I romani e le loro campagne matematiche

Nelle ultime righe del romanzo Cristo si è fermato a Eboli, Carlo Levi descrive in poche frasi il suo viaggio di ritorno in Piemonte dopo il confino in Basilicata e il senso di distacco da un’esperienza che lo avrebbe segnato per sempre, verso le incognite che ancora lo attendevano nell’Italia fascista del 1936, prossima alla catastrofe. Il passaggio nella pianura padana, su treni la cui velocità consentiva di apprezzare la varietà o la monotonia dei paesaggi, viene descritto con una singola frase: “Ma già il treno mi portava lontano, attraverso le campagne matematiche di Romagna, verso i vigneti del Piemonte”. In effetti, il percorso del treno procedeva in quel tratto lungo campi e coltivazioni, delimitati da confini rettilinei e squadrati, quasi che a tracciarli si fossero usati la riga e il compasso di Euclide o, meglio ancora, le coordinate cartesiane di Cartesio e Fermat. Invece, a tracciare quei confini fra terreni e quei canali diritti, che si intersecano a delimitare i campi secondo uno schema rigidamente geometrico, erano stati gli antichi romani. Dettata da esigenze empiriche ma costruita con esattezza geometrica, l’organizzazione sistematica della suddivisione romana dei terreni, come pure delle città fondate ex-novo, è una delle orme indelebili che i romani hanno lasciato nei territori dell’Impero e in particolare in Italia, assieme a strade, acquedotti, città con i loro anfiteatri ecc. Queste opere hanno continuato a essere utilizzate anche dopo la caduta dell’Impero romano, per esempio le strade e alcuni acquedotti, sebbene nelle parti più remote dell’Impero se ne fosse persa rapidamente la memoria tanto che, nemmeno quattro secoli dopo l’abbandono romano della Britannia, un poema anglosassone descrive i resti delle terme di Bath come brosnað enta geweorc (le rovine dell’opera dei giganti), un verso ripreso da Tolkien nel suo Signore degli anelli. Delle varie tecniche che i romani hanno, è il caso di dirlo, messo in campo nella suddivisione di terreni agricoli e coltivabili, la più spettacolare, le cui tracce sono ancora oggi ben visibili, era la centuriazione. In generale, queste tecniche furono utilizzate, sempre più sistematicamente, quando grandi quantità di territorio furono distribuite per la coltivazione, per esempio con la celebre riforma agraria del 133 a.C. a opera dei Gracchi, i fratelli tribuni della plebe che cercarono di combattere il latifondismo e lavorarono per una distribuzione equa dei vasti territori che Roma aveva ormai sotto il suo controllo. Cinquant’anni più tardi, Silla distribuirà terre ai propri legionari, stimati fra gli 80.000 e i 100.000, espropriandole ai latifondisti, garantendo in questo modo anche un maggiore controllo del territorio. Anche Cesare e poi successivamente Augusto e gli altri imperatori utilizzeranno la distribuzione di terre e la razionalizzazione del territorio come incentivo e come strumento di controllo. Stiamo parlando di un’estensione territoriale immensa, in sostanza tutte le terre che si affacciavano sul Mediterraneo. Per consentire l’amministrazione del territorio, la gestione del catasto e l’arbitrato di dispute territoriali fu istituita una casta di funzionari, spesso provenienti dai ranghi dell’esercito, che operò per secoli: gli agrimensori (dal latino mensores), chiamati anche gromatici per via del principale strumento di lavoro sul campo che utilizzavano, la groma, una sorta di croce di legno cui erano appesi dei fili a piombo e che serviva a tracciare linee rette, effettuare triangolazioni e altre attività necessarie a delineare e misurare terreni. Ma in che cosa consisteva la centuriazione? Era la suddivisione di un terreno in lotti di eguale misura chiamati centurie, cioè quadrati la cui area misurava 200 iugeri, all’incirca 50,4 ettari, vale a dire 504.000 metri quadrati. Una centuria è quindi un quadrato di lato lungo più o meno 710 metri, che corrispondono a 2.400 piedi romani. Si riteneva che una singola centuria fosse adatta a contenere 100 terreni di piccola taglia per uso domestico, d’onde il nome. Tracce evidenti di questa suddivisione sono presenti ancora oggi, a distanza di due millenni, non soltanto nelle “campagne matematiche” della Val Padana percorse da Carlo Levi, ma anche in Campania e Basilicata, nonché in svariate province dell’Impero, come in Tunisia. Questa pratica di “disegnare” tracciati di terreni aveva un’origine etrusca, senza contare che l’agrimensura era stata già praticata in Mesopotamia, in Egitto e nel mondo greco prima che in Italia. La tecnica dei Romani, tuttavia, era efficiente e precisa nella sua semplicità e venne praticata su scala, per così dire, industriale. Ne abbiamo una descrizione completa nel Corpus agrimensorum che è una collezione di manuali tecnici ad uso degli agrimensori romani, accumulati nel corso del tempo, che contiene anche traduzioni latine di brani degli Elementi di Euclide e successivamente brani della Geometria di Boezio e della Geometria di Cassiodoro, in quanto molte costruzioni geometriche erano applicate proprio nella pratica agrimensoria. Come ci spiega l’agrimensore Igino nel suo trattato Constitutio limitum (Definizione dei confini), per prima cosa si individuava un punto che sarebbe stato il centro della centuriazione e che oggi chiameremmo l’origine di un sistema di assi cartesiani. Sebbene la descrizione cartesiana del piano sia stata data soltanto a partire dal XVII secolo (da Cartesio, appunto, Fermat e i loro epigoni), i Romani la usavano tracciando sul terreno due rette perpendicolari che si intersecavano nell’origine: il cardo in direzione nord-sud e il decumano in direzione est-ovest. L’orientamento poteva anche cambiare se le esigenze del territorio lo richiedevano, per esempio sui terreni non pianeggianti o in presenza di elementi naturali che fungessero da punti di riferimento. Una volta tracciato il cardo e il decumano, ascisse e ordinate come diremmo oggi, il terreno da centuriare era diviso in quattro parti, identificate da coppie di sigle: DD (dextra decumani, a destra del decumano) e VK (ultra kardinem, sopra il cardo) denotano quello che oggi chiamiamo il I quadrante del piano cartesiano, DD e CK (citra kardinem, sotto il cardo) denotano il II quadrante, SD (sinistra decumani) e CK denotano il III quadrante e SD e VK il IV quadrante. Alle coppie di sigle oggi sostituiamo le coppie di numeri, cioè le coordinate. Si procedeva poi alla quadrettatura del terreno con linee parallele al cardo e al decumano per individuare i singoli lotti quadrati di uguale grandezza. Ciascun quadrato era individuato univocamente da una coppia di numeri (romani) che ne costituivano quindi le coordinate rispetto al sistema di riferimento fissato. Per esempio, nella Figura 1 vediamo uno schema di questo tipo: il quadrato tratteggiato ha coordinate (SD I, VK II), cioè si trova di 1 a sinistra del decumano e di 2 sopra il cardo.

Tracciare per migliaia di chilometri quadrati centuriazioni di questo tipo, sulle quali sono poi state costruite strade e città moderne, è stato il compito di questa infaticabile congrega di funzionari imperiali. Un’opera di razionalizzazione del territorio, sia urbano sia coltivabile, che è fra i grandi lasciti dell’antica Roma e che ha un fondamento geometrico ben saldo. Pensiamoci la prossima volta che percorreremo le nostre campagne o una delle tantissime città, da Aosta a Catania, la cui struttura urbanistica è stata influenzata da questa secolare tecnica degli antichi romani.

 

 

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