Il deep learning delle parole di Dio

A duecento anni dalla loro decifrazione da parte di Jean François Champollion (1822), i geroglifici egizi affascinano ancora grazie alla loro natura pittografica – per la quale ogni segno rappresenta un oggetto concreto – mantenuta dagli scribi egizi per 4.000 anni di storia. Come delle piccole opere d’arte potevano rappresentare il mondo in ogni suo aspetto attraverso una forma semplice e immediata che permetteva di riconoscere facilmente ciò che riproducevano, seguendo le regole della rappresentazione artistica egizia: l’occhio è visto di prospetto, gli esseri viventi di profilo, lo scarabeo e la lucertola dall’alto, l’uomo è bruno, la donna chiara, le piante e gli oggetti in fibre vegetali verdi, la terra è nera, le parti del corpo rosse. I segni geroglifici esprimono non solo idee ma anche suoni che, uniti insieme, vanno a creare parole concrete e astratte divenendo uno strumento fondamentale per la gestione di uno Stato. Capiamo quindi come il geroglifico non sia semplicemente un disegno ma un simbolo più complesso composto da due aspetti, ognuno con diverse funzioni grammaticali: quello ideografico e quello fonografico. Se leggiamo il geroglifico guardando il suo aspetto ideografico, significa che ci riferiamo proprio all’oggetto rappresentato (la donna, un occhio, la bocca, una stella, il sole). Nulla di così diverso dalla nostra quotidianità letteralmente piena di ideogrammi: i segnali stradali, i loghi di brand o delle applicazioni dell’iphone, le emoticon dei social network. Per questo i geroglifici, chiamati le parole di Dio, erano considerati elementi vivi al punto che, quando identificavano entità demoniache, venivano ritualmente mutilati per evitare ogni influenza negativa. In quanto ideogramma, un geroglifico poteva indicare anche un’idea più generale rispetto a ciò che in effetti rappresentava. L’aspetto fonografico indicava il suono del segno, la pronuncia della parola a cui era associato. Ma così ci si sarebbe limitati a un vocabolario rappresentato solo dalla somma dei singoli segni geroglifici. Gli scribi egizi dovettero dunque sviluppare un sistema per esprimere ulteriori significati: evidenziando una parte di un segno per averne uno nuovo con un senso diverso; combinando o ripetendo uno o più segni per avere un nuova idea (tre onde si leggono mw e indicano l’acqua). In questo modo la scrittura geroglifica poté esprimere la lingua parlata in ogni suo aspetto e questa sua caratteristica ci fa capire che la sua comprensione non può limitarsi alla semplice identificazione dei segni ma deve tener conto anche del contesto in cui si trovano. Lo studio dell’antica scrittura egizia, articolata e complessa, può allora trovare un valido ausilio nell’applicazione della moderna Intelligenza artificiale (Ia), alla quale si può insegnare a capire i linguaggi attraverso il cosiddetto deep learning. Quest’ultima è una modalità di apprendimento che sfrutta algoritmi basati su reti neurali artificiali profonde, ossia composte da molti strati di neuroni artificiali connessi in modo complesso fra loro. Tali reti neurali, imitando il comportamento della corteccia visiva animale, possono essere allenate ad analizzare le immagini imparando e migliorando con l’esperienza, in modo simile a quanto succede negli esseri viventi. Uno studio recente presenta proprio un’applicazione del deep learning per la fase precedente alla traduzione completa degli antichi testi geroglifici, rappresentando la testimonianza del felice connubio tra metodologie applicate nell’ambito dell’ingegneria dell’informazione e le scienze umane. La ricerca ha dimostrato non solo la possibilità del riconoscimento automatico di geroglifici in antichi documenti egizi ma, soprattutto, ha aperto nuove prospettive per la risoluzione di questioni aperte quali la codifica, il riconoscimento e la traslitterazione. Il lavoro si è focalizzato sulla capacità di una rete neurale convoluzionale di riconoscere antichi geroglifici egizi, qualunque sia il supporto su cui si trovano. Partendo da reti neurali con architetture ottimizzate nel riconoscere immagini naturali, è stata sviluppata una specifica rete, denominata Glyphnet, con prestazioni addirittura superiori alle reti note. Lo studio è solo all’inizio e molto lavoro dovrà ancora essere fatto, ma ci sono infinite possibilità che vengono dall’intersezione (o meglio dalla cross-fertilization come viene definita usualmente) tra i campi dell’intelligenza artificiale e dell’archeologia, in questo caso in quelli più strettamente legati ai sistemi di scrittura; come è successo in altri ambiti della scienza in precedenza, è il momento di supportare l’introduzione degli strumenti dell’Ia anche in questo settore.

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