L’eccellenza è una malattia rara

Con oltre 19.000 campioni analizzati è l’istituto di ricerca italiano che ha fatto più sequenziamenti di Sars-CoV-2, peraltro grazie a uno strumento al top della tecnologia e a una procedura che ha portato da 100 a 400 i campioni processati in una sola volta. È il Telethon Institute of GEnetics and Medicine (Tigem) di Pozzuoli, alle porte di Napoli, uno dei centri leader in Europa nella ricerca sulle malattie genetiche. Con i suoi circa 250 ricercatori per due terzi donne e un’età media sorprendentemente bassa per l’Italia, 27 – 30 anni, è l’ultima speranza per le persone affette da malattie genetiche talmente rare da non avere neppure un nome. Il Tigem sorge su una collina affacciata sulla costa flegrea. I suoi edifici bassi e razionali sono circondati da alberi e prati tra cui fa capolino il laghetto del sistema antincendio. I lunghi corridoi e i laboratori sono illuminati da ampie vetrate da cui si scorge il mare. La sensazione di trovarsi in un futuribile campus della ricerca è forte. Ad accoglierci è Graciana Diez, chief scientific officer dell’istituto che, nonostante la lunga permanenza in Italia e un marito napoletano, non riesce a celare le origini sudamericane svelate dal gradevole accento argentino che a Napoli fa subito simpatia. “Con il Sr-Tiget di Milano siamo uno dei due Istituti Telethon italiani ma, mentre il Sr-Tiget è una joint-venture con l’Ospedale San Raffaele ed è molto focalizzato sulla terapia genica, noi facciamo ricerca sulle malattie genetiche rare e abbiamo un portafoglio di ricerca più ampio, organizzato in tre programmi: biologia cellulare, terapie molecolari e medicina genomica».

La biologia cellulare è il campo del professor Andrea Ballabio che dirige l’istituto fin dalla sua fondazione nel 1994. Come nasce e in che cosa consiste questa ricerca?

Nel 2009 il gruppo del professor Ballabio ha individuato un gene, il TFEB, che controlla l’attività dei lisosomi, gli organelli cellulari scoperti nel 1955 dal Premio Nobel Christian de Duve, che sono il nucleo centrale del sistema di pulizia della cellula che degrada e ricicla i materiali prodotti dal metabolismo. Questo gene agisce regolando l’espressione di molti altri geni coinvolti nella pulizia dei materiali derivanti dal metabolismo cellulare. È stata una scoperta che ha aperto una strada completamente nuova e ha fornito un promettente strumento terapeutico per i disturbi da accumulo lisosomiale e le comuni malattie neurodegenerative.

Dove vi ha portato questa nuova strada?

Proseguendo le ricerche, si è scoperto che questo gene controlla anche altri aspetti della degradazione di cui i lisosomi sono soltanto uno. Oggi, con la biologia cellulare applicata alle malattie genetiche rare studiamo i meccanismi di ciò che accade dopo che è avvenuta una mutazione, perché queste malattie possono servire anche da modelli per studiare i meccanismi di base della biologia cellulare. Il concetto che si sta affermando ultimamente è che, dato che queste malattie colpiscono i meccanismi cellulari di base, gli studi su di esse possono fornire degli insight su altre malattie più comuni. Ormai, in questo senso non c’è più una netta distinzione tra due cose come, ad esempio, il cancro e le malattie rare, perché una può approfittare delle conoscenze ottenute dalle altre.

Oggi sembrano molto promettenti le terapie molecolari, quelle che svolgono un’azione mirata contro uno specifico bersaglio, presente solo in alcune cellule come quelle tumorali. Ci spiega il vostro lavoro in questo settore?

Abbiamo un programma molto orientato all’aspetto terapeutico con cui facciamo soprattutto terapia genica usando un vettore virale chiamato Adeno Associated Virus (Aav). È basato su un virus tipo quello del raffreddore, però privato della parte patogenica e forzato a portare all’interno dell’organismo un’altra cosa, come un cavallo di Troia. Siccome questi virus hanno una reazione che consente loro di entrare in alcune cellule e un promotore che permette di esprimere la proteina in diversi tessuti, possiamo colpire con precisione i tessuti che ci interessano. Con questo programma studiamo il vettore e troviamo anche nuovi modi per usarlo. Stiamo portando avanti un progetto basato sulla terapia genica (che è già in fase clinica) con la quale stiamo trattando pazienti affetti da mucopolisaccaridosi di tipo 6, una malattia che in genere compare durante l’infanzia e colpisce ossa, occhi e cuore portando a deformità scheletriche, opacità corneale e ispessimento delle valvole cardiache. In collaborazione con l’università Federico II seguiamo pazienti italiani, spagnoli, turchi e canadesi che vengono al Policlinico di Napoli per essere trattati con questa terapia genica, restano alcuni giorni e poi tornano a casa per il follow up con i centri clinici locali. Sono pazienti che seguivano una terapia basata su enzimi che però prevede una somministrazione settimanale in ospedale con un’infusione che dura ore. Oltretutto è una terapia non particolarmente efficace e difficile da affrontare per pazienti che spesso hanno problemi di deambulazione. L’aspetto rivoluzionario della nostra terapia genica, invece, è che prevede un unico trattamento e gli studi dimostrano che alle dosi giuste i pazienti non devono più tornare alla terapia enzimatica.

Ci ha già parlato della biologia cellulare e delle terapie molecolari. Resta la genomica. In questo campo quali attività svolgete?

Con la genomica studiamo il Dna utilizzando molte tecnologie di punta come il Single Cell Sequencing, la Trascrittomica o la Genomica ad alto livello. È un programma di lavoro fortemente interdisciplinare che coinvolge anche ingegneri biomedici, matematici, informatici e statistici che non solo studiano i dati genomici ma sviluppano anche strumenti software in grado di trattare la gran mole di dati che otteniamo. Questa caratteristica rende oggi il Tigem uno dei pochi istituti che applica la biologia computazionale alle malattie genetiche. Per noi, in fondo, è una tradizione perché fin dalla nascita, nei primi anni ’90, identifichiamo i geni responsabili delle malattie. Ci siamo quindi sempre occupati di genomica. Con il nuovo programma partito nel 2000, però, abbiamo cambiato metodologie e oggi incoraggiamo i ricercatori a usare tecnologie innovative, strumenti sperimentali e computazionali. Questi approcci includono oltre al Next Generation Sequencing for Dna and Rna Sequencing in Single Cells, anche tecniche di apprendimento automatico e biologia quantitativa. Uno dei programmi di genomica più importanti che abbiamo è quello sulle malattie senza diagnosi, malattie genetiche estremamente rare che colpiscono soprattutto bambini per le quali non si sa quali sono i geni coinvolti e che quindi non hanno un nome. A volte può capitare che siano malattie già note ma dalla diagnosi molto complessa per cui non se ne riesce a venire a capo; altre volte, invece, sono malattie del tutto nuove per le quali bisogna ricorrere alle nuove tecniche di sequenziamento sul paziente e sui genitori per individuare la stessa mutazione presente nel bambino.

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