A Berkeley, lavora sulle innovative tecnologie per accelerare particelle, collaborando con Ernest Lawrence, inventore del primo acceleratore circolare di particelle, il ciclotrone, per il quale riceve il premio Nobel nel 1939. Proprio nel 1939 Oppenheimer pubblica alcuni articoli sulla contrazione gravitazionale delle stelle di neutroni, studi che posero le basi teoriche per la formulazione della teoria dei buchi neri, che si svilupperà trent’anni più tardi.
Oltre che un bravo scienziato si dimostra un prodigioso organizzatore. La sua prima missione è quella di convincere e riunire in un posto in mezzo al deserto per alcuni anni gli scienziati più brillanti, come Frank, Compton, Urey, Fermi, Lawrence, Seaborg, McMillan, Segrè, Chamberlain, Wigner, Schwinger, Feynman, Bethe, Alvarez, Rainwater, van Vleck, Fitsch, Fowler e Ramsey per nominare solo i premi Nobel (l’elenco completo del personale scientifico si può trovare all’url https://it.wikipedia.org/wiki/Partecipanti_al_Progetto_Manhattan)
Non un affare semplice a cui peraltro si aggiungono i problemi che riguardano la vita privata di Oppenheimer, i suoi rapporti con gruppi comunisti negli USA. Sarà incluso in una lista nera dall’FBI e subirà una sorta di processo per tradimento dopo la fine della guerra con l’avvento del Maccartismo.
Il film di Nolan racconta tutto questo, in tre ore.
Nella prima parte, la vita, la formazione, gli interessi, la creatività di Oppenheimer, gli amori. Come usa fare il regista, non si segue un andamento lineare, ma le diverse fasi della vita del protagonista sono presentate in un continuo avanti e indietro. Le stesse poche informazioni scientifiche che vengono date (per forza) sono brevi frasi sulla meccanica quantistica, sulla fissione, sull’energia atomica. Non poteva mancare la famosa frase “Dio non gioca a dadi con l’universo” di Einstein, rivolta all’amico Niels Bohr.
Il montaggio diventa la chiave del film, il puzzle delle immagini non rende il tutto incomprensibile. Anzi, riesce a dare l’idea della complessità della vita, della mente del fisico, della ricerca scientifica, della vita affettiva; riesce a dare un’idea della creatività, senza essere generico e vago. Il linguaggio del film, il ritmo, i tempi sono quelli giusti. Certo, conoscendo qualche cosa della “vera storia” si comprendono meglio gli incontri, le parole, gli sguardi. Tuttavia, quel montaggio convulso ma non caotico, veloce eppure con tempi giusti, dà una idea precisa, anche se alcune parole e situazioni non vengono comprese (ma chi comprende tutte delle cose che avvengono ad ognuno di noi?), rende esattamente l’idea della situazione unica, probabilmente irripetibile, che coinvolge uno scienziato che deve in poco meno di tre anni dirigere le migliori menti dell’epoca nella ricerca scientifica in un luogo isolato, quasi una prigione da cui non si può uscire per motivi di sicurezza, per realizzare la prima bomba atomica che deve far terminare la seconda guerra mondiale, con centinaia di migliaia di morti e feriti. Gli effetti non sono del tutto prevedibili.
È chiaro che un discorso lineare, temporalmente conseguente, sarebbe risultato noioso ed assurdo. Ci sono moltissimi attori nel film; i cammei, le partecipazioni amichevoli sono tantissime. Il più bravo di tutti? Matt Damon, sempre con i tempi giusti, sempre con la faccia e lo sguardo giusto. Certo il protagonista, Cillian Murphy, ed anche il cattivone – quel Lewis Strauss, Robert Downey jr., che per ambizioni politiche farà partire il procedimento amministrativo legale per togliere a Oppenheimer il permesso di accedere ai segreti atomici del Paese e così discreditarlo – funzionano. Kenneth Branagh è Niels Bohr.
“La musica, devi sentire la musica” e anche i quadri di Picasso spingono alla creatività. Ma un problema del film è proprio la musica, una musica francamente insopportabile che man mano che il film procede peggiora, se è possibile. Così come sono un problema le immagini che vorrebbero dare l’idea di come si formano le idee nella mente del fisico. Onde, curve, stelline, lampi, che intermezzano soprattutto la prima parte e a volte fanno mancare il ritmo che è la grande genialità della prima parte. Per non parlare dell’esplosione della bomba. Giustissimo che per alcuni secondi non si senta nulla. Noi, i fortunati nati poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, abbiamo visto al cinema, e poi alla televisione, alcuni delle centinaia di funghi atomici che sono stati esplosi dall’umanità dopo la fine della guerra. Noi vedevamo delle immagini senza sonoro: il sonoro non c’era, per noi le bombe atomiche uccidevano in silenzio. Nel film, le immagini del caos primordiale – sembra di vedere il peggior Terrence Malick di The Tree of Life – sono imbarazzanti, ottenute senza effetti di computer grafica, come se fosse un’onta.
L’ultima parte è il processo, con la condanna inevitabile: al cattivo Strauss viene negato un posto nel governo USA. Al voto contrario del Senato contribuiscono John Kennedy e Lindon Johnson, i due futuri presidenti USA.
Oppenheimer è paradossale, come lo sono le moderne teorie della fisica, il che non significa che non siano convincenti. È un essere umano, come si usa dire, con i suoi pregi e i suoi difetti, che ha vissuto un’esperienza inumana. Il film la vuole raccontare e non si sente la lunga durata del film. Alcune cose potevano essere omesse, come la fugace apparizione dell’ombra di Kurt Gödel, un povero demente che parla con gli alberi. (Certo, se uno non lo conosce può guardare su wikipedia e scoprire il teorema di incompletezza ma…!) O lo svelamento del dialogo segreto tra Oppenheimer e Einstein. O la scena imbarazzante di Oppenheimer nudo con sulle ginocchia l’amante anche lei nuda mentre si svolge il processo. Certo è paradossale, ma bisogna essere geniali soprattutto se si hanno per le mani questioni paradossali.
(Tu n’as rien vu à Hiroshima è la frase di Marguerite Duras, l’autrice della sceneggiatura, con cui si apre (e che poi ritorna più volte) il film di Alain Resnais Hiroshima mon amour dove, in modo sommesso e con molto pudore, i morti, i feriti, lo scheletro del palazzo ci sono. Nel film di Nolan, invece, c’è soltanto sua figlia Flora che compare irriconoscibile con un volto deturpato in una brevissima sequenza. Una chiusura paradossale. Del resto, a un certo punto viene pronunciata da alcuni fisici la frase “Noi odiamo la matematica” mentre nell’ultimo film di Indiana Jones, alla fine, quando il protagonista incontra Archimede ecco la frase, che cito a memoria: “La matematica è fondamentale”. Vorrà dire qualcosa?)