Le lezioni matematiche di Calvino

Cent’anni fa, esattamente il 15 ottobre 1923, nasceva a Cuba uno degli scrittori e intellettuali più rappresentativi del Novecento: Italo Calvino. Tutti conoscono il ruolo centrale che ha avuto nella cultura italiana, così come il suo impegno politico e civile, ma quello che per un lettore disattento può passare inosservato è lo stretto legame tra la sua opera e la matematica.

Nei suoi testi è possibile cogliere quel gusto “matematico” per la precisione e la logica che si riflette in una scrittura attenta ai dettagli e al mantenimento di un ordine coerente dei pensieri. Un rigore che è alla base della sua capacità di affrontare temi complessi in modo accessibile.

Quando, nel giugno del 1984, fu invitato dall’università di Harvard a tenere un ciclo di conferenze nell’ambito delle prestigiose “Charles Eliot Norton Poetry Lectures”, scelse di dedicarle ad alcuni valori letterari che avrebbe voluto fossero conservati nel terzo millennio. Cinque delle sei conferenze previste – la sesta non ebbe il tempo di finirla poiché morì nella notte tra il 18 e il 19 settembre 1985 – sono state raccolte nel testo postumo Lezioni americane (1988). La prima, dedicata al tema della leggerezza, contiene un invito a usare un linguaggio il più preciso possibile, mentre la terza è esplicitamente dedicata all’esattezza, termine caratteristico anche della matematica. Calvino vi scrive “della mia predilezione per le forme geometriche, per le simmetrie, per le serie, per la combinatoria, per le proporzioni numeriche, spiegare le cose che ho scritto in chiave della mia fedeltà all’idea di limite, di misura… Ma forse è proprio questa idea che richiama quella di ciò che non ha fine: la successione dei numeri interi, le rette d’Euclide”.

Non era la prima occasione in cui citava espressamente i suoi riferimenti scientifici visto che già in un articolo apparso sul Corriere della Sera il 24 dicembre 1967 dichiarava che Galileo è “il più grande scrittore italiano di ogni secolo” per il suo uso del linguaggio non come strumento neutro ma con coscienza letteraria e partecipazione espressiva e immaginativa.

A inizio degli anni ’70, Calvino è poi arruolato da Raymond Queneau nell’Oulipo, una congrega di letterati-matematici (e viceversa) che persegue gli obiettivi di una scrittura che trasmetta immaginazione scientifica, linguaggio logico e struttura matematica. E proprio alcuni di questi concetti matematici sono presenti in molte delle sue opere. Nelle Cosmicomiche (1965), si avventura in città geometriche, pianeti con forme particolari e dimensioni insolite, creando un universo fantastico e variopinto. Il protagonista Qfwfq descrive un momento primordiale in cui tutto l’universo è concentrato in un singolo punto infinitamente piccolo: universi infiniti e viaggi interminabili nello spazio che richiamano i concetti di infinito potenziale di Kronecker e infinito attuale di Cantor e Hilbert. La geometria come strumento di analisi di temi complessi come amore, potere e la natura dell’essere umano emerge invece in Le città invisibili (1972), dove l’autore immagina una serie di città fantastiche, ognuna caratterizzata da forme geometriche specifiche e rappresentante aspetti diversi della condizione umana. Dal canto loro, i personaggi de Il castello dei destini incrociati (1969) esplorano la teoria dei grafi e la combinatoria cercando di decifrare il significato di 60 tarocchi misteriosi le cui possibili disposizioni danno vita alle storie narrate.

E si potrebbe continuare, ma forse vale la pena di aspettare l’analisi “matematica” dell’opera di Calvino che sarà oggetto di un ricco dossier sul numero di settembre di Prisma, con interventi di numerosi autori che getteranno nuova luce sul rapporto con la scienza di questo gigante della letteratura.

Una risposta

  1. Sono docente di Matematica in una quinta liceo Scientifico Scienze Applicate. Bellissimo articolo! Lo condividerò con i miei studenti. Un cordiale saluto!

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