Continuità

Se usata bene, la retorica è un’arte. Abusarne, però, potrebbe essere rischioso. Lo dimostrano le celebrazioni dello scorso mese, in occasione dei tre anni dall’inizio dell’emergenza Covid. “Che sia da monito per il futuro”, “non accada più” e “non dimentichiamo la lezione” sono state le frasi più ascoltate nei diversi appuntamenti istituzionali nei quali èsempre stato ribadito a gran voce il ruolo fondamentale del nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn), vittima dal 2011 ad oggi di una progressiva depauperazione di risorse, strutturali e di personale. La riforma del Ssn non è un tema che emerge con o dopo il Covid, ma si trascina da anni. Basti pensare che la fondazione Gimbe è dal 2013 che ha lanciato una campagna per il suo salvataggio. Campagna che ha ripreso vigore grazie ai fondi del Pnrr, una parte dei quali è dedicata alla sanità territoriale. Il Piano prevede un importante tentativo di riorganizzare l’assistenza sanitaria non ospedaliera, passaggio cruciale per riqualificare il Servizio sanitario nazionale, e di riordinare il sistema di prevenzione. Insomma, pane per i denti di chi è uscito indenne dal Covid e non vuole ripetere la dolorosa esperienza iniziata nel 2020.
Praticamente negli stessi giorni delle celebrazioni, l’Ufficio parlamentare di bilancio rilasciava il focus L’assistenza sanitaria territoriale: una sfida per il servizio sanitario nazionale che, se da un lato sottolineava come “negli ultimi anni lo spostamento delle cure dal livello ospedaliero a quello territoriale ha rappresentato una delle politiche più diffuse nei Paesi europei per migliorare i servizi sanitari”, dall’altro non poteva non notare come “in Italia, però, il ridimensionamento della capacità degli ospedali – peraltro già bassa rispetto ad altri Paesi (il numero di posti letto per 1.000 abitanti è passato da 4 nel 2005 a 3,2 nel 2019, mentre la media europea è scesa da 6,1 a 5,3) – non è stato accompagnato da un adeguato rafforzamento della sanità territoriale, con carenze più evidenti in alcune Regioni”.
Quelle del Sud, naturalmente. Una situazione di latenza che implica “che gli ospedali vengono spesso sovraccaricati dalla richiesta di interventi che potrebbero essere svolti altrove”. Come è successo durante l’emergenza pandemica.
Una delle maggiori criticità individuate dallo studio riguarda proprio le risorse necessarie a rendere operative le nuove strutture di assistenza sanitaria nazionale (le case e gli ospedali di comunità).
“Quando le risorse del Pnrr saranno esaurite – si legge nel report – si dovrà rinvenire nei finanziamenti al Ssn più di un miliardo per dare continuità ai servizi di assistenza domiciliare e quando gli ospedali di comunità saranno disponibili si dovranno reperire 239 milioni per il relativo personale”. Peccato che, come i ricercatori dell’Ufficio parlamentare di bilancio hanno denunciato, “la programmazione finanziaria per il triennio iniziato nel 2023 implica un ridimensionamento della quota del prodotto allocata alla sanità pubblica”.
Senza dubbio è più comodo istituire commissioni d’inchiesta sul passato (come quella sulla gestione dell’emergenza
Covid, in via di formazione) che guidare il presente con un occhio verso il futuro. Che significa non fermarsi al Pnrr.

Vincenzo Mulè
Direttore responsabile

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